La Alpinestars e la Dainese sono i leader mondiali nelle tute che incorporano il dispositivo usato nelle competizioni di moto e sci. Tra le due aziende c’è una distanza di pochi chilometri, ma anche una lotta senza esclusione di colpi

Bel lavoro, Tomaso, grazie... Loris Baz è un omone dalla stazza fuori dal comune, tra i piloti professionisti. Martedì 2 febbraio, nei primi test della Moto Gp sul circuito malese di Sepang, la sua Ducati s’è imbizzarrita in rettilineo, a 290 chilometri all’ora. Tornando ai box, a piedi, il pilota francese si è rivolto a Tomaso Bacigalupo alzando il pollice.

Laurea in relazioni internazionali e varie cadute nel suo passato di racer in pista, Bacigalupo è il responsabile dello sviluppo delle tute dei piloti della Alpinestars. Se il centauro francese si è rialzato solo con un graffio al gomito buona parte del merito è del Tech-Air Race Airbag, un aggeggio messo a punto dall’azienda veneta, che si è gonfiato in un amen appena ha capito che Baz stava perdendo il controllo del suo mezzo. Qualche settimana prima era stato lo sciatore austriaco Matthias Mayer, dopo uno spettacolare capitombolo sul tracciato della Saslong Classic in Val Gardena, a ringraziare un air bag italiano, il sistema D-air della Dainese: ha subìto una frattura a una vertebra toracica, dazio più che accettabile per una botta a quasi 110 all’ora.

Il quartier generale dell’Alpinestars, ad Asolo in provincia di Treviso, e lo storico impianto della Dainese a Molvena, nel Vicentino, distano solo 25 chilometri. Ma la rivalità è a tutto campo. Per dire: le tute con l’airbag di Valentino Rossi e Andrea Iannone sono Dainese, mentre la scoppiettante banda degli spagnoli (Jorge Lorenzo, i fratelli Marquez, Dani Pedrosa) è targata Alpinestars, azienda che nella stagione quasi al via vestirà pure cinque team di Formula Uno. Le due società competono sul mercato, in ogni angolo del mondo dove ci sia voglia di moto, ma adesso nella partita sono entrati anche i rispettivi collegi di avvocati.

Tutto è cominciato nell’autunno scorso, proprio sull’airbag. Secondo Dainese una parte della sacca che contiene l’air-bag di Alpinestars viola un suo brevetto e il tribunale di Monaco di Baviera avrebbe emesso delle ingiunzioni preliminari per non far vendere più l’Alpinestars Tech-Air. L’azienda di Asolo dice che non è vero, che in Germania i dealer seguitano a operare tranquillamente e sottolinea che, più della sacca, è l’algoritmo che avverte i pericoli il cuore dei sistemi di airbag messi a punto.

Una rissa di cui non si sentiva la mancanza, diciamo la verità. Ma che dimostra quanto siano vitali due aziende, orgoglio dell’abbigliamento tecnico italiano su due ruote. Due gruppi che hanno origini (l’imprenditore geniale) e fatturati simili (viaggiano intorno ai 150 milioni di euro), ma con una struttura proprietaria che più diversa non si può. Sante Mazzarolo, che nel 1963 ha fondato il calzaturificio Alpinestars a Maser (Treviso), e Lino Dainese, che la sua impresa l’ha creata nel 1972, hanno passato la mano. Il primo ha lasciato il volante al figlio Gabriele già nel 1993. Il secondo, che di figli non ne ha, poco più di un anno fa ha ceduto l’80 per cento del suo gruppo alla Investcorp, il fondo di investimento del Bahrain che ha valutato la Dainese ben 130 milioni di euro, somma pari ai ricavi 2014 della società vicentina, e più dell’utile - 116,7 milioni di dollari - realizzato nell’esercizio chiuso al 30 giugno del 2015 dalla stessa Investcorp.

Federico Minoli, il manager che aveva guidato la Ducati quand’era controllata dal Texas Pacific Group e faceva parte del consiglio d’amministrazione Dainese da una decina d’anni, ha favorito l’ingresso degli arabi nel capitale. Il fondatore, che ha il diritto di nominare il presidente, ha puntato su Minoli. Il quale, nella primavera 2015, ha cooptato alla guida dell’azienda Cristiano Silei, tra i suoi fedelissimi in Ducati. Il fatturato 2015 è stato di 144,2 milioni, per l’83 per cento legato all’export. Ha 600 dipendenti, di cui quasi 400 in Italia e il resto nello stabilimento produttivo in Tunisia e in sedi commerciali e negozi e da qualche anno controlla anche i caschi Agv, mentre l’Investcorp in ottobre s’è comprata la svedese Poc, specializzata in caschi da sci e protezioni, e ne ha affidato il risanamento a Minoli, che così gira come una trottola tra Stoccolma, Vicenza e Boston, dove teoricamente dovrebbe vivere.

Più semplice l’evoluzione in casa Alpinestars, dove la famiglia mantiene il controllo totale e non pare intenzionata ad aprire a soci finanziari né a sbarcare in Borsa o a rilevare altri marchi. Il mantra di Gabriele è la crescita organica. I ricavi salgono con costanza: dai 90 milioni di euro del 2011 siamo a una previsione di 165 milioni per il bilancio che chiuderà a fine luglio 2016. Alpinestars è molto concentrata sul settore moto, che vale il 78 per cento del giro d’affari, e vende in Italia meno del 10 per cento. Gli Stati Uniti sono il primo mercato e molti clienti percepiscono Alpinestars come un brand a stelle e strisce.

Gabriele Mazzarolo è spesso negli States. A Los Angeles c’è uno dei centri stile, sulle magliette c’è spesso scritto “Italia Usa” e il Supercross, uno degli sport più yankee che ci siano, è la passione del figlio del fondatore. Lui ha imposto al centralino di rispondere “Good Morning, Alpinestars” (pronunciato: Alpainstars), ha chiesto di realizzare il sito Web aziendale solo in lingua inglese e ha ingaggiato 13 anni fa come portavoce Jeremy Appleton, che nel frattempo si è ben guardato dall’imparare davvero l’italiano. È britannica la lingua-chiave, in una ditta in cui sono rappresentate 22 nazionalità. E Mazzarolo è anche il primo tester di stivali, guanti e tute: poco tempo fa ha guidato la moto lungo il percorso tra la Spagna e Asolo indossando due prototipi di stivali, per capire quale fosse più comodo.

Alpinestars e Ducati sono amatissime dai piloti professionisti e amatoriali di tutte le principali discipline motoristiche (Formula 1, Formula Nascar, Moto Gp, Motocross, Supercross), che a loro volta sono fondamentali per lo sviluppo delle calzature e dell’abbigliamento protettivo. Molti piloti raggiungono ogni anno i laboratori delle due imprese per parlare con i tecnici, toccare con mano i nuovi materiali, farsi misurare al millimetro gambe braccia e tronco. Le due aziende nordestine godono di una vastissima notorietà anche tra i semplici motociclisti, sempre a caccia di stivali comodi e che non facciano passare l’acqua, così come di pantaloni, giacche e giacconi sempre più efficienti, ma anche più modaioli.

L’indiscutibile notorietà, tuttavia, almeno finora, non si è ancora riflessa in pieno nei conti economici delle due rivali, che di fatto possono essere considerate “premium” e invece macinano utili non trascendentali. «Nel nostro caso, Gabriele è fissato con la sicurezza e reinveste un sacco di quattrini nella ricerca e nello sviluppo», sottolinea Appleton accarezzando la tuta in lavorazione di Marc Marquez, che in pista veste Alpinestars da quando aveva 13 anni. Pur abbondando i macchinari avanzati per verificare la resistenza ai colpi, alle abrasioni, al calore, la fattura delle tute e degli stivali dei piloti necessità di grandi capacità manuali. Così, di fianco a ingegneri e camici, a tratteggiare i bordi c’è pure un signore che ha lavorato per 26 anni in una camiceria artigianale.

Anche a Molvena si va d’ago e di filo, oltre che di computer. Ma il nuovo padrone della Dainese, la Investcorp, sul piatto ha messo parecchi quattrini. E ora, oltre che in pista, si immagina, vorrà accelerare anche nel campionato della redditività. I giubbotti arricchiti dal sistema airbag, che entrambe le ditte vendono intorno ai 1.400-1.500 euro alla clientela stradale, potrebbero dare una bella mano alla progressione dei conti. Sempre che vicentini e trevigiani non finiscano per esagerare con la guerra in tribunale a colpi di carte bollate.