Cara Rai, come ti sei permessa? Toccare l'onore della città di Fondi, inserendone il nome nella fiction sulla vita di Roberto Mancini – l'ufficiale della Polizia di Stato, ucciso dalla contaminazione delle scorie tossiche che inseguiva nelle sue indagini – è un insulto alla città, per il sindaco Salvatore De Meo. L'esponente del centro destra del sud pontino – con dieci anni di politica locale alle spalle – che ha ereditato l'amministrazione del Comune salvato dallo scioglimento per mafia all'ultimo momento dal consiglio dei ministri presieduto all'epoca da Silvio Berlusconi, ha chiesto alla Rai perché “nell’ambito del racconto non vi sia stata alcuna trasfigurazione toponomastica. riguardo a Fondi, così come è stato fatto con altri contesti territoriali”. Insomma, il nome di Fondi non s'ha da fare.
Quello che è stato poi ritenuto insopportabile dal sindaco De Meo è l'aver inserito all'interno del racconto “un immaginario Banco Agricolo di Fondi”, indicandolo come centro per il “riciclaggio di denaro delle ecomafie e di usurai organizzati”. Insomma, basta sparare sulla città divenuta famosa come dimora e zona di influenza dei fratelli Tripodo, la famiglia arrivata nel sud pontino da Reggio Calabria ormai più di trent'anni fa, colpita duramente dalla sentenza del processo Damasco. Un pronunciamento dei magistrati che ha riconosciuto l'esistenza nella città di Fondi di una associazione a delinquere di stampo mafioso. Il sindaco ha chiesto un “immediato riscontro” alla Rai, la riparazione del torto.
La città di Fondi è il centro – geografico e logistico – di un sistema criminale complesso e molto più ampio. A parlare per primo della presenza di gruppi criminali di alto spessore – quale la famiglia Tripodo – fu Carmine Schiavone, il collaboratore di giustizia a lungo ascoltato e citato da Roberto Mancini. Schiavone a metà degli '90 descrisse nei dettagli l'attività criminale dei gruppi di 'ndrangheta e camorra – alleati nel sud pontino – dando origine ad una complessa e difficile attività investigativa che sfocerà nel processo Damasco e nella contestuale richiesta di scioglimento dell'amministrazione comunale di Fondi nel 2010. Una giunta all'epoca guidata da Luigi Parisella, socio e compagno di partito del senatore di Forza Italia Claudio Fazzone (entrambi mai coinvolti in nessuna indagine), oggi componente della commissione antimafia.
Qualche anno prima dell'avvio di quell'inchiesta, Roberto Mancini – all'epoca in servizio alla Criminalpol del Lazio – aveva iniziato ad approfondire l'estensione del clan dei casalesi anche nel sud pontino. La sua indagine era partita dal progetto di costituzione di una banca a Cassino, che vedeva la partecipazione dell'avvocato Cipriano Chianese, l'uomo chiave di buona parte dei traffici illeciti di rifiuti pericolosi in Italia. Fondi già da tempo era senza dubbio il motore economico e politico dell'intera area del sud pontino: sede del Mof, il mercato ortofrutticolo più importante d'Italia e regno incontrastato di quel centro destra che da decenni governa quel territorio. Ed è proprio il sud pontino la “Svizzera” che ha accolto buona parte dei beni poi sequestrati a Cipriano Chianese. Da Formia a Sperlonga, città questa gemellata, dal punto di vista politico, con la Fondi oggi guidata da De Meo.
Forse l'unica pecca è quella di aver citato solo Fondi come luogo del sud pontino dove ormai le organizzazioni criminali sono radicate. Ma il sindaco Salvatore De Meo dimentica che sulla sua città pende una storica sentenza – ormai passata in giudicato – per associazione mafiosa. Una dimenticanza in fondo comprensibile, visto che il comune di Fondi decise di non costituirsi parte civile in quel processo. E dimentica pure che la sua giunta – all'epoca era uno degli assessori – si salvò dallo scioglimento grazie allo stratagemma delle dimissioni anticipate dell'allora sindaco Luigi Parisella. E questa, purtroppo, non è fiction.