Nobel per la Pace a Lampedusa e Lesbo: perché l'appello di Rosi va sostenuto

di Fabrizio Gatti   22 febbraio 2016

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Per l'eroica diversità dalla cultura dilagante del filo spinato. Per dare voce a quanti si sono messi in cammino verso la salvezza. "l'Espresso" affida simbolicamente al regista di "Fuocoammare" le 55mila firme raccolte fra lettori e sostenitori di tutto il mondo dopo le stragi del 2013

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Il premio Nobel agli abitanti di Lampedusa e di Lesbo, in Grecia, sarebbe la rivincita etica e umana contro i muri e il filo spinato. Per questo l'Espresso si unisce all'appello del regista Gianfranco Rosi che ha rilanciato la proposta del massimo premio per la Pace alle due isole, dopo avere vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino con il film “Fuocoammare”.

E speriamo sia la volta buona. Non perché il Nobel sia la soluzione alla tragedia della guerra in Siria e in Libia e della povertà in tante altre regioni del mondo. Ma perché il riconoscimento ai pescatori e alla gente di Lampedusa e Lesbo ridarebbe voce a quanti credono fermamente che alle barriere innalzate da alcuni Stati europei esista ancora un'alternativa: il soccorso.

Non si può accettare che in Europa i bambini e le loro mamme muoiano di freddo, come è accaduto nei giorni scorsi. Non si può condividere che l'Unione Europea, Stato di 503 milioni di abitanti, non possa dare assistenza a mezzo milione di profughi: lo 0,09 per cento della popolazione.

Nel 2013, dopo le stragi del 30 settembre, del 3 ottobre e dell'11 ottobre, in pochi giorni il nostro settimanale ha raccolto 55.909 firme di lettori e sostenitori da tutto il mondo per candidare Lampedusa al Premio Nobel. Tra i firmatari c'erano i registi Jean-Pierre e Luc Dardenne, il filosofo tedesco Jürgen Habermas, tanti nomi famosi e migliaia di persone sconosciute.  Abbiamo portato quell'elenco in Norvegia e grazie alla scrittrice Elisabeth Eide, professore di Scienze sociali all'Università di Oslo, nel 2014 la candidatura è stata ufficializzata davanti al Comitato per il Nobel per la Pace. Quell'anno il premio è poi stato assegnato all'attivista indiano per i diritti dei bambini, Kailash Satyarthi e alla giovane pakistana, Malala Yousafzai.
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Nel frattempo al fronte italiano degli sbarchi si è aggiunto il fronte greco. E lo spirito solidale che univa faticosamente l'Europa ha cominciato a infettarsi di fili spinati, recinzioni, respingimenti lungo la rotta balcanica. Guardate lo scatto di Warren Richardson, il fotoreporter australiano che ha vinto il “World press photo 2016”, prestigioso premio mondiale di fotografia: un uomo passa un bambino sotto le spirali di acciaio e lamette affilate. Siamo a Röszke, al confine tra Ungheria e Serbia. Sono le tre del mattino del 28 agosto 2015. Duemila e quindici, non 1915. Andate a vedere la foto. E se pensate che tutto questo sia ingiusto, crudele, disumano unitevi e sostenete l'appello di Gianfranco Rosi.

Per questo l'Espresso consegna al regista vincitore del Festival di Berlino le 55.909 firme che avevamo raccolto per il Nobel 2014. Un gesto simbolico perché ai pescatori, alle donne e ai bambini di Lampedusa e di Lesbo sia riconosciuta la loro eroica diversità dalla nuova cultura dilagante del filo spinato. E perché attraverso la loro voce umana, sia ridata speranza ai milioni di profughi che, per non imbracciare le armi, si sono messi in cammino verso la salvezza. L'unica decisione che chiunque, qualunque padre, qualunque madre, prenderebbe sentendosi in pericolo.