Dossier
Silenzio di piombo: le basi militari in Sardegna e quelle morti senza risposte
Nei poligoni sull'isola si spara l'80 per cento di tutte le bombe che si fanno esplodere in Italia, sia da parte dell'esercito italiano sia dei nostri alleati. Un libro ricostruisce il nesso tra le polveri e le malattie
Tra dicembre 2015 e gennaio 2016 sono morti sei soldati, la più giovane aveva 31 anni e aveva partecipato alle nostre missioni. In tutto i militari ammalati a causa dell'inquinamento bellico sono circa 3800, di cui 328 le vittime accertate di uranio impoverito. Questi ragazzi si ammalano e muoiono mesi dopo aver partecipato a missioni all'estero e spesso la malattia viene declinata con il nome della destinazione: Sindrome dei Balcani, Sindrome dell'Iraq. Ma c'è anche chi non è uscito mai dalle mura di casa nostra e si è ammalato lo stesso.
Succede in Sardegna dove si trovano le basi militari che lo Stato affitta per sperimentazioni e esercitazioni degli eserciti stranieri. "Nell'isola si spara quasi l'80 per cento di tutte le bombe che si fanno esplodere in Italia in tempo di pace, sia da parte dell'esercito italiano che da parte dei nostri alleati. L'80 per cento dell'attività di Poligono viene svolta nella nostra Regione, nonostante vi abiti circa il 2,5 per cento della popolazione italiana. Ricordo in particolare i Poligoni di Salto di Quirra, di Capo Teulada, di Capo Frasca e di Capo San Lorenzo". E' quanto nel 2006 l'ex Presidente della Regione, Renato Soru, ricordava alla Commissione di inchiesta parlamentare nata per fare luce su quelle morti sospette che non riguardavano solo i militari, ma anche i cittadini e le greggi che pascolavano intorno alle basi.
Oggi un'inchiesta ripercorre la vicenda legata alla presenza delle basi e tutti i tentativi che furono volti a restituire la verità a quanti negli anni hanno visto i propri cari ammalarsi e morire in pochi mesi.
"Silenzio di piombo", della giornalista Mariangela Maturi (ed. Round Robin), riassume le fasi principali di questi decenni di indagini che non hanno mai portato a risultati soddisfacenti e i vari rinvii delle istituzioni che non hanno mai speso una parola chiara in merito. Attraverso le testimonianze di giornalisti, familiari, scienziati, Maturi cerca di squarciare il velo di silenzio che avvolge la vicenda delle morti intorno alle basi militari sarde e del nesso causale tra l'aumento dei linfomi e l'inquinamento legato alle esercitazioni. Se i comitati sono certi, le risposte ufficiali però tardano ad arrivare.
Le esercitazioni belliche, il materiale rimasto inesploso e l'inquinamento derivato dalle esplosioni, oltre a tutto l'inquinamento radar della zona, hanno rappresentato per la Sardegna un danno economico senza precedenti e un sacrificio umano non giustificabile. I venti forti dell'isola e qualche missile sparato per sbaglio fuori dai recinti dei poligoni hanno fatto il resto. Strane polveri altamente infiammabili si sono posate sulle colture e sui pascoli, compromettendo per sempre la salubrità dell'intera catena alimentare. Ovini nati con strane malformazioni e i neonati di Escalaplano senza braccia o con due teste sono il segnale evidente che vi sia un orribile lato b nell'immagine delle paradisiache spiagge sarde dove approdano gli yatch dei multimiliardari del mondo.
Così anche in Italia di muore di sindromi militari pur in tempo di pace. Una guerra “simulata” che va avanti dagli anni '70 in maniera ininterrotta e che ha lasciato sul campo molte vittime, tra le quali anche bambini.
Poi ci sono le storie, come quelle di Francesco Piras, che costituiscono l'ossatura dell'inchiesta. A raccontare il suo calvario sono gli anziani genitori, che ricordano un ragazzone di 23 anni, forte, che nel tempo libero amava immergersi nel mare della sua Sardegna. Quando hanno scoperto la malattia di Francesco non c'era già più nulla da fare, le metastasi avevano già invaso il suo corpo. Ma incredulo per una morte così improvvisa, il vecchio papà ha continuato a chiedere, a portare i referti del figlio in visione ai luminari della medicina in cerca di una risposta che potesse mettergli l'anima in pace. Finché un giorno, raccontando di quel figlio impiegato alla Polaria, non raccontò del suo periodo di leva alla base di Capo Teulada dove un giorno per punizione lo mandarono a sterrare a mani nude i bossoli sulla spiaggia, senza alcun tipo di protezione. Proprio così hanno scoperto cosa lo ha ucciso. Allo stesso modo si sono ammalati cinque dei sei fratelli Murgia, che nella lavanderia di famiglia lavavano decine di divise ogni giorno. Ora hanno tutti il cancro. Solo uno, il sesto, si è salvato perché partito molti anni fa per il Brasile.
Quest'ultima vicenda è stata anche oggetto di un'interrogazione parlamentare al Ministro Pinotti che ha prontamente risposto assicurando l'interesse del Ministero della Difesa a “garantire la massima tutela del personale interessato e della popolazione” dalle possibili contaminazioni. Secondo l'autrice si tratta solo dell'ultima, ennesima, rassicurazione ministeriale che però non cambierà la storia.
Così l'appello finale è affidato a un prete di provincia: "Vorrei sapere se posso seminare la mia lattuga, o se mi sto ammazzando con le mie stesse mani". Dalla risposta dipende tutto. Intanto, tra abusi e omertà, la gente continua a morire.