L’Italia viola il diritto delle donne alla salute, perché nonostante le regole previste dalla legge 194, l’accesso ai servizi per l’ interruzione di gravidanza resta troppo difficile, al punto da comportare a volte “notevoli rischi”. Il Consiglio d’Europa ha deciso così stamani accogliere il ricorso presentato dalla Cgil, in materia di interruzione della gravidanza: “Le donne che cercano accesso ai servizi di aborto continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell'ottenere l'accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge”, si legge nelle conclusioni: “In alcuni casi, le donne possono essere forzate ad andare in altre strutture”, o ad abortire “senza il controllo delle competenti autorità sanitarie”, o “essere dissuase” dal farlo. E c’è di più: secondo il Consiglio, l’Italia discrimina anche i medici non obiettori, che sono vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”.
E’ la seconda volta che l’Europa punta il dito contro l’Italia: nel marzo 2014 il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa decretato che “l’Italia viola i diritti delle donne”, mettendo nel mirino “l’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza”, dopo il ricorso presentato nel 2012 dalla ong International planned parenthood federation european network (Ippf).
In attesa degli esiti della nuova procedura apertasi a livello europeo, c’è appena da dire che, al contrario, il ministero della Salute, nella sua ultima relazione al Parlamento sulla 194 (ottobre 2015), pur riscontrando difficoltà, tende a presentare la situazione italiana come tutt’altro che “difficile” o discriminatoria. Al contrario, è tutto congruo ed adeguato.
Per quel che riguarda le strutture, si calcolano 379 punti che offrono il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (IVG), su 632 reparti totali di ostetricia e ginecologia, cioè il 60 per cento del totale (era il 64 per cento nel 2012). In due regioni (Molise e provincia autonoma di Bolzano), il numero scende sotto al 30 per cento; in Campania si è al 32 per cento, in Basilicata al 42, in Lazio e Sicilia al 50. Ma, scrive il ministero, “per il resto la copertura è più che soddisfacente”. Anche perché, se la si parametra in relazione alla popolazione femminile in età fertile, il rapporto è di 5 strutture in cui si fa l’Ivg contro 7 in cui si partorisce. Dunque “la numerosita? dei punti IVG appare piu? che adeguata”. Sempre su base nazionale, però.
La faccenda peggiora, in realtà, se si guarda al numero di medici non obiettori. Gli unici, cioè, che praticano aborti: 1.490 in tutta Italia. Il 30 per cento, in pratica. Il restante 70 per cento infatti risulta obiettore. Con percentuali che in quasi tutto il centrosud sono da paura: come in Molise dove il 93,3 per cento del personale medico non pratica interruzioni di gravidanza, la Basilicata (90 per cento), la Sicilia (87,6), la Puglia (86,1), la Campania (81,8), il Lazio e l’Abruzzo (80,7).
A fronte di questi numeri, però, il ministero fa una media statistica settimanale, in cui come è ovvio queste differenze annegano. Calcolando infatti una media statistica su 44 settimane lavorative, il numero di Ivg per ogni medico non obiettore va dalle 0,5 della Sardegna alle 4,7 del Molise, con una media nazionale di 1.6 IVG a settimana.
Ma la situazione è molto diversa da regione a regione, da Asl ad Asl: in una zona del Lazio e della Sicilia, ad esempio, si arriva a una media di 9.6 e 9.4 a settimana. Sono casi eccezionali, argomenta il ministero, e “si tratta comunque di un numero di IVG settimanali sempre inferiore a dieci”. Per cui “il numero di non obiettori risulta congruo”. E “ il carico di lavoro richiesto non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attivita?”, e “ non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG”. Insomma nessun problema generale, solo casi particolari di singole strutture: “Eventuali difficolta? nell’accesso ai servizi, sono probabilmente da ricondursi a situazioni ancora piu? locali di quelle delle singole aziende sanitarie”. Strano che l’Europa abbia tutt’altro giudizio.
Questo, nonostante il numero di non obiettori sia di 1490 medici, e le percentuali di medici obiettori, soprattutto in alcune regioni, sia da paura. Su una media nazionale del 70 per cento di medici che non praticano aborti, si hanno casi come la Val d’Aosta, che ha il 13,3 per cento di medici obiettori, e casi come il Molise (93,3 per cento), la Basilicata (90), la Puglia (86,1), la campania (81,8), il Lazio e l’Abruzzo (80,7)