Caso Regeni, «L’ordine di ucciderlo è arrivato dal governo»
Colloquio con Omar Afifi, ex colonnello della polizia egiziana, dal 2008 in esilio negli Usa, che accusa i servizi segreti di sicurezza del regime. Ecco i nomi dei responsabili della morte di Giulio
Aveva previsto tutto. ?Nei dettagli. L’ex colonnello della polizia egiziana, ?Omar Afifi, aveva denunciato ?i responsabili del rapimento ?e dell’uccisione di Giulio Regeni. Tre giorni dopo ?il ritrovamento del suo cadavere. Ha puntato il dito contro i servizi di sicurezza del regime. Non ha mai ?avuto dubbi sulla versione che ha fornito pubblicamente sui social media. Lui può permettersi di dire la verità. Ora che vive esiliato a migliaia di chilometri dal proprio Paese. Quel Paese che ha servito per anni ?con l’onore dell’uniforme ?e che ha dovuto lasciare per non torturare gli innocenti. ?«È successo otto anni fa», racconta a “l’Espresso”. ?«Mi sono ribellato al mio superiore che mi chiedeva di maltrattare i sospettati. Sono stato costretto a chiedere asilo agli Stati Uniti dove vivo tuttora con la mia famiglia».
Il giorno prima della visita degli investigatori egiziani ?a Roma “Repubblica” ?ha diffuso la lettera di un anonimo che ha svelato alcuni particolari ?sulla tortura e sull’uccisione del ricercatore italiano. ?Quei particolari erano stati già resi noti dall’ex colonnello ancora prima che partissero le indagini. E ora dice di avere altre prove e di essere disponibile a collaborare ?con le autorità italiane.
Colonnello Omar Afifi, la domanda sorge spontanea: è sua la lettera inviata ?a “Repubblica”? «No. Non ho mai scritto nulla ai giornali italiani. Posso anche dimostrare che dal mio computer non è partito nulla. Sono pienamente disponibile a collaborare. Non ci vuole molto per identificare ?da dove è arrivata quella mail. Tuttavia, o abbiamo le stesse fonti io e la persona anonima oppure ha preso ?le informazioni dalla mia pubblicazione. In ogni caso, tutto ciò che ho scritto è stato dimostrato dai fatti». [[ge:rep-locali:espresso:285193889]] Come è riuscito un ex colonnello che vive da anni fuori dall’Egitto a ottenere informazioni altamente classificate? Alcune di queste addirittura mai rese pubbliche. Verificate solo dagli inquirenti italiani. «Sono fuori dall’Egitto solo con il corpo. Il mio cuore e la mia mente sono sempre con gli egiziani. Ho rapporti con diversi ufficiali all’interno degli apparati di sicurezza. Sono persone devote alla nazione e alla giustizia. Militari onesti che non condividono ciò che viene fatto e quindi lo denunciano a me, dato che loro non potrebbero farlo pubblicamente».
Cosa le è stato riferito ?sul caso Regeni? «Il ricercatore è stato arrestato il 25 gennaio in una località del centro della capitale. Gli sono stati tolti gli effetti personali ed è stato accompagnato a Nasr City per interrogarlo sulla sua attività e sui suoi articoli scritti in merito alle condizioni dei lavoratori. ?Lo studente ha probabilmente rifiutato di rispondere alle domande, pur capendo l’arabo, e ha chiesto ?la presenza di qualcuno dell’ambasciata italiana. A questo punto sono iniziati due giorni di torture. Che comunque non hanno portato a nulla. Tant’è che lo stesso Al Sisi ha ordinato il suo trasferimento al centro dei servizi segreti militari. Qui ?lo hanno portato alla morte. E insieme hanno deciso come liberarsi del corpo. Specie dopo le pressioni diplomatiche».
La presenza al Cairo in quei giorni della delegazione italiana guidata dall’ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ha influito in qualche modo sul caso? «Molto probabilmente se ?non ci fosse stata quella pressione per capire ?cosa fosse successo ?al ricercatore, sarebbe semplicemente sparito ?e mai più ritrovato. Come ?è avvenuto con migliaia ?di egiziani».
Fin da subito molti hanno fatto il nome del generale Khaled Shalaby come principale sospettato. I suoi racconti confermerebbero questa tesi. «In realtà il generale Shalaby ha meno responsabilità degli altri. O meglio, è sicuramente la persona che ha provveduto ad arrestare Regeni. ?Ma non è stato lui a portarlo alla morte. Quella lettera anonima finita a “Repubblica” potrebbe anche venire da parte sua perché accusa i servizi segreti militari di avere ucciso il ricercatore e quindi scagiona, in parte, il generale di Giza».
E chi sono gli altri responsabili? «Il capo di gabinetto di Al Sisi, Abbas Kamel, che lo ha fatto trasferire per farlo interrogare dai servizi segreti militari; il generale Mohamed Faraj Shehat, direttore dei servizi segreti militari. Naturalmente il ministro degli Interni Magdy Abdel Ghaffar e il presidente Al Sisi erano al corrente già dal trasferimento. Sono anni che nessun cittadino straniero può essere interrogato senza che ?gli Interni lo sappiano. ?È il regolamento ?ed è sempre rispettato».
È una verità non facile ?da dimostrare, vista anche ?la reticenza della procura generale egiziana. «È impossibile che il governo del Cairo collabori fattivamente con l’Italia. In sostanza è come chiedergli di consegnarsi alla giustizia. Se non fossero coinvolti i vertici al comando, ?Al Sisi non si sarebbe fatto problemi a presentare all’Italia anche cinquanta militari da condannare per qualcosa che non hanno fatto. Ora nemmeno chi ha visto qualcosa può andare a testimoniare. Verrebbe subito accusato di tradimento o spionaggio e farebbe la fine del ricercatore».
È credibile che l’Egitto non abbia voluto consegnare ?i tabulati telefonici per rispettare la privacy, come prevede la Costituzione? «Ci sono alcuni programmi televisivi che trasmettono intercettazioni telefoniche. Nessuno si è mai preoccupato del rispetto ?della privacy. E fossi ?negli inquirenti italiani? non mi impunterei nemmeno molto su quei dati. Anche ?se li dovessero ottenere sarebbero comunque alterati. Come hanno già fatto con ?i video di sorveglianza, ?tutti inutilizzabili».
In questi giorni l’ambasciatore italiano ?al Cairo è stato richiamato ?a Roma per consultazioni. Un’eventuale pressione economica può dare una svolta alle indagini? «Così facendo, l’Italia rischia di punire tutti gli egiziani tranne gli unici veri colpevoli. In tutto questo il popolo egiziano è vittima. Non dovrebbe pagare un ulteriore prezzo per ciò che è successo a Regeni».
Come potrebbe finire? «Non è da escludere che ?il governo egiziano consegni ?un ufficiale sacrificabile. ?Lo condannerebbero a tre anni da scontare in qualche castello e poi verrebbe promosso».
Alcuni l’accusano di essere una fonte non affidabile. È un tentativo di screditarla agli occhi dell’opinione pubblica da parte del regime? «Io non ho nessun interesse politico. Ciò che dico ?è basato sulle prove ?che mi vengono fornite. ?Ed è tutto verificabile. ?È paradossale che abbiano preso in considerazione ?più la lettera anonima ?delle mie dichiarazioni scritte due mesi prima. Io intervengo per il bene dell’Egitto ?e degli egiziani. ?Non ho altri interessi».