Attualità
aprile, 2016

Una gang italiana per armare l’Iran

Elicottero Augusta Bell 412SP
Elicottero Augusta Bell 412SP

Elicotteri, reti wireless, tubi per lanciare ordigni venduti a Teheran. Violando l’embargo. Una nuova inchiesta conferma le rivelazioni dell'Espresso sugli affari di un gruppo di italiani nel paese asiatico 

Elicottero Augusta Bell 412SP
Elicotteri per usi civili, come le eliambulanze, trasformati in mezzi da guerra. Missili anti carro e missili terra aria prodotto nei paesi dell’ex blocco sovietico. Così la banda di trafficanti italiani faceva affari tra l’Iran e la Libia. Armi che sarebbero persino arrivate nelle mani dei gruppi legati all’Isis. Il Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, su ordine dell’antimafia di Napoli ha eseguito il fermo di 4 persone indiziate di traffico internazionale di armi e di materiale "dual use", cioè di uso civile ma convertibile per uso militare. Si tratta di tre italiani e un libico (finora non reperibile) accusati di aver introdotto, tra il 2011 e il 2015, in paesi soggetti ad embargo, quali appunto Iran e Libia, mezzi ed armi in mancanza delle necessarie autorizzazioni ministeriali. Il sistema ruotava attorno alla Società Italiana Elicotteri con sede a Roma, il cui legale rappresentante Andrea Pardi è tra i fermati. In un caso almeno questa società, è la tesi dei pm di Napoli, si è avvalsa dell'aiuto di una coppia di napoletani, che avevano agganci con alti funzionari dell'Iran. Per vendere i pezzi di ricambio degli elicotteri in quel paese - secondo gli inquirenti - avevano messo in piedi una triangolazione con una società della Repubblica di Panama, che non riconosce l'embargo. In un altro caso, il trasferimento a gruppi militari libici è avvenuto con l'appoggio di una società in Ucraina. “L’Espresso” si era occupato dell’imprenditore Pardi, in affari anche con società di Stato, e già implicato in una vicenda simile insieme a misteriosi personaggi dell’Iran. Nell’inchiesta del nostro giornale emergevano, inoltre, enormi flussi di denaro destinati a banche estere, in affari con l’Iran.

  Padova e Como , tranquille province italiane. Trasformate in crocevia di segreti, spioni, affari e un fiume di quattrini. Con personaggi che sembrano tratteggiati da John Le Carré. Ossessionati dalla missione per la quale sono stati incaricati: esportare in Iran elicotteri, come gli Agusta Bell 412SP, e altre tecnologie “dual use”, utilizzabile cioè anche per scopi militari. Violando così le leggi sull’embargo in vigore almeno fino al 2023 nonostante gli accordi sul nucleare iraniano che hanno tolto il Paese dalla lista degli “Stati canaglia”. Nella ricerca compulsiva di questa merce si incontrano tipi di ogni risma.

Dal manager romano in affari con lo Stato al cassiere della camorra in rapporti con la mafia romana. Uno dei protagonisti di questa spy story internazionale si chiama Raza Hashemi. Anche se tutti lo chiamano Max. Pseudonimo più consono a un uomo d’affari occidentale che vuole camuffarsi nella ragnatela delle piccole e medie imprese del Nordest. Ma al di là delle apparenze, Hashemi è stato un generale delle guardie rivoluzionarie islamiche, i temuti pasdaran fedeli all’ayatollah, Guida Suprema.

Il generale Max ha cinquantadue anni, da tempo si è trasferito a Padova. Parla sei lingue e può vantare la partecipazione alla sanguinosa guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein degli anni Ottanta. Sul suo conto stanno indagando investigatori italiani e americani: Guardia di finanza, Fbi e agenti dell’Homeland security, il dipartimento interno americano. Gli indizi raccolti sono gli ingredienti di un’inchiesta coordinata dalla procura di Milano, che grazie agli infiltrati delle fiamme gialle di Como sta svelando la trama di affari che partono dall’Italia e si dipanano in diversi Paesi del mondo, con destinazione finale Teheran. I pm milanesi hanno indagato otto persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere e violazione delle normative sull’embargo per l’esportazione di materiale “dual use” in Iran. Fra gli indagati compaiono Hashemi, l’imprenditore iraniano Craig Russo, 57 anni e americano d’adozione, e il manager abruzzese della Società italiana elicotteri, Andrea Pardi, 50 anni. Per i primi due il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Milano ha firmato un’ordinanza di arresto eseguita nelle scorse settimane.

In pratica, il gruppo di imprenditori e faccendieri smerciava, per poi esportarla, tecnologia e merce di vario tipo utile sia per usi civili che militari. Craig e Max, secondo inquirenti italiani e americani, sono professionisti nel trovare materiale “dual use”: tubi d’acciaio a prima vista innocui da trasformare in terribili strumenti di morte per lanciare ordigni. Potenti apparecchiature wireless da destinare alla realizzazioni di reti vitali per le comunicazioni dell’esercito. Motori destinati ai droni militari. Oppure elicotteri venduti per uso civile e trasformati in velivoli da combattimento. Tutta merce sensibile intercettata da Craig “il Comasco” e Hashemi, con l’intenzione di farla arrivare nella repubblica islamica di cui sono figli. Dall’ordinanza di custodia cautelare che ha riguardato Hashemi, Russo e altri quattro complici, affiorano alcuni particolari del circuito criminale. Tuttavia, il caso non è chiuso. E, da quanto risulta a “l’Espresso”, il pezzo da novanta del gruppo, Craig Russo, sta svelando i nomi di altri complici e la rotta del denaro.

Hashemi è un nome pesante per l’intelligence. La Sicurezza interna degli Stati Uniti lo descrive così ai nostri finanzieri: «Ha legami con il governo dell’Iran. Altre informazioni dettagliate su questo individuo sono vincolate e classificate. Di conseguenza, l’Homeland non è autorizzata a rilasciare ulteriori informazioni». Il motivo di tanta attenzione nei confronti dell’iraniano è spiegato nella seconda parte del rapporto statunitense: «L’Fbi sta attualmente svolgendo indagini di sicurezza nazionale su un gruppo di iraniani, tra cui Reza Hashemi, e Craig Russo Soroudi sulla base d’informazioni relative al presunto tentativo di acquisire informazioni riservate degli Stati Uniti, in supporto al governo dell’Irgc (Islamic Revolutionary Guard Corps). A tutt’oggi le indagini rivelano che stanno probabilmente utilizzando la società italiana Goldenway nella gestione di affari a livello internazionale a supporto dell’Irgc».

Spunti approfonditi dal nucleo di polizia tributaria di Como. Nella cittadina lombarda, infatti, vive l’americano-iraniano Craig Russo. Professione businessman. Con conoscenze trasversali in quel mondo di mezzo tra servizi, apparati, imprenditoria e criminalità. Gli investigatori italiani hanno seguito le tracce sue e di Hashemi. E, intercettazione dopo intercettazione, si sono ritrovati in una terra dove regnano affari torbidi, società estere usate da schermo per operazioni opache, banche che muovono enormi quantità di quattrini. E sullo sfondo, sempre presente, il fondato sospetto di interessi che riguardano gli apparati governativi iraniani.

C’è, però, un’ipotesi molto più inquietante prospettata da chi le indagini le ha fatte sul campo infiltrando agenti sotto copertura. I militari delle fiamme gialle, infatti, nei loro rapporti, letti da “l’Espresso”, avevano ipotizzato l’esistenza di una associazione terroristica. Tesi, però, non accolta dagli inquirenti. E per questo criticati dal gip che ha ordinato gli arresti: «La posizione della procura appare “prudente”», scrive il giudice. Secondo cui la finanza ha descritto nel dettaglio l’appartenenza “istituzionale” di Hashemi alle guardie della rivoluzione. Il sospetto, dunque, è che i legami con i pasdaran siano ancora molto stretti. E in particolare con il nucleo clandestino dell’organizzazione, conosciuto come Forza Qods: un’unità speciale nata alla fine degli anni Ottanta per volontà della Guida Suprema per esportare la “rivoluzione khomeinista”.

Per la Comunità internazionale, la Qods, è paragonabile a un’organizzazione terroristica. Nell’informativa, i militari indicano altri particolari per spiegare al pm la pericolosità della banda: «Forza Qods fornisce armi, finanziamenti e addestramento paramilitare di gruppi estremisti». Una spectre iraniana che «conta oltre 3000 agenti in tutto il mondo, con oltre 1000 persone dedite alla raccolta di dati d’intelligence, “nascosti” in centri culturali e ambasciate iraniane nel mondo». Ideologia a parte, la banda degli iraniani ha uno spiccato fiuto per gli affari. E tanti quattrini da far girare.

Di affari e denaro, parlano anche con un manager italiano. Finito sui giornali per aver malmenato il giornalista di Report Giorgio Mottola. Si tratta di Andrea Pardi. Boss della Società italiana elicotteri. Un’azienda di famiglia, con sede all’aeroporto dell’Urbe a Roma, che gode di buoni rapporti commerciali con Agusta Westland, della “famiglia” Finmeccanica. Tra i consulenti di Pardi, come risulta dai documenti in possesso de “l’Espresso”, fino al gennaio 2014 c’era l’ex capo dell’ufficio commerciale di Finmeccanica: Paolo Pozzessere. Dalle sue mani sono passati i contratti miliardari che il colosso di Stato ha stipulato in tutto il mondo. Attualmente è sotto processo per corruzione internazionale a Napoli per la maxi commessa vinta da Finmeccanica con il governo di Panama. Una storiaccia di mazzette e appalti, con al centro il giornalista-faccendiere Valter Lavitola. Ma Pozzessere è anche un vecchio amico di Massimo Carminati con cui discuteva fino a poco prima degli arresti di mafia Capitale. Dall’amicizia con Silvio Berlusconi agli affari milionari con Lavitola e dalle cene con i capi di Stato al summit intercettato con il capo del crimine romano. Insomma, un consulente esperto come Pozzessere poteva essere molto utile ai progetti di Pardi.

E di business voleva parlare l’iraniano Max Hashemi quando la mattina del 10 febbraio 2015, finanzieri e Fbi, lo filmano, al civico 285 all’Urbe, mentre entra negli uffici di Pardi. «Noi ne abbiamo presi cinque, insisteva di prendere anche il sesto che possono consegnarlo a giugno, mentre i cinque sono completamente pronti da spedire», dirà dopo la riunione lo stesso Hashemi a un suo “collega”. Per questo incontro e per i presunti accordi raggiunti in quella stanza, Pardi è indagato a Milano con il generale Max Hashemi e con Russo. Non è l’unica grana giudiziaria da cui si dovrà difendere: anche la procura di Napoli indaga su di lui per una storia simile. E sempre con la stessa ipotesi: vendita di elicotteri “dual use” a Paesi stranieri sotto embargo. I finanzieri e i detective americani stimano anche il valore dell’accordo tra gli iraniani e l’italiano per i cinque elicotteri: 20 milioni di euro. Gli agenti, grazie anche alle prime indicazioni di Russo, sono già sulle tracce dei soldi. Un sentiero finanziario che porta nel principato di Monaco. Qui avrebbero rintracciato alcuni conti correnti riconducibili a Pardi e dai quali sarebbero transitati i soldi degli elicotteri iraniani. Malloppo partito da una banca moscovita.

Il rapporto tra Craig Russo e il manager dell’Urbe risale ai primi anni del Duemila. Quando Russo acquisisce le quote societarie dell’Agritech, impresa fondata dalla consorte di Pardi, per tremila euro. Una settimana dopo dai conti dell’azienda è transitato un milione di euro, per poi essere stornato su un conto estero dell’iraniano. I destini di Russo e Pardi si sono incrociati nuovamente in un secondo passaggio di quote societarie. Quattro anni dopo, nel 2008, il manager italiano fa il suo ingresso trionfale nel commercio di elicotteri. Ma è solo nel 2011 che ha fondato la sua creatura migliore: Società italiana elicotteri.
Il gruppetto iraniano, però, non si accontenta dell’Urbe, vorrebbe salire ancora più di quota. Così tenta di agganciare anche Alitalia Maintenance Systems Spa, il braccio operativo della compagnia di bandiera che si occupa di riparare i motori degli aerei. Dopo lunghe trattative, per l’acquisto di pezzi meccanici, Craig Russo scompare dal radar. E per vederci chiaro i finanzieri convocano i dirigenti di allora della partecipata di Alitalia. Che confermano l’interessamento di Russo. A rendere ancora più vischioso l’impasto di interessi, c’è un quinto personaggio, che compare sulla scena al fianco di Russo. Si chiama Massimiliano Colagrande. Non è indagato in questo intrigo internazionale, ma in altre vicende che hanno a che fare con la camorra di stanza a Roma. I magistrati della Capitale lo accusano di aver fatto da cassiere per il clan Pagnozzi, legato a Michele Senese, uno dei quattro re di Roma. Colagrande, come Pozzessere è amico di Carminati. Da giovane camerata ha frequentato lo stesso ambiente del “Nero”. A saldare questi due mondi, apparentemente così distanti, è proprio Craig Russo.

Con grande scioltezza Russo passa dal socio in odore di mafia ai salotti delle banche della City. È titolare anche della Russo International Ventures, un marchio che si occupa di leasing nel mondo dell’aviazione civile e detiene diverse partecipazioni. Società che nel lontano 1992 aveva persino strappato un contratto di consulenza con Aeroflot per il leasing di aeroplani o pezzi di ricambio per Iran Air. Un curriculum che fa di Craig un cliente affidabile per le banche. La finanza, però, sospetta che dietro di lui ci siano banche iraniane. Un sospetto che è diventato quasi certezza quando sul cellulare di Russo gli agenti hanno trovato il documento di un’operazione da un miliardo di euro. Un trasferimento fondi da parte della Barclays Bank a favore della Banca Maskan, istituto di credito di Teheran. Secondo i detective sarebbe «un’anticipazione di provviste a fronte di idonea garanzia bancaria che l’istituto di credito iraniano rilascia a beneficio di tutti quei soggetti che procederanno ad utilizzare i fondi in questione per effettuare operazioni di importazioni o di esportazione». Ancora una volta, dunque, missione compiuta per Craig l’americano e i suoi soci segreti.

Aggiornamento del 13 aprile 2016, ore 12,30: Finmeccanica: C'era una volta una lettera di intenti

Aggiornamento del 31 gennaio 2017

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