Una caserma dismessa da vent’anni. Dove ora gli immigrati imparano l’italiano e un lavoro. E la domenica sfidano a calcio le squadre locali.
A pochi chilometri da Treviso,
un modello d’asilo che funziona (Foto di Fabrizio Giraldi)
S ono nigeriano e cattolico, per me l’Italia è il cuore del cristianesimo e della fede: mi ha impressionato vedere cattolici come me che ce l’hanno su coi neri, che ci insultano, che ci attaccano. Italiani con la mia stessa fede che distruggono il nostro cibo. È stata la prima volta in vita mia che ho visto dei cristiani razzisti: è stato uno shock». Luis Antonio ha 20 anni e una fede in Dio superiore perfino a quella nel calcio: dopo il viaggio dalla Nigeria si è fatto due mesi di galera in Libia, l’attraversata in barcone del Mediterraneo, fino all’accoglienza «incredibile» in Sicilia. Quindi è arrivato in bus a Treviso. E qui ha scoperto il «razzismo cristiano». Era il 16 luglio scorso, Luis era con altri 100 richiedenti asilo, tutti inizialmente destinati a una trentina di appartamenti in zona ma tutti respinti dai condomini con la benedizione morale del governatore leghista Luca Zaia e con il sostegno muscolare della locale sezione di Forza Nuova: mobili bruciati, televisori e materassi distrutti, l’aggressione di un nerboruto forzanovista a un operatore. «Il giorno dopo però ci hanno trasferito qui alla Caserma Serena», continua Luis Antonio, «e grazie a Dio si sta bene. Siamo tanti ma si sta bene».
[[ge:rep-locali:espresso:285193906]]La “Serena” era la centrale militare operativa per il nord est d’Italia quando il comunismo era una minaccia: poi, da quando ha smesso di esserlo, 20 mila metri quadri di superficie abbandonati. Dopo le distruzioni e le aggressioni ai migranti, la prefettura ha buttato l’occhio su questa struttura, che sorge al confine tra il comune di Treviso e quello di Casier, frazione Dosson, a due passi dal cimitero, come soluzione per accogliere i profughi cacciati. «L’abbiamo rimessa in piedi in 24 ore, era il 17 luglio: non era in pessime condizioni ma era da anni abbandonata. Abbiamo dovuto fare un grosso lavoro in tempi record», racconta Gian Lorenzo Marinese, uno dei responsabili. Ai cento richiedenti asilo iniziali se ne sono presto aggiunti altre decine e decine: ghanesi, maliani, sudanesi, senegalesi, camerunesi, afgani, pakistani, nigeriani, eritrei. La maggior parte portati in bus dalla Sicilia, altri giunti attraverso la rotta balcanica.
Il centro messo su in quattro e quattr’otto è arrivato così a ospitare 450 profughi. Numeri importanti, in un contesto difficile e non solo per le aggressioni. Il sindaco leghista di Castello di Godego, ad esempio, ha imposto che nel suo comune eventuali appartamenti per accogliere i rifugiati avessero almeno un bagno ogni due persone: non ne sono stati trovati. Ciò non toglie che la prefettura abbia fatto passi avanti: dall’inizio della crisi i comuni che hanno accettato richiedenti asilo sono passati da 16 a 34 su un totale di 95, hanno detto sì anche amministrazioni del Carroccio.
La quota assegnata alla provincia parla di 1.554 persone, il 23 marzo erano arrivati in 1.447 e una bella fetta concentrati proprio alla “Serena”. Una presenza che da subito ha dato la stura agli attivisti di estrema destra, che in zona non mancano: Forza Nuova, ad esempio, ha organizzato presidi, gazebo e raccolte di firme. «Siamo come un telefono erotico anti immigrati, chi non li vuole ci chiama e noi arriviamo», dice Davide Visentin, responsabile Fn del Veneto, capelli rossi e cuore nero. Scritte contro i richiedenti asilo sono apparse sui muri della caserma di notte, l’ultima a metà marzo. Molti abitanti delle case adiacenti, tutti militari o ex militari, chiedono di innalzare un telo perché i rifugiati non possano vedere la gente in terrazza, o viceversa. «Vivo di fronte», dice Domenico Piccoli, ex forzista e promotore del Comitato Serena, parlando dal suo giardino, «e l’altro giorno un’anziana si è rifugiata da me perché la stavano palpeggiando. Non siamo sicuri qui, passano solo neri, sembra di essere in Africa». «Mia figlia ha paura, ha 14 anni», l’eco di Michela Corò, un’altra vicina: «Quando scende dall’autobus mi chiama e devo andare a prenderla, la fermata è proprio davanti alla caserma». Piccoli ha chiesto ai gestori del centro di «distribuire del bromuro per prevenire il rischio di molestie sessuali», anche se poi alla questura di denunce non ne arrivano. «Siamo noi i primi a suggerire ai residenti di fare denuncia se c’è qualcosa che non va», rispondono al centro. «Altrimenti è solo propaganda becera perché si accusano persone senza prove».
Forse le prove mancano anche perché le cose alla “Serena” funzionano. E bene, finora: «Vogliamo fare della “Serena” un modello», dice Marco Marciai, un altro dei gestori. «Qui si fanno corsi di italiano e professionali di falegnameria, elettricista, cucito, parrucchiere, si gioca a calcio e a cricket, c’è un centro per il riconoscimento, c’è un centro sanitario, c’è un controllo stretto su chi entra e chi esce e stiamo sviluppando un metodo per permettere agli ospiti di svolgere lavori socialmente utili».
La Scientifica gestisce il processo di identificazione, il personale dell’Ufficio immigrazione della Questura le pratiche per i permessi di soggiorno, con tempi ridotti al minimo, la Usl procede alla prima visita e quindi un ambulatorio rimane aperto 24 ore su 24 per seguire gli ospiti del centro. Tra loro c’è Monday, ventenne nigeriano rimasto senza genitali per l’esplosione di una mina: il suo caso è stato preso in carico da una clinica di Trieste specializzata in ricostruzione dei genitali.
La locale direzione provinciale del lavoro ha scovato un fondo sperimentale per migranti volontari che copre l’assicurazione di 0,85 euro al giorno necessaria per svolgere lavori socialmente utili. Una soluzione inventata in loco e che potrebbe essere esportata in tutta Italia. «Abbiamo chiesto che gli ospiti possano ripulire l’area dietro alla caserma», spiega Giuriati. Si tratta di 90 mila metri quadri che fino al 1964 hanno ospitato gli sfollati di Treviso del bombardamento alleato del 7 aprile 1944, e quindi i profughi della Dalmazia: dal 1968 è in mano alla vegetazione. «Recuperare un’area legata ai nostri sfollati grazie al lavoro di questi profughi avrebbe un valore simbolico enorme», riflette il sindaco di Casier.
Ma non c’è soltanto il lavoro. Il Serena Football Club, ad esempio, è nato come una scommessa della gestione del centro, dopo che sul cemento del piazzale dell’alzabandiera ogni giorno si sfidavano, e continuano a farlo, decine di ospiti, quasi tutti africani: afgani e pakistani infatti preferiscono correre dietro alla pallina del cricket. «Abbiamo selezionato un gruppo di calciatori, non è stato facile ma non potevamo prendere in squadra tutti», dice Enrico dell’Osso, allenatore della Primavera della Lucchese. Ha risposto subito con entusiasmo alla richiesta di aiuto giunta da Treviso e si è trasferito al nord per seguire questa scommessa, iscritta alla serie C del campionato amatori Marca Trevigiana. Iarno Girardi, ex Benetton Treviso di rugby, lo aiuta per la preparazione fisica. Al momento il Serena Football Club va benino in campionato e si gioca la semifinale di coppa contro il Città del Piave.