Il consiglio dei ministri ha deciso: il municipio della provincia di Reggio Emilia va sciolto perché condizionato dal clan. È la prima volta che accade in Emilia. Arriveranno tre commissari per almeno 18 mesi
Sul filo del rasoio il Consiglio dei ministri ha deciso: sciogliere il Comune di Brescello, provincia di Reggio Emilia. A pochi giorni, dunque, dallo scadere del termine di tre mesi previsto dalla legge. E nel giorno in cui è ripreso
il maxi processo con 147 imputati contro la 'ndrangheta, scaturito dell'inchiesta che ha portato al provvedimento su Brescello.
Finisce così la favola del
paese di Peppone e don Camillo. Strade basse, casali, pianura verdissima e bagnata dal grande fiume Po, che divive questa terra dalla provincia di Mantova. Costretto, ora, a fare i conti con una situazione inedita per la regione. Un'etichetta amara, il primo municipio dell'Emilia a essere sciolto per infiltrazioni mafiose. Finale Emilia, infatti, è stato salvato dallo stesso destino pochi mesi fa. Nonostante la prefettura di Modena ne avesse chiesto lo scioglimento. I problemi di Brescello si chiamano 'ndrangheta. Condizionato, secondo gli ispettori della prefettura, dall'organizzazione che ha cuore e portafoglio proprio in questo paese di 8 mila abitanti.
Una decisione per nulla scontata. Nonostante evidenti sottovalutazioni e complicità del territorio finite tutte dentro la relazione dei commissari inviati dal prefetto che dovevano verificare se l'ente era stato o meno inquinato dal clan. Brescello, comunque, non aveva più un sindaco da quando, qualche mese fa, Marcello Coffrini si era dimesso.
Eletto con il Pd, aveva in tutti i modi retto all'urto delle polemiche suscitate dopo
l'intervista rilasciata al Collettivo Corto Circuito in cui definiva «una brava persona» il boss Francesco Grande Aracri. Nei giorni a seguire dopo la messa in onda, aveva persino organizzato una manifestazione in piazza per mostrare alle istituzioni quanto i cittadini lo volessero ancora primo cittadino. Tutti con lui: anche il parroco.
Non si è dimesso neppure dopo l'arrivo della commissione d'accesso inviata dal prefetto. E in un primo momento, lo stesso Pd è stato molto timido nel chiedere a Coffrini di fare un passo indietro. Ma nel momento in cui il prefetto ha inviato la relazione al Viminale con chiedeva lo scioglimento qualcosa è cambiato. Lo spettro del primo ente chiuso per mafia ha portato il partito insistere, anche se non sempre pubblicamente, affinché il sindaco lasciasse l'incarico. Qualcuno, forse, pensava che con questa mossa si potesse evitare la decisione più estrema: lo scioglimento. In vista, tra l'altro delle imminenti elezioni del 5 giugno, giornata di voto anche a Brescello. Non più.
Perché ora arriveranno tre commissari a gestire il municipio per almeno 18 mesi. Solo dopo si terranno nuove elezioni. Il clima che troveranno i funzionari del ministero non sarà dei migliori. La tensione resta alta. Gran parte della famiglia del capo clan è in libertà. I cittadini volevano l'ex sindaco e lo hanno sostenuto anche dopo il clamore delle sue parole di amicizia verso il boss.
Qui la 'ndrangheta non è mai stata avvertita come un problema. Perché dal '92 non si spara. Perché le imprese della 'ndrina hanno lavorato ovunque. E fatto lavorare. Se questa è la mafia, pensano in molti, allora non è poi così tanto male.
Tuttavia, l'inchiesta Aemilia( oltre 200 indagati) racconta un volto diverso della
'ndrangheta emiliana. Fatto di corruzione, violenza, quattrini sporchi. Il controllo del territorio avviene con il potere dei soldi. Delle relazioni. E quando serve c'è sempre il fuoco o il piombo per convincere le persone che non si piegano.
Nella relazione di scioglimento in mano al Viminale c'è uno spaccato inquietante di condizionamento mafioso del comune. Fonti autorevoli, riferiscono, per esempio, della cessione di un terreno da parte della vecchia giunta, guidata dal padre dell'ex sindaco, dove le famiglie del clan hanno potuto realizzare il loro quartierino. Con ville e capitelli.
D'altronde, il vecchio sindaco, che ha governato per tantissimo tempo, ha difeso, in passato, i Grandi Aracri(il nucelo familiare che dà il nome al clan dell'indagine Aemilia) in diversi procedimenti davanti al tribunale amministrativo.
La situzione che troveranno i commissari è complessa.
Tra nuove leve pronte a prendere il posto dei reggenti in carcere al 41 bis e cittadini spaventati più dal periodo di commissariamento che dai boss di Brescello.