Ecco tutte le volte che il cardinale ha mentito sul super-appartamento. Ora rischia l’incriminazione. Ma molti prelati: “Sarebbe una follia”

Tarcisio Bertone
L'inchiesta sull’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone sta scuotendo la Santa Sede, e i giudici del Vaticano sono all’impasse: la pubblicazione dei documenti (da parte de “l’Espresso”) che dimostrano come Tarcisio Bertone fosse da sempre a conoscenza del fatto che il restauro sarebbe stato finanziato direttamente dalla Fondazione dell’ospedale Bambino Gesù ha infatti cambiato le carte in tavola.

Se finora l’inchiesta si era concentrata sui presunti illeciti del manager preferito dal cardinale, Giuseppe Profiti, e sull’ex tesoriere della onlus Massimo Spina, chiudere la partita in tribunale senza coinvolgere anche Bertone sembra ora una mission impossible. A meno di equilibrismi giudiziari e volontà politiche che, in Vaticano, contano più di qualsiasi codice penale.

Esclusivo
Le bugie del cardinal Bertone sull'attico
31/3/2016
La tensione è alta. Molti prelati di spicco, e non solo della vecchia guardia conservatrice, sono infatti contrari ad una investigazione diretta dell’ex segretario di Stato, e definiscono l’apertura dell’inchiesta per peculato e appropriazione illecita «una vera follia». Qualcuno s’è spinto a protestare con il numero due di papa Francesco, il cardinale Pietro Parolin, evidenziando che iscrivere nel registro degli indagati anche Bertone sarebbe considerato «un attacco diretto a Benedetto XVI», il papa emerito che - quand’era in carica - ha sempre difeso il suo braccio destro. Spiegano in tanti: «Nemmeno la commissione d’indagine Cosea e i revisori di PwC, che avevano indagato sul Bambino Gesù, avevano messo nero su bianco il pasticcio dell’attico. E non è un caso».

La linea difensiva del salesiano, però, non ha finora giovato a coloro che lo vogliono lontano dal palazzo del tribunale. «Quelle di Bertone sono risposte deboli e omissive», commentano i presuli riformisti che vogliono che si faccia finalmente trasparenza e pulizia. E i suoi nemici rincarano: «È un fatto che il 7 novembre 2013 Profiti abbia mandato una lettera al cardinale in cui propone la Fondazione come ente pagatore dei lavori di ristrutturazione, ed è un fatto che Profiti abbia chiesto in cambio la possibilità di effettuare incontri istituzionali nell’appartamento. È sicuro che il giorno dopo Bertone abbia risposto accettando la generosa offerta, e che abbia allegato un elenco di interventi da realizzare».

Dopo la pubblicazione dell’inchiesta de “l’Espresso” sulle bugie di Bertone, l’avvocato del cardinale ha tuttavia ribadito che l’investimento della Fondazione (ben 422 mila euro) è avvenuto a insaputa del cardinale, «che non ha mai dato indicazioni, o autorizzato, la Fondazione ad alcun pagamento... la stessa lettera pubblicata da “l’Espresso” conferma integralmente la veridicità di quanto da lui sempre affermato: nella risposta al professor Profiti si chiarisce che la volontà di Sua Eccellenza è quella di nulla porre a carico della Fondazione, comunicandogli al contempo che sarà cura del cardinal Bertone stesso di procedere alla ricerca di finanziamenti per i lavori da espletarsi nell’appartamento».

Un’arrampicata sugli specchi piena di buchi e lapsus, che non smentisce nulla e omette fatti indiscutibili. Bertone forse dimentica che, dopo la pubblicazione del saggio “Avarizia”, aveva escluso con forza di essere a conoscenza delle iniziative della Fondazione. Se lo scorso 5 novembre aveva spiegato di aver pagato lui le fatture dei lavori, circa 300 mila euro, e aveva negato «in maniera categorica di aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione ad alcun pagamento», il 20 dicembre, a domanda precisa di Gian Guido Vecchi del “Corriere della Sera” («Sapeva che Profiti ha parlato di un investimento di “marketing” perché lei era un prezioso testimonial dell’ospedale?»), Bertone risponde secco: «No. Non sapevo. Ho letto che hanno giustificato così. Ma non voglio entrare in tutto questo, io sono totalmente fuori da una simile faccenda, mi sembra una cosa fuori della realtà». Bertone ha mentito su tutti i fronti: non solo ha dato indicazioni alla Fondazione allegando i “desiderata” da realizzare, ma sapeva bene che Profiti avrebbe giustificato l’investimento con la storia degli “incontri istituzionali” da tenere nell’appartamento (non si sono mai tenuti).

Non è tutto. L’avvocato del cardinale ha sottolineato come il suo assistito avesse esplicitato nella lettera che lo inchioda che avrebbe cercato un benefattore “terzo” che si accollasse il costo della ristrutturazione. Ebbene, se da un lato non è chiaro per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto aiutare il prelato a ristrutturare una casa da 300 metri quadri più terrazzo panoramico invece dei bimbi malati dell’ospedale, dall’altro è certo che Bertone non ha mai trovato alcun mecenate, e che i 422 mila euro sono stati pagati proprio dalla onlus.

Ma come mai Bertone nella lettera a Profiti insiste parlando di un possibile benefattore? Perché lui e Profiti avevano già trovato il “filantropo”. Chi è? Ma la stessa ditta Castelli Re di Gianantonio Bandera, il costruttore amico del salesiano che ha effettivamente realizzato i lavori.

Proprio così. Il 29 ottobre 2013, in una missiva spedita a Profiti, l’imprenditore spiega di aver allegato «i preventivi per la ristrutturazione dei locali del terzo piano del Palazzo San Carlo». E aggiunge: «Relativamente all’importo così determinato (307 mila euro, ndr) dichiariamo sin d’ora la nostra disponibilità a versarlo a codesta Fondazione in due rate di eguale importo entro 60 e 120 giorni dalla data di ricevimento da parte Vostra del pagamento per i lavori effettuati. Gli importi, donati a titolo di liberalità, si intendono sin d’ora vincolati all’acquisizione di attrezzature e realizzazione di opere per la cura dei bambini del Bambino Gesù».

In pratica, il gruppetto precostituisce una inspiegabile partita di giro: Bandera vince l’appalto per ristrutturare casa Bertone, la Fondazione paga Bandera, che poi promette di restituire lo stesso importo ricevuto alla Fondazione dopo qualche mese. Soldi che, come sappiamo, non torneranno mai. Bandera ha incassato a Londra, e non risulta che nessuno (né Bertone, né Profiti né il Vaticano) abbiano intentato azioni legali contro di lui.

I giudici sospettano che tutta la corrispondenza sia stata precostituita, in modo da giustificare ex-post un investimento illecito: perché, come scrive il promotore di giustizia nell’atto che accusa Profiti e il tesoriere, «sull’immobile nessuna competenza e nessun interesse poteva vantare la Fondazione».

Non è tutto. Bandera spedisce lo stesso identico preventivo (615 mila euro da scontare della metà) sia al Governatorato sia alla Fondazione: il 28 ottobre 2013 all’organismo guidato dal cardinale Giuseppe Bertello, il giorno dopo all’onlus di Profiti. Inspiegabilmente, con prezzi maggiorati per alcune migliorie, pagheranno entrambi (il Governatorato si rivarrà su Bertone, che ha evidentemente grandi disponibilità finanziarie) con un esborso totale che sfiora gli 800 mila euro. Il Vaticano con una cifra del genere poteva comprarsene un altro, di appartamento.