La Santa Sede indaga sui lavori dell'appartamento del prelato pagati dal Bambino Gesù. Sotto accusa due uomini vicini all'ex Segretario di Stato. Ecco le carte che provano menzogne e opachi giri di denaro

Il cardinale Tarcisio Bertone
Il Vaticano ha aperto un’inchiesta sull’attico di Tarcisio Bertone. Un’istruttoria penale scaturita dalle rivelazioni del saggio "Avarizia", pubblicato da chi scrive, che rischia di sconvolgere gli assetti della curia romana e di terremotare nuovamente la Santa Sede: i giudici di papa Francesco ipotizzano infatti reati gravissimi («peculato, appropriazione e uso illecito di denaro», si legge nelle carte d’accusa dei magistrati) e hanno già trovato i riscontri documentali che dimostrano senza ombra di dubbio che i lavori di ristrutturazione dell’appartamento sono stati pagati dalla Fondazione dell’ospedale pediatrico "Bambino Gesù". Soprattutto, rovistando nell’archivio dell’associazione, hanno trovato indizi di una possibile doppia fatturazione, e lettere firmate che inchiodano il cardinale: Bertone ha sempre sostenuto di essere all’oscuro di eventuali finanziamenti di terzi, e invece è sempre stato a conoscenza che i soldi del restauro dell’appartamento venivano dall’ente di beneficenza.

L’indagine è considerata «delicatissima». Perché rischia di coinvolgere altri prelati e laici di spicco, in primis. E perché la Fondazione ha investito nella magione di 300 metri quadri non 200 mila euro, come avevo sottostimato nel libro, ma ben 422 mila euro. Che ha saldato non alla ditta che aveva vinto l’appalto, ma a una holding di diritto britannico dietro cui ci sarebbe sempre Gianantonio Bandera, il costruttore amico di Bertone che ha realizzato i lavori con una spa italiana. Un pagamento avvenuto con bonifici estero su estero partiti dai conti presso Ior e Apsa della Fondazione vaticana.

Per ora sul registro degli indagati del promotore di Giustizia sono finiti in due: Giuseppe Profiti, da sempre manager di fiducia di Bertone e all’epoca dei fatti presidente sia del Bambino Gesù che della Fondazione, e l’ex tesoriere Massimo Spina. Il Vaticano considera entrambi «pubblici ufficiali» vaticani, e li accusa di concorso in peculato perché «si sono appropriati» si legge nel capo d’accusa «e comunque hanno utilizzato in modo illecito» fondi dell’ospedale «per pagare lavori di ristrutturazione edilizia di un immobile di terzi sito all’interno della Città del Vaticano, sul quale nessuna competenza e nessun interesse poteva vantare la predetta Fondazione».

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Nel documento non viene citato il nome di Bertone, ma difficilmente la Santa Sede potrà "coprire" a lungo (come sospetta qualcuno) il prelato, evitando un suo coinvolgimento diretto nello scandalo: lettere firmate e atti riservati a cui "l’Espresso" ha avuto accesso, infatti, dimostrano come il segretario di Stato di Benedetto XVI sia invischiato nello scandalo fino al collo, e sapesse fin dall’inizio che sarebbe stata (anche?) la Fondazione a sganciare quattrini per il suo impianto stereo da 19 mila euro, il parquet in listoni di rovere e il pavimento in marmo di Carrara. Se Bertone fosse incriminato non sarebbe comunque giudicato dal tribunale ordinario che sta indagando su Profiti e il tesoriere, ma dalla Corte di Cassazione della Città del Vaticano. Secondo la giurisdizione d’Otretevere è quello l’unico organo che ha il potere di aprire un’istruttoria sui peccati dei cardinali di Santa Romana Chiesa. Sarebbe il primo caso della storia.

TARCISIO IL BUGIARDO
Andiamo con ordine. È un fatto che a fine 2015, dopo le rivelazioni di "Avarizia", il promotore di Giustizia del Vaticano - non sappiamo se per sua decisione o su denuncia del nuovo capo del Bambino Gesù, Mariella Enoc - apra un’inchiesta per far luce sullo strano giro di soldi intorno l’attico. Gli investigatori trovano presto le prime prove di presunti ma gravi illeciti. "L’Espresso" le ha in mano tutte. Tra cui due lettere, che inchiodano sia Profiti sia Bertone alle loro responsabilità.

Nella prima, datata 7 novembre 2013, il presidente dell’ospedale pediatrico spiega «all’Eminenza Vostra Illustrissima» di essere disposto a pagare la ristrutturazione della casa, chiedendo in cambio la disponibilità ad ospitare, di tanto in tanto, qualche «incontro istituzionale» tra le mura del Palazzo San Carlo, residenza meravigliosa del cardinale a 50 metri dagli alloggi di papa Francesco a Santa Marta. «Eminenza Reverendissima, come a Sua conoscenza l’attività di questa Fondazione, nata e sviluppatasi per supportare l’attività del Bambino Gesù e specificatamente quella rivolta ai piccoli pazienti più fragili, è venuta crescendo nell’ultimo quinquennio. Ciò in relazione ai mutamenti operati nella struttura della Fondazione secondo le indicazione da Lei formulate», scrive il presidente che evidenzia come sia proprio il cardinale il regista delle strategie di raccolta fondi della onlus.

La lettera di Profiti, presidente della Fondazione Bambin Gesù, mandata a Bertone il 7 novembre 2013, in cui il manager si offre di pagare i lavori di ristrutturazione della casa del cardinale



«Come per il passato, il ruolo dell’Eminenza Vostra Illustrissima quale ospite di queste sessioni di confronto sarebbe garanzia certa di successo in quanto a partecipazione e relativamente nei successivi ritorni istituzionali ed economici. Ancora più certi e positivi sarebbero tali esiti se la sede di tali iniziative potesse essere resa disponibile presso quella che sarà la dimora dell’Eminenza Vostra, con ciò dando un senso ulteriore di esclusività ai partecipanti», declama Profiti prima di gettare l’amo. «Ovviamente sia gli incombenti necessari a realizzare in modo adeguato quanto occorrente ad ospitare tali incontri quanto gli oneri per il loro svolgimento sarebbero a carico di questa Fondazione. Qualora l’Eminenza Vostra intenda condividere quanto proposto disponga pure la trasmissione alla mia persona delle previsioni formulate circa l’adeguamento di quanto occorrente alla realizzazione del programma di attività delineato...Sarà mia cura contattare i referenti e procedere con loro alla definizione degli oneri attraverso i quali si intende contribuire ai gravami che l’attività da svolgere richiederà all’Eminenza Vostra», conclude il manager.

Dopo la pubblicazione di "Avarizia", Bertone ha smentito categoricamente di essere a conoscenza del fattaccio. «Una vergogna, difendersi dalle calunnie è quasi impossibile» spiegò indignato al "Corriere della Sera". «Ho pagato 300 mila euro, di tasca mia, secondo le fatture che mi aveva mandato il Governatorato, proprietario dell’immobile. I 200 mila euro versati dalla Fondazione? Io non ho visto nulla. Ed escludo in modo assoluto di aver mai dato indicazioni o autorizzato la Fondazione ad alcun pagamento».
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Bertone forse non ricordava che l’8 novembre 2013, il giorno dopo aver letto la missiva di Profiti, aveva invece preso carta e calamaio, e risposto immediatamente all’offerta dell’amico. Accettando di buon grado la sua generosa proposta, e allegando persino qualche "desiderata" sulla ristrutturazione che sarebbe dovuta iniziare da lì a breve. «Egregio Professore, la ringrazio per la lettera del 7 novembre, che mi ha inviato a nome della Fondazione Bambino Gesù, che ho sempre seguito e sostenuto nelle sue alte finalità, specialmente per la cura dei pazienti più fragili residenti in paesi disagiati e particolarmente bisognosi di aiuto», scrive Bertone. «Al riguardo, come già riferito nelle vie più brevi, tengo a confermare che sarà mia cura fare in modo che la copertura economica occorrente alla realizzazione degli interventi proposti nella documentazione che allego, venga messa a disposizione della Fondazione a cura di terzi, affinché nulla resti a carico di codesta Istituzione. Della quale mi metto sin d’ora a disposizione come richiesto per continuare quest’opera meritoria. Con fraterni saluti e auguri di buon successo». La lettera, firmata, è protocollata nell’archivio della Fondazione al numero 852, tra i documenti della "Presidenza".

La lettera di risposta di Bertone a Profiti, mandata l’8 novembre 2013: il cardinale ringrazia e accetta l’offerta, allegando anche la documentazione con alcuni interventi da realizzare



ATTICI, TRAFFICI E CONTI INGLESI
Bertone dunque non solo sapeva, ma è lui stesso a favorire l’investimento sul suo attico. Sa perfettamente che la Fondazione dovrebbe aiutare i bimbi «fragili e bisognosi di aiuto», tanto che s’impegna a trovare fantomatici benefattori «terzi»: invece l’esborso - oltre 422 mila euro - alla fine viene accollato integralmente alle casse dell’ente benefico. Per la cronaca, a casa Bertone non si è mai tenuto nessun evento istituzionale della Fondazione vaticana.

Studiando missive e documentazione contabile i magistrati si mettono le mani nei capelli. Non solo perché è evidente che il cardinale non ha rispettato l’ottavo comandamento, «Non dire falsa testimonianza», ma anche perché trovano conferma che i lavori sono stati realizzati - come già sostenuto da "Avarizia" - da una ditta romana, la Castelli Re, il cui titolare Gianantonio Bandera è amico personale dell’ex segretario di Stato. Un costruttore che fu pure nominato - ai tempi in cui il cardinale era arcivescovo di Genova - membro del Magistrato di Misericordia, un’opera pia ligure che amministra immobili della Chiesa.

La lettera del costruttore Bandera, che chiede a Profiti l’autorizzazione per cedere il contratto di appalto a una holding londinese (sarà lei a fatturare alla Fondazione 422 mila euro), e la risposta affermativa del braccio destro di Bertone



Ma scoprono ulteriori, imbarazzanti dettagli. Se i lavori sono effettuati materialmente dalla Castelli Re, è un’altra la società che incassa le parcelle. «I 422 mila euro sono stati utilizzati» chiariscono gli inquirenti vaticani «traendoli da conti correnti riconducibili alla Fondazione accesi presso l’Apsa e lo Ior, a seguito di sette fatture emesse dalla Lg Concractor Ltd». Una holding inglese aperta da Gianantonio Bandera nel maggio del 2009. Ma perché Profiti paga la nuova azienda senza battere ciglio? È Bandera a chiederglielo attraverso una raccomandata spedita alla Fondazione Bambino Gesù il 27 novembre 2013. «Con la presente siamo ad informarvi che la scrivente Castelli Re Spa appaltatrice dei lavori posti al terzo piano del Palazzo San Carlo in Piazza Santa Marta (più riqualificazione del terrazzo di copertura), intende cedere il contratto di appalto alla società Lg Concractor Ltd con sede a Londra», ragiona il costruttore amico di Bertone. «Vi preghiamo di inviarci la vostra espressione di consenso a detta cessione, che vorrete inviare per posta riservata alla mia attenzione». Consenso che Profiti darà cinque giorni più tardi, con una risposta protocollata in cui conferma a Bandera «l’accettazione incondizionata» della cessione dell’appalto alla società inglese.

I soldi destinati ai bambini malati, così, vengono prima investiti nella ristrutturazione di una casa del potente cardinale, poi finiscono a Londra. Come mai questo giroconto voluto dal costruttore? A pensar male si fa peccato, ma a "l’Espresso" risulta che la Castelli Re - quando ha ottenuto l’appalto - navigava in pessime acque.

Non è un caso che il 31 marzo 2014 Bandera, sommerso dai debiti e dal bilancio in rosso, fa domanda di accesso al concordato preventivo, proponendo un piano che non convincerà il commissario giudiziale nominato dal tribunale di Roma: con una sentenza dello scorso 27 luglio i giudici dichiarano il fallimento della Castelli Re. I soldi che Bandera ha incassato dal Vaticano, di certo quelli ricevuti dalla Fondazione, sono al sicuro a Cavendish Square, la sede della Lg Contractor a due passi dall’elegante Bond Street.

IL MISTERO DEL DOPPIO PAGAMENTO
«Mi pare che la vicenda si stia risolvendo, anzi è risolta positivamente e ringrazio il Signore che anche da questo momento di difficoltà si sta uscendo in maniera tutto sommato costruttiva», aveva affermato lo scorso dicembre il numero due di papa Francesco Pietro Parolin, commentando la donazione "volontaria" di 150 mila euro fatta da Bertone all’ospedale. «Il cardinale pur confermando di essere estraneo a versamenti di denaro a suo favore ha voluto venirci incontro», aveva aggiunto il neo presidente del nosocomio Mariella Enoc, cercando di sopire lo scandalo ma dimenticando - scopriamo solo ora - di evidenziare che il danno subito dal suo ospedale era assai più alto di quello ipotizzato da "Avarizia", e che il risarcimento di Bertone copre solo un terzo del maltolto. «Ora vorrei che il clima di questo ospedale si riconciliasse con il passato».

Ma il rischio, invece, è che l’inchiesta apra un vaso di Pandora. I membri del cda della Fondazione che ha dato l’ok al Finanziamento (tra loro c’era anche il banchiere Cesare Geronzi) potrebbero essere chiamati a testimoniare in aula. Non basta: carte alla mano c’è il sospetto - fortissimo - che i restauri siano stati pagati due volte, e che qualcuno si sia intascato centinaia di migliaia di euro. Bertone, infatti, in una email al sottoscritto non solo sosteneva che «l’appartamento di mia residenza è di proprietà del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano», ma ha pure specificato di aver «versato al medesimo Governatorato la somma richiesta come mio contributo ai lavori di ristrutturazione». Circa 300 mila euro. «Mentre avanzavano i lavori e alla Ragioneria arrivavano le fatture da pagare, fui invitato dal governatorato a saldare. È come risulta da una precisa documentazione, ho versato al governatorato la somma», ha confermato al "Corriere".

Tralasciando la sorpresa di un uomo di Chiesa con un conto in banca capace di coprire sull’unghia spese per quasi mezzo milione di euro (tra lavori e successiva donazione), il pagamento non è mai stato smentito dal Governatorato, organismo presieduto dal cardinale Giuseppe Bertello. Dal momento che è certo che la Fondazione ha pagato Bandera con altri 422 mila euro, delle due l’una: o Bertone mente di nuovo - coperto dagli uffici del Governatorato - e non ha mai versato un euro, o il costruttore ha ottenuto per la medesima ristrutturazione non solo i denari della Fondazione, ma anche i 300 mila euro di Bertone e fatturati dagli uffici della Santa Sede.

Possibile che nessuno in Vaticano, a parte Bertone e Profiti, si fosse accorto di nulla prima dell’uscita di "Avarizia"? Sembra strano. Anche perché "l’Espresso" ha visionato le tre offerte per il bando di gara, inviate (almeno così sembra dall’intestazione) proprio dal Governatorato il 21 ottobre (La Castelli Re, che fa una preventivo vincente da 615 mila euro, da scontare però del 50 per cento: ecco qui i 300 mila euro di cui parla Bertone), il 17 ottobre (dalla società "Sercasa" controllata dal costruttore di Lecco Giacomo Fumeo, che chiede 637 mila euro) e il 18 ottobre (dalla sconosciuta "Pro.ge.co.", srl con sede all’Aquila ma con un numero telefonico che rimanda al paesino laziale di Rocca di Papa; presenta un’offerta da 666 mila euro).

Vincerà Bandera, come sappiamo. È fine ottobre 2013. Le lettere scambiate tra Profiti e Bertone sono del 7 e 8 novembre, dunque successive alla gara. E mettendo in fila fatti e documenti, sembrano un tentativo mal riuscito di mettere una toppa a un illecito mal organizzato. Una toppa che ora è diventata assai peggio del buco.