I trafficanti di uomini hanno già risolto il problema. Percorsi alternativi in barca dalla Turchia all’Italia. Poi trasferimenti in auto verso il Nord. ?E sono sempre più evidenti i legami con i gruppi fondamentalisti

I muri di ferro e filo spinato eretti dai governi per sigillano le frontiere sulla rotta balcanica non preoccupano i trafficanti. I boss dell’immigrazione hanno già sperimentato un “percorso alternativo”: la via del mare che collega la Turchia all’Italia. Che, ora, potrebbe diventare il corridoio principale per fare entrare i migranti in Europa.

Il piccolo Aylan era partito da quelle coste. Dalla diffusione dell’immagine del suo corpo senza vita che ha commosso e indignato, le partenze dalle coste turche si sono intensificate. Tanti piccoli Aylan partono dalle stesse coste. Diretti, però, in Italia. Senza, quindi, passare dalla Grecia.

Un tragitto gestito da un network criminale internazionale, composto da turchi, libici, somali ed egiziani. Con ramificazioni in almeno dieci città europee. La base italiana è tra le principali. Perché da qui gestiscono anche i trasferimenti “interni” verso Olanda, Germania, Danimarca e Svezia. L’organizzazione intercetta soprattutto la domanda di fuga dei profughi siriani. E utilizza i porti e le spiagge della Turchia meridionale.

Uno degli hub che sfruttano di più è Tuzla. Città-distretto a 50 chilometri a Sud di Istanbul, famosa per i grandi cantieri navali tra i più importanti del settore. In questo spicchio di Mediterraneo è facile reperire vecchie imbarcazioni da riutilizzare per le traversate della speranza. Il 16 ottobre scorso nel porto di Catania sono sbarcati 330 siriani recuperati in mare dalla Marina e dalla Guardia costiera. Erano partiti 28 giorni prima proprio da Tuzla, a bordo del mercantile “Tiss” battente bandiera moldava. Prima di imbarcarsi, i migranti, hanno vissuto in un albergo a disposizione del clan. C’è chi ha pagato fino a 7.500 dollari per salire sulla nave. I bambini, invece, hanno viaggiato gratis.

Il mercantile, però, è solo l’ultima tappa di una serie di trasbordi che devono affrontare i profughi. Partono dalla costa su gommoni o barche a vela. Solo a largo vengono fatti salire sull’imbarcazione che li porterà fino a destinazione. Gli scafisti puntano prima verso Cipro e poi proseguono in direzione dell’Egitto. Testimoni hanno raccontato di lunghe soste vicino ad Alessandria d’Egitto per far salire altri migranti e per recuperare acqua e cibo. Hanno viaggiato nelle stive. E sono stati minacciati ripetutamente dagli uomini della banda con il volto coperto, armati di pistole e coltelli. Qualche testimone ha parlato anche di fucili puntati. Un incubo durato settimane.

I profughi non partono solo da Tuzla, ma anche dalle splendide spiagge di Mersin. La città è a quattro ore di macchina da Aleppo, in Siria. Sfiora il milione di abitanti e il primo nucleo risale addirittura al neolitico. Nei secoli è rimasta immutata la vocazione per il commercio marittimo. Adesso però allo scambio dei prodotti si è affiancato quello delle persone. Mersin è diventata così il crocevia dello smistamento dei migranti. È il punto di partenza. Oppure luogo di passaggio e di sosta prima di raggiungere le zone di imbarco sparpagliate nel resto della Turchia.

A Mersin, insomma, c’è la cellula strategica dell’organizzazione criminale che si arricchisce con la disperazione di donne, uomini e bambini in fuga dalla guerra. Che la città sia centrale per i trafficanti lo confermano nelle loro testimonianze i migranti arrivati nel nostro Paese: «A Mersin c’era il nostro contatto per raggiungere l’Europa. Ho pagato 6.500 dollari. Dopo una settimana ci siamo incontrati con il trafficante, che mi ha dato un appuntamento davanti a un hotel di Mersin. Qui c’erano tre minibus, con a bordo più o meno 15 persone, con questi ci hanno portati nella città di Kizkalesi, che dista 60 km da Mersin. Lì siamo stati alloggiati in un albergo che si trova sulla scogliera per circa una settimana. Poi, la sera siamo stati trasferiti, con una piccola imbarcazione, a gruppi di un’ottantina di persone, a bordo della nave mercantile con la quale siamo arrivati al porto di Catania. Prima di essere trasbordati sulla nave grande avremo navigato per un paio d’ore».

Tuzla, Mersin. E, infine, Izmir. Nome turco di Smirne, la terza città della Turchia. Anche qui c’è un gruppo di affiliati dell’organizzazione criminale. Anche da qui, dalle spiagge vicine, salpano i gommoni che porteranno i migranti sulle barche più grandi ormeggiate a largo. L’odissea per molti di loro inizia nelle strade di Smirne, che secondo gli antichi ha dato i natali proprio a Omero, autore dell’Odissea più celebre.

Per le strade di Izmir la Bbc ha persino documentato un macabro marketing dello sfruttamento: giubbotti di salvataggio esposti nelle vetrine di numerosi bazar del centro. E sempre nella provincia di Izmir a dicembre scorso sono stati ritrovati i cadaveri di due profughi bambini.

Il rischio di morire in queste traversate resta altissimo. Lo era per raggiungere la vicina Grecia, lo è ancora di più fino alle coste italiane. Per questo il fenomeno è tenuto sotto osservazione dai nostri investigatori che ipotizzano l’esistenza di un vero e proprio network del traffico di profughi siriani. Anche la procura nazionale antimafia guidata da Franco Roberti nell’ultimo rapporto segnala la rotta Turchia-Italia tra le più battute: tra il 2014 e il 2015 sono approdate 11.621 persone provenienti dai porti turchi con 65 sbarchi avvenuti in pochi mesi.

Seconda solo alla direttrice libica: i barconi continuano a partire da Zuwara e Sabrata, ma sono zone in questo momento caldissime dove si combatte senza sosta. E mentre i detective dell’immigrazione conoscono ormai molti segreti dei boss libici del traffico, poco si sa dei capi dei gruppi turchi-siriani. Che per questo continuano a operare senza troppi intoppi. Nonostante le promesse del presidente della Turchia Tayyip Erdogan, che all’Europa ha chiesto ulteriori risorse per combattere queste bande organizzate.

Il lavoro dei trafficanti prosegue anche dopo lo sbarco. Per le tratte interne l’organizzazione si affida ai cosiddetti “scafisti di terra”. Hanno diverse basi: in Sicilia, dove si occupano di agevolare la fuga dai centri di accoglienza degli stranieri che vogliono lasciare l’Italia; a Roma e a Milano, dove organizzano il viaggio in auto, in areo o in treno verso Francia, Svezia, Danimarca e Germania. In auto, da quanto risulta a “l’Espresso”, la tratta Roma-Berlino arriva a costare al migrante fino a 800 euro. Su ogni auto salgono in media quattro profughi, per un totale di 3.200 mila euro.

Il network è nel mirino di più procure. Le prime ricostruzioni confermano l’esistenza di queste cellule criminali che gestiscono, a caro prezzo, i trasferimenti verso Nord e l’assistenza dei migranti, mettendo a disposizione anche appartamenti dove alloggiano temporaneamente prima di lasciare il Paese. Il business è d’oro. E vale diversi milioni di euro che si vanno ad aggiungere ai profitti già enormi del traffico via mare.

Gli “scafisti di terra” e la rete criminale a cui appartengono sono insidiosi anche per i possibili legami con gruppi del radicalismo islamico. L’allarme lo ha lanciato la procura nazionale antimafia e antiterrorismo nel rapporto annuale riferendosi a un trafficante di uomini che fa affari in Italia: «Il promotore dell’organizzazione è seguito con attenzione in uno Stato membro della comunità europea perché sospettato di fornire sostegno a strutture di terrorismo islamico. Non è quindi azzardato ipotizzare l’esistenza di collegamenti e contatti stabili tra le organizzazioni che sfruttano l’immigrazione clandestina operanti in Europa e appartenenti a organizzazioni terroristiche di matrice islamica». Alle stesse conclusioni è arrivata la procura di Cagliari. Seguendo, però, il percorso inverso. Indagando, infatti, su sospetti jihadisti legati ad Al Qaeda, ha scoperto una rete di professionisti del traffico di esseri umani. Uno degli indagati è al vertice di un clan specializzato in questo racket.

La lotta contro i mercanti di uomini deve fare, però, i conti con gruppi molto fluidi e dinamici. Per questo difficili da indagare. Recentemente in Grecia è stata scoperta una gang formata da 16 persone di otto nazionalità diverse: con una decina di viaggi verso l’Europa ha accumulato nel giro di qualche mese 7,5 milioni di euro. Pochi spiccioli se confrontati con gli utili dei malviventi che da due anni, lontano dai riflettori, battono la rotta mediterranea che dalla Turchia conduce all’Italia.