Sono passati sette anni dal 29 giugno 2009, quando un treno merci carico di Gpl esplose nella stazione di Viareggio, causando la morte di 11 persone e quella successiva, per ustioni, di altre 21. I familiari aspettano ancora il giudizio di primo grado del processo. Ora il libro 'I treni non esplodono' ripercorre la tragedia. Con le voci di chi cerca giustizia

Era il 29 giugno 2009, poco prima di mezzanotte. 23.48. Il treno merci 50325, con quattordici vagoni-cisterna carichi di Gpl, deragliò 400 metri dopo aver passato la stazione di Viareggio. Da uno squarcio nella prima cisterna il gas si disperse come una nebbia portata dal vento: si insinua dentro le case dalle finestre aperte, nei cortili, nei garage. Poi esplose. In via Ponchielli crollarono tre palazzine, l’incendio devastò la strada.

Undici persone persero la vita quella notte, altre ventuno morirono nelle settimane successive a causa delle ustioni. Con interviste ai testimoni oculari della tragedia, al personale di servizio in stazione e ai parenti dellle vittime, ma anche studiando le deposizioni del tribunale, i due autori di 'I treni non esplodono' di Federico di Vita e Ilaria Giannini (edizioni Piano B,  ricostruiscono un mosaico di testimonianze, impressioni, particolari che trasmette la portata della tragedia, uno dei maggiori disastri ferroviari italiani. Ancora senza colpevoli: il processo infatti va avanti da anni, e per il 2016 è previsto il giudizio di primo grado.  


La copertina di 'I treni non esplodono'
Ecco un estratto di 'I treni non esplodono'

"Si poteva prevedere, c’erano state molte avvisaglie» (p. 54)


Pietro Paolini (Capostazione di Viareggio)

Pietro Paolini è uno dei tre capostazione di Viareggio, in servizio da trent’anni, trascorsi quasi tutti in questa città. Lo incontriamo proprio alla Stazione: vuole parlare con noi ma preferisce rimanere anonimo, per non mettere a repentaglio il suo posto di lavoro, così lo ribattezziamo con un nome di fantasia.

Il signor Paolini ci mostra i luoghi di quella notte, la nuova sistemazione del sottopassaggio, i binari soppressi e il muro di contenimento tirato su davanti a via Ponchielli. Ci racconta i tagli che negli ultimi anni le ferrovie stanno imponendo a tutti i livelli della loro rete: una politica di ridimensionamento dei costi che lui non può accettare, non solo perché mette in pericolo viaggiatori, cittadini e ferrovieri ma perché sminuisce la professionalità di chi per decenni ha lavorato sulle strade ferrate di tutta Italia. Quando sono entrato in ferrovia, e non era cent’anni fa, lavoravo a Pietrasanta. Tutte le stazioni erano “presenziate”, come diciamo noi. In ognuna c’era un capostazione, e se fosse continuato quel sistema non poteva succedere una cosa del genere. Perché già a Forte dei Marmi, o a Pietrasanta, o anche a Camaiore – dove non c’era il capostazione ma un guardiano – il treno sarebbe stato fermato. La tecnologia aiuta però non può intervenire, non sostituisce l’occhio umano. Questo non lo vogliono capire. Anzi, volevano togliere il capostazione anche qui: Viareggio è una delle poche che ancora ce l’ha.

Ci siamo perché abbiamo fatto una lotta, volevano togliere anche noi, per lo meno la notte. Come rsu1 abbiamo difeso il posto di lavoro, per fortuna, perché quella sera la nostra presenza è stata fondamentale, se non c’era il capostazione veniva fuori la fine del mondo. Di notte da La Spezia a Viareggio non c’è un’anima. Non c’è 1 La Rappresentanza Sindacale Unitaria (rsu) è un organo di rappresentanza interna di tutti i lavoratori di un’azienda, a prescindere dalla loro iscrizione a un sindacato. 55 nessuno a Sarzana, né a Carrara, né a Massa, né a Zona, né a Forte dei Marmi, né a Pietrasanta. Poi s’arriva a Viareggio. Se ci fosse stato qualcuno a Forte dei Marmi si sarebbe accorto che questo treno aveva dei problemi. Sferragliava. Scoppiettava. Una presenza umana avrebbe visto che qualcosa non andava, invece il treno ha proseguito e quando è arrivato qui praticamente viaggiava con metà delle ruote fuori dai binari. Il 30, quando sono arrivato c’era tutto il marciapiede pieno di sassi, il treno passando ha buttato tutto il pietrisco della massicciata sulla banchina. C’era gente ad aspettare l’Intercity ed è stata mandata nel sottopasso. Uno si è ferito, colpito da una pietra. L’esplosione non era ancora avvenuta, il treno ha continuato, il deviatore si è accorto che le cose non andavano e ha cercato di fermarlo, però un treno non è come una macchina che inchioda, ha dei tempi di frenatura più lunghi e quindi da qui [siamo sulla banchina, davanti al bar della Stazione, sul binario 1] si è fermato laggiù, all’altezza del segnale rosso.

Un'immagine del 29 giugno 2007

Saranno quattrocento metri. Si è fermato lì e la prima cisterna ha urtato contro qualcosa. La questione è controversa: c’è chi dice contro il deviatoio, chi contro quei paletti che indicano la curvatura della linea; perché lì c’è una curva, e ci sono dei paletti – i famosi picchetti – che servono per segnalarla. Noi diciamo che sono stati quelli, perché i picchetti sono più appuntiti e più alti, la prima cisterna ha urtato contro uno di questi e si è forata. Era una cosa che si poteva prevedere, c’erano state molte avvisaglie. C’erano stati degli incidenti poco prima del 29 giugno, tra San Rossore e Migliarino, proprio su questa tratta, un treno merci aveva avuto dei problemi… essendo in piena linea ci sono solo due binari, il treno si era tutto spostato verso il lato opposto, se in quel momento fosse passato un altro convoglio poteva succedere un disastro. E poi c’era stato a Vaiano, all’inizio di giugno, un incidente simile a quello di Viareggio, che per fortuna non ha avuto 56 conseguenze perché il treno non trasportava merci infiammabili. Il discorso è che quando succede qualcosa è sempre una somma di elementi. C’è quello umano, il fatto che non c’era nessuno lungo la linea. Poi erano quattordici cisterne, tante. C’è la velocità sostenuta, andava a cento chilometri l’ora. È molto, ma non è che fosse fuori norma, i treni merci andavano e continuano ad andare a quella velocità, anche quelli con le merci pericolose. Ora hanno ridotto a cinquanta all’ora ma solo “ambito Stazione di Viareggio”, e questa è veramente una cosa ridicola. In tutta Italia vanno a cento e a Viareggio, visto quello che è successo, a cinquanta. Ci sono delle regole per il trasporto delle merci pericolose: la prima cisterna e l’ultima dovrebbero essere vuote, o trasportare qualcosa di non infiammabile, in modo da limitare la pericolosità del carico. Si chiamano carri scudo. Altrimenti c’è un’altra soluzione, ancora migliore, i carri-cuscinetto: ogni carro di merci pericolose deve essere intervallato da un carro di merci innocue.

Sarebbe il massimo. Queste cose sono previste per legge però siccome hanno un costo – se metti dei carri cuscinetto invece di trasportare quattordici cisterne di gpl ne trasporti sette – non vengono fatte. Guarda, ora c’è un transito, vedi quel segnale sul verde? I carri scudo sono importanti, poi le cisterne che contengono merci pericolose dovrebbero avere il doppio fondo, in modo da non potersi bucare. Se le cisterne trasportano liquidi infiammabili devono essere a rischio zero, non si devono squarciare. E invece questa picchiando contro il picchetto si è aperta. Ecco, era proprio un treno merci, come vedi transita molto veloce. Certo, questo non trasportava niente di pericoloso. Ogni giorno a Viareggio passano quattro o cinque treni di merci pericolose. Noi siamo d’accordo al trasporto su ferrovia, non vorremmo che viaggiassero su strada, anche perché con un treno ci fai cinque camion. L’importante è che si muovano in sicurezza.

Anche nell’incidente probatorio tutto il discorso ha ruotato intorno al fatto se a bucare la cisterna sia stato il picchetto o, come dice fs, la zampa di cavallo, cioè la leva del deviatoio. È la leva dello scambio, sarà alta quindici centimetri, lo scambio è a terra e accanto c’è la cassa di manovra, serve per azionarlo. Il picchetto è più alto e appuntito. Stabilire cosa ha forato la cisterna è importante perché lo scambio è un elemento fondamentale dell’armamento ferroviario, ci deve essere per forza: dove c’è un incrocio di binari c’è uno scambio. E allora se è stata la leva del deviatoio – quella ci deve essere. Invece il picchetto è un qualcosa di esterno, è un pezzo di rotaia messo in verticale, alto più o meno cinquanta centimetri. Su quello si possono fare delle obiezioni, si potevano non mettere i picchetti, potevano essere fatti di un altro materiale... Diversamente lo scambio è indispensabile, come fa in una stazione a non esserci uno scambio? Sui picchetti c’erano già state delle osservazioni, potevano essere pericolosi anche per gli operai dell’armamento, quando vanno a fare i lavori... una cosa appuntita vicino a una rotaia, insomma, un rischio lo crea.

Parlando proprio terra terra, per ora la strage ha permesso il mantenimento del posto di lavoro per il capostazione a Viareggio ventiquattr’ore ore su ventiquattro, perché dopo quello che è successo non si sono azzardati a toglierlo. Poi magari ci riproveranno. Una cosa importante è la lotta che sta facendo insieme ai familiari delle vittime l’Assemblea 29 giugno, un comitato di cittadini nato in seguito alla strage. Però di Viareggio all’Assemblea ci andiamo in pochi. Dopo una cosa del genere ti aspetti che ci sia più coinvolgimento da parte della gente, no? Eppure è andata così. C’è stato 58 un certo menefreghismo. C’è timore. Paura di esporsi a delle ritorsioni. Non tutti se la sentono. C’è paura del licenziamento, di perdere il posto. La mattina del 30 non me la potrò mai dimenticare. Per fortuna pensai di andare a lavorare in bicicletta: era tutto militarizzato, alla rotonda del cavalcavia era pieno di gendarmi. Sicché arrivai, feci il cavalcavia e quando ero qui in via Burlamacchi, trovai tutto interrotto. Uno mi fa lei dove va? A lavorare. Capito? Alle sei di mattina, con la camicia delle ferrovie, c’è scritto fs qui. Potete immaginare con che spirito ero, non ho dormito niente quella notte. La mattina stanco morto arrivo qui mi fermano e mi fanno: dove va? Mi dicono che dentro non c’è nessuno. Mi avevano preso per un pazzo furioso. Dentro c’è il mi’ collega che m’aspetta in gloria per andare a casa. Mah, a me pare che tu racconti le novelle, pareva pensare. Comunque vada, mi ha detto. 

 Sembrava una cosa irreale. Sono abituato a venire a lavorare e far passare i treni. Lì era tutto… abbiamo passato la giornata al telefono, a spiegare quello che era successo, cosa dovevano fare. C’erano i preparativi per la notte perché dovevano vuotare le cisterne inclinate. Si stava anche un po’ in apprensione. La sera c’erano i pompieri, tutti gli addetti, speriamo bene, è gente esperta, però quando hai a che fare con dei liquidi infiammabili un po’ di paura c’è. È stata un’operazione piuttosto critica, si stava lì la notte, con gli operai, sul marciapiede, e si vedevano da lontano questi che lavoravano"