A Roma, nel VI municipio, cinque candidati sono finiti nel mirino della commissione antimafia. Tra gli aspiranti consiglieri, quindi, della zona della Torri - tra cui Tor Bella Monaca - c'è qualcuno che non ha superato la prova dell'antimafia: c'è chi, per esempio, ha accumulato ben 8 condanne, una per ricettazione; chi, invece, è stato condannato in primo grado per detenzione di armi; gli altri, poi, sono accusati di tentata estorsione. Un bel gruppetto in uno dei quartieri più difficili di Roma.
Eccoli, dunque, i primi risultati tanto attesi. Dopo un rapido e intenso lavoro di analisi delle liste. Tredici comuni sotto osservazione per 3 mila candidati. La commissione antimafia ha concluso il monitoraggio delle liste in quei municipi dove i clan potrebbero condizionare il voto. Roma e Battipaglia, le città più importanti. Seguite dai più piccoli: Badolato, San Luca, Platì, Scalea, Ricadi, San Sostene in Calabria; Sant'Oreste e Morlupo nel Lazio; Trentola Ducenta e Villa di Briano in Campania.
Il verdetto ufficiale è soft: rispetto al passato sono stati scovati una manciata di incandidabili. Una quindicina. Più della metà sono nelle liste civiche di Roma e Battipaglia: cinque nel VI municipio della Capitale, sei nel comune campano. Per questo Rosy Bindi, presidente della commissione, ha parlato di effetto deterrente che il loro lavoro ha prodotto. E in effetti siamo ben distanti dalla bomba lanciata un anno fa per le regionali quando tra gli impresentabili venne inserito Vincenzo De Luca, poi eletto governatore della Campania. Bindi per quel nome fu accusata di utilizzare il suo ruolo per regolare i conti interni al Pd. In realtà la commissione si era basata soltanto su dati giudiziari.
Ma i numeri ufficiali non devono trarre in inganno: nella Capitale, per esempio, il monitoraggio «è risultato complesso e ha prodotto risultati parziali» per l'altissimo numero di candidature. Segnala, poi, la commissione un altro dato che deve far riflettere: «Nonostante l'esiguo numero, rispetto ai duemila candidati, di soggetti riconducibili alla fattispecie della legge Severino e del codice di autoregolamentazione, deve però segnalarsi che il quadro generale non appare ugualmente rassicurante».
Motivo? Subito spiegato: «Se si guarda alle sentenze irrevocabili di condanna e non ci si limita a quelle non definitive, emerge un profilo di numerosi candidati che al di là degli sbarramenti previsti dalla legge, non appare consono alla carica pubblica che aspirano a ricoprire». Ecco il punto: tra i tanti che corrono per i vari municipi e anche per il Campidoglio, la commissione parlamentare ha riscontrato diversi casi di persone con condanne «talvolta plurime per delitti contro il patrimonio o contro la persona e persino casi di sfruttamento della prostituzione».
Ma non è finita. Il fatto sorprendente è che l'ufficio della Bindi segnala un candidato a sindaco arrestato «in flagranza di reato» nel 2013 per furto aggravato. Non solo. «Ancora è stato rilevato che una candidata è coniugata con un avvocato attualmente ristretto in carcere condannato alla pena di 9 anni per concorso in corruzione e partecipazione ad associazione mafiosa». Infine, c'è anche chi vanta parentele scomode: un candidato imparentato con un «soggetto appartenente al clan Gallace della 'ndrangheta».
Anche se pochi sono i candidati soggetti alla legge Severino, gli impresentabili ci sono. E questo vuol dire che neppure in questa tornata i partiti sono stati in grado di tutelarsi dai furbetti. All'elenco stilato dalla commissione vanno, poi, aggiunti i 19 individuati dal prefetto di Caserta che hanno presentato auto dichiarazioni fasulle. Nascondendo così l'incompatibilità con la legge Severino e per i carichi pendenti.
Capitolo a parte il caso Platì. Già deflagrato dopo il ritiro della candidata Pd, Annarita Leonardi, che aveva persino ottenuto il sostegno di Matteo Renzi: «Siamo con te», la incoraggiò dal palco della Leopolda. Una fuga dovuta all'impossibilità di formare la lista. Saltata la candidata democratica, Annarita Leonardi, sono rimaste due possibili scelte: una guidata da Ilaria Mittiga (figlia del sindaco a capo di due amministrazioni sciolte per mafia), l'altra da Rosario Sergi.
Nel piccolo comune della Locride - 4mila abitanti, 2 scioglimenti delle giunte in pochii anni - la commissione ha avuto difficoltà a definire gli impresentabili. Le parentele non sono sufficienti per etichettare il candidato come tale. Se immuni da indagini il figlio o il cugino del padrino non ha colpe fino a prova contraria.
Il sottosegretario alla presidenza del consiglio, il calabrese Marco Minniti, aveva definito Platì la «Molenbeck della 'ndrangheta». La sua dichiarazione scatenò l'ira dei cittadini. Tra cui Rosario Sergi, l'aspirante sindaco. Che per protesta convocò una manifestazione per l'offesa subita da Minniti. Riunione pubblica tenuta in parrocchia con la presenza del senatore Domenico Scilipoti. Durante quell'incontro, però, c'erano anche gli agenti della polizia in borghese. Che hanno scritto un'informativa riportando un elenco dettagliato delle persone presenti: tra queste alcuni capi bastone del paese.