Capi di stato e di governo riuniti al Consiglio Europeo per discutere sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione. Ma c'è lo scoglio dell'articolo 50: senza una richiesta formale da parte dei britannici non c'è possibilità di avviare i negoziati per l'exit
«Non ci sono mezzi Stati membri». Le parole di
Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, non lasciano spazio a interpretazioni. Al suo arrivo martedì 28 giugno in Consiglio Europeo per il vertice di capi di stato e di governo,
lady Pesc ha ribadito ancora una volta che la
Gran Bretagna, dopo il
referendum del 23 aprile, è già fuori dall'Unione.
Nessuno stallo, nessun proroga. Non c'è tempo da perdere: il popolo britannico ha deciso. E Londra non può ignorare la direzione indicata dai suoi cittadini, che con il 52 per cento dei consensi hanno scelto di divorziare dall'Ue. Bruxelles - preso atto della decisione - non vuole e non può attendere a oltranza. L'ipotesi di un lungo tira e molla per negoziare l'exit non è contemplata: dietro l'angolo c'è il rischio di alimentare ancor di più il vento dell'euroscetticismo. Vento che da Roma a Parigi potrebbe – in teoria – scatenare un effetto contagio e produrre altre defezioni fra gli stati membri.
«Non saremo l'ultimo Paese a lasciare l'Unione», ha infatti minacciato il leader dell'Ukip
Nigel Farage, protagonista della campagna per il “leave” e incoronato vincitore dall'esito della consultazione referendaria. «Ma non mi dimetto», ha aggiunto il leader degli euroscettici inglesi annunciando che non si congederà dal ruolo di parlamentare europeo finché la Gran Bretagna non sarà davvero fuori.
[[ge:rep-locali:espresso:285215427]]Lo stesso Farage si è reso protagonista di un paio di siparietti poco “diplomatici” con il presidente della commissione Ue
Jean Claude Juncker: «È l'ultima volta che applaudi qui», ha detto Juncker rivolgendosi a Farage durante la plenaria straordinaria del Parlamento che ha approvato la risoluzione bipartisan per l'«attivazione immediata» delle procedure di uscita della Gran Bretagna: 395 i voti a favore, 200 contrari e 71 gli astenuti. Un segnale con cui l'Unione sta tentando di mettere all'angolo Londra.
«L'Ue è pronta a partire con quel processo anche oggi», aveva spiegato il presidente del Consiglio
Donald Tusk all'apertura dei lavori del Parlamento ma «dobbiamo rispettare anche i Trattati che dicono che sta al Governo britannico avviare la procedura, è il solo modo legale, tutti devono essere consapevoli di questo e perciò dobbiamo essere pazienti».
Formalmente dunque deve essere Londra a fare il primo passo, attivando le procedure contenute nell'
articolo 50 del trattato di Lisbona e inoltrando richiesta formale per l'uscita. Un passaggio obbligato, dunque, che l'Inghilterra non sembra intenzionata ad assolvere. Almeno fino ad ottobre, quando dopo le dimissioni dell'attuale premier
David Cameron, sarà il nuovo primo ministro a guidare le procedure di exit. Sempre che il Parlamento di Westminster intenda rispettare l'esito del referendum consultivo.
A settembre, intanto, si terrà a
Bratislava il primo vertice informale senza il Regno Unito. Al centro della discussione dei 27, fra capi di Stato e di governo, il futuro dell'Unione. Nel frattempo «non ci sarà nessuna trattativa, anche informale», ha assicurato la Cancelliera tedesca Angela Merkel che sottolinea come sia «necessaria» la notifica dell'articolo 50 da parte di Londra.