È la versione africana di Hollywood, conosciuta soprattutto per la recitazione approssimativa e la distribuzione pirata. Ma oggi è diventato un fenomeno complesso che esporta in mezzo mondo. In Italia si moltiplicano le case di produzione. E offrono un’autorappresentazione senza filtri della comunità nigeriana. Anche sulla prostituzione

Il primo fu “Living in Bondage”. Ideato da un venditore di copie pirata di film americani, ebbe un successo straordinario. La trama era semplice: una setta promette denaro a fiumi in cambio di sacrifici umani. Così, nella Nigeria degli anni ’90 sotto dittatura militare, nasceva Nollywood.

Ventiquattro anni dopo esiste un’industria globale e un fenomeno culturale che divide. I numeri, però, sono indiscutibili. Già dieci anni fa, secondo l’Unesco, la Nigeria era il secondo paese al mondo per numero di film prodotti. Dopo l’India, ma prima degli Usa. Le stime ufficiali parlano di oltre 1500 film all’anno, ma non tengono conto del sottobosco di autoproduzioni che circolano tra dvd e Internet. Il valore è calcolato intorno all’1,2% del Pil del paese africano.

[[ge:espressoarticle:eol2:2167944:1.38091:article:https://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2011/12/06/news/hollywood-e-in-nigeria-1.38091]]Ai critici Nollywood non è mai piaciuta: recitazione approssimativa, trame reazionarie, tradimenti e drammoni pentecostali. Gli economisti contestano il business model: dai vhs ai dvd fino a Internet, il filo rosso è sempre stato quello della copia pirata.

Eppure, nello scettiscismo generale, è diventato un fenomeno complesso che include film d’autore ed esporta in mezzo mondo, dall’Africa sub-sahariana ai Caraibi, da Usa e Canada fino alle comunità di migranti in Europa.

La classifica dei film più visti di sempre in Nigeria vede al terzo posto “Metà di un sole giallo”, tratta dall’omonimo libro. Sempre più film sono etichettati – a torto o a ragione – come “New Nollywood”: produzioni di qualità destinate alle sale cinematografiche, spesso co-prodotte con capitali Usa. Il digitale sta cambiando lo scenario: la piattaforma Iroko Tv, in stile Netflix, convoglia investimenti cinesi e francesi (Canal Plus) ma propone solo film nigeriani. Infine, un filone glamour si ispira alle produzioni americane – commedie sofisticate, salotti e grattacieli – ma i film sono girati interamente a Lagos.

Una ricetta per produrre film
Location informali, budget low cost, effetti speciali per riprodurre le magie e qualche celebrità. Cioè attori che hanno avuto successo in una produzione precedente. Nollywood, più che un filone o una scuola, è una ricetta per fare film di successo.

A Torino, Brescia, Padova, Firenze, Roma e in Emilia sono nate decine di piccole case di produzione nigeriane.

Le storie sono basate su gelosie e tradimenti. Oppure sull’invidia per il successo economico di altri migranti. C’è anche un filone morale di stampo pentecostale, per esempio “The Visitors” prodotto a Padova. Molti film parlano di prostituzione e criminalità. Senza reticenze, perché destinati a un circuito interno. Sono file caricati su YouTube oppure dvd venduti dagli ambulanti, nei call center, negli alimentari etnici o nei barber shop.

Lo sguardo è “radicalmente afrocentrico”. Il pubblico è di riferimento è nigeriano. Gli italiani non appaiono se non in qualche ruolo secondario, spesso quello del corrotto: il poliziotto, il funzionario d’ambasciata.

Il gangster-horror “Akpegi Boyz” è ambientato a Torino. Racconta di una banda che terrorizza gli altri nigeriani, con la complicità della polizia. Controllano droga e prostituzione. Una delle vittime è Erika. Dopo l’uccisione del compagno, si vendica con la stregoneria: le azioni magiche porteranno al declino dei criminali.

Il film, già anni fa, suscitava polemiche simili a quelle di “Gomorra”: avrebbe dato un’immagine negativa della comunità. Per i critici, invece, “genera una reazione fisica di repulsione”. In ogni caso mostra comunità ricche di contraddizioni e non generici “migranti”.

Fare business
“Siamo in Europa per fare soldi”. I protagonisti di “Ebuwa” parlano da imprenditori orientati al business. Ma in realtà ruotano nel mondo della prostituzione tra Benin City e l’Italia.

Una madre snaturata ha investito 50mila euro per mandare la figlia in Europa. In poco tempo ne ha già incassati 200mila, dilapidandoli in spese folli. Ebuwa, tuttavia, si innamora di un black boy, cioè di un altro nigeriano. La madre comprende che il suo piano può saltare. Incarica uno stregone di uccidere IK, fidanzato di Ebuwa, trasmettendo un fluido malefico tramite chiamata intercontinentale al cellulare.

Alessandro Jedlowski è un ricercatore all’Università di Liegi. Ha scritto articoli e libri su Nollywood. Racconta all’Espresso di aver assistito a una proiezione di Ebuwa insieme ad alcune donne africane vittime di tratta. Il film ha scatenato un’accesa discussione. “A Benin City, ‘andare a Roma’ è un’espressione usata per dire che ci si va a prostituire, quindi come faceva Ebuwa a non immaginare cosa sarebbe successo in Italia?”, dicevano alcune. Altre rispondevano invece di essere state ingannate con promesse di lavoro in fabbrica.

Nollywood sul Tevere?
Un film mai distribuito che diventa popolare grazie alle copie pirata messe su Internet dagli stessi attori. Un regista che si vanta poter fare un film in tre giorni. Personaggi che si chiamano Roosevelt o Kennedy come i presidenti americani. Una casa di produzione cinematografica che, a Torino, offre in catalogo danze tradizionali per i funerali.

Nollywood è conosciuta come una fonte infinita di aneddoti, ma ormai è oggetto di studi accademici anche in Italia. Jedloski parla di una narrazione “antiumanitarista”. Al contrario, il cinema italiano sui migranti è definito dagli studiosi come una “narrazione ventriloqua” (si parla al posto di altri) e manichea (ci sono buoni e cattivi).

Fa eccezione “Torino Boys” dei Manetti Bros, girato nel 1997. Ragazze nigeriane in un appartamento della periferia romana di dividono tra sesso e amore romantico. La rappresentazione è allo stesso tempo “banale” e “complessa”, spiegano gli studiosi. Attraverso la vita quotidiana, scopriamo uomini e donne reali, con pregi e difetti. Non il “fenomeno” virtuale spesso raccontato dai media. Gli accademici parlano di “processi di soggettivazione”, cioè dinamiche che determinano “certe scelte invece che altre”. Non vittime o malfattori predestinati.

I ragazzi di “Torino Boys”, infatti, parlano spesso del proprio destino. Come vedono l’Italia? Una tappa di passaggio dove fare business? Oppure un luogo dove costruire la propria vita uscendo dagli schemi delle origini? Alla fine degli anni ’90 il nostro paese era ancora una meta ambita. Nelle ultime produzioni appare invece un luogo di passaggio che si mescola a tanti altri sfondi europei.

Una delle attrici di “Torino Boys”, Juliet Esey Joseph, ha fondato una piccola casa di produzione a Roma. Ancora in attesa di distribuzione, “The Minister” è la storia di una nigeriana che diventa imprenditrice tessile di successo. Viene chiamata a far parte del governo italiano come Ministro all’Immigrazione, provocando la violenta reazione dei politici razzisti. Il film del regista Fide Dayo vuole portare in Italia anche il filone politico/di qualità di Nollywood.

“Non è la storia di Cécile Kyenge”, tiene a precisare Juliet Esey Joseph all’Espresso. “Vogliamo dare voce alle persone che vivono in Italia anche da vent’anni”. E che vogliono parlare senza “ventriloqui” che prestino loro la voce.