Colloquio con Maurizio Del Conte, presidente dell'Agenzia Nazionale per le politiche attive del lavoro. Che dovrà uniformare un sistema di centri per l’impiego frammentato, dove uno sportello non è in grado di comunicare con quello della provincia confinante

Diplomazia. Speriamo ne abbia molta Maurizio Del Conte, presidente della neonata Anpal, Agenzia nazionale per 
le politiche attive del lavoro, che dovrà uniformare un sistema di centri per l’impiego frammentato, dove uno sportello non è in grado di comunicare con quello della provincia confinante. 
Il professore di Diritto del Lavoro dell’Università Bocconi di Milano, è stato scelto dal governo Renzi per mettere ordine, dove oggi vige il caos assoluto. 
Il primo consiglio di amministrazione dell’Anpal (ne fanno parte, oltre a Del Conte, Bruno Busacca, capo segreteria tecnica del ministero del Lavoro, e Giovanna Pentenero, assessore al Lavoro del Piemonte) sì è tenuto lo scorso 13 luglio, ma la macchina vera e propria partirà nel 2017, dopo che saranno reclutati i 207 dipendenti, prelevati dal ministero del Lavoro e dall’istituto Isfol.

Quale sarà il ruolo dell’agenzia?
«Innanzitutto farà da coordinamento fra tutti i soggetti - pubblici e privati - della rete delle politiche attive, unificando 
le procedure di assistenza alle persone 
in cerca di un’occupazione. Oggi le competenze legislative sono un po’ 
in capo alle Regioni e un po’ allo Stato. Le prime si sono costruite, in autonomia, le infrastrutture per gestire la domanda 
e l’offerta di lavoro, mentre lo Stato ha 
il potere di dettare le linee guida relative ai livelli essenziali dei servizi che devono comunque essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Quello che manca, 
e che deve essere realizzato il più presto possibile, è un sistema informatico 
che metta in rete tutti i soggetti 
coinvolti, da quelli pubblici alle agenzie interinali private».

Significa che oggi, per esempio, un dipendente dell’ufficio del collocamento di Perugia non sa se c’è un posto 
di lavoro a Mantova?
«Proprio così. Solo lentamente qualcosa comincia a muoversi. In un territorio difficile come la Calabria, per esempio, sono riusciti a far dialogare gli uffici 
di Gioia Tauro con quelli di Lamezia Terme e Reggio Calabria. Significa che adesso se un disoccupato, che cerca un lavoro da magazziniere, si rivolge al centro di Lamezia, può sapere se nelle tre province c’è un’opportunità di lavoro adatta a lui. Ma resta ancora da integrare il sistema 
di Crotone. Sono problemi locali, pratici, di compenetrazione fra un database 
e l’altro, ma se riuscissimo a risolverli saremmo già a buon punto».

Poi ci sono le Regioni che non hanno alcuna intenzione di perdere potere decisionale in questo campo. Soluzioni?
«Sarà anche un’opera di diplomazia, verso un obiettivo comune. Le Regioni non saranno espropriate dei poteri, ma invitate a cooperare con l’Agenzia Nazionale 
e con il ministero del Lavoro, che ha messo a disposizione importanti risorse economiche. Le Regioni dovranno condividere le proprie informazioni (sempre su offerta e domanda di lavoro) con l’Agenzia nazionale, che le organizzerà in un unico database che metterà 
a disposizione di tutti i soggetti 
della rete per le politiche attive».

Basterà?
«No, alle sedi territoriali sarà fornita un’infrastruttura in grado di accedere 
alla banca dati dell’Inps, per sapere 
se una persona percepisce un sussidio 
di disoccupazione, da quanto tempo 
e tutto il suo curriculum professionale».

A che serve l’accesso alle informazioni Inps?
«Il tema delle nuove politiche attive si lega a quello degli ammortizzatori sociali, cioè delle politiche passive. Infatti, una norma del Jobs Act dice che il sostegno economico alla disoccupazione è vincolato alla attivazione nella ricerca di un lavoro. Significa che il lavoratore, se vuole ricevere un contributo economico (pagato e gestito dall’Inps), è obbligato a seguire attivamente un percorso di ricollocazione, sotto la guida - a sua scelta - del centro per l’impiego o della agenzia per il lavoro privata».

In realtà il principio di condizionalità del contributo è già in vigore, ma non viene applicato, se non in rari casi. Perché?
«Oggi gli addetti del centro per l’impiego non hanno accesso diretto alla banca dati dell’Inps e quindi non possono sapere con certezza se la persona che stanno assistendo percepisce o meno 
il sussidio. Con la creazione di Anpal, sarà possibile avere accesso a quelle informazioni, monitorare la situazione 
e spronare le persone a fare formazione 
o accettare offerte di lavoro. 
Pena la riduzione dell’assegno 
di disoccupazione».

E se il lavoro offerto non dovesse essere congruo rispetto alle competenze del disoccupato?
«L’Anpal si occuperà anche di definire degli standard per valutare che le offerte siano all’altezza. Inoltre predisporrà un assegno di ricollocazione, una somma assegnata al lavoratore disoccupato 
che dovrà spendere all’ufficio di collocamento o all’agenzia per il lavoro. Gli enti potranno incassarlo se troveranno un’occupazione alla persona. È un modello molto simile alla Dote Lavoro della Regione Lombardia».

Come giudica l’esperienza di Garanzia Giovani, il servizio nazionale avviato nel 2015 per trovare lavoro agli under 29 che non studiano e non lavorano, 
e che è stato gestito dai centri 
per l’impiego?
«Sono piovute critiche da ogni dove ma non è stato l’insuccesso che si pensava. Ad oggi, circa un milione di ragazzi 
si sono iscritti al programma. Di questi, 
in base al rapporto dell’Isfol, 188 mila hanno trovato un lavoro, mentre sono state prese in carico oltre 500 mila persone. Al netto di quelli che si sono collocati da soli, i giovani che hanno trovato lavoro grazie a Garanzia Giovani sono circa il 10 per cento. Una percentuale analoga a quella della Germania. Se pensiamo che quel milione di giovani italiani è la platea più difficile da collocare, perché sono ragazzi senza esperienza e spesso con percorsi personali difficili, direi che il risultato 
è tutt’altro che negativo».

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