Gli insulti di Salvini e della destra. Ma la presidente della Camera irrita e divide anche a sinistra. Vi raccontiamo perché

Boldrini, perché ce l'hanno tutti con lei

Nostra signora della Camera avrebbe tutti i numeri per essere un totem, un’icona, un super santino. Per la sua storia lodevole prima di tutto, pietas e aiuti umanitari, guerre e patimenti, invece di agi alto borghesi da ricchi marchigiani, terra che le ha dato natali e lombi. Ma anche per la sua presenza scenica ed estetica di bellezza da Medea, dolente e patinata. Pietas e potere insieme, l’algoritmo ideale del destino per arrivare dritte alle porte del paradiso del potere femminile, il Quirinale, prima o poi, come lei stessa ha auspicato per il genere. Ma la matematica non è una tesi e infatti Laura Boldrini, eletta con Sel, da tre anni sull’alto scranno, ha capovolto il calcolo perfetto. Derisa, presa continuamente di mira, di rado una donna di vertice con passato così meritorio è stata così bistrattata. Perché?
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Fosse solo il leader della Lega Matteo Salvini, un vero gentleman è noto, che quando decide di emulare Lord Mountbatten la chiama «bambola gonfiabile». Fosse solo un’esaltata come Monica Bars leghista di Musile di Piave che ha postato «Boldrini da eliminare», altro che tricoteuses della rivoluzione francese! Il problema è il Parlamento, le risse, i dispetti, le bagarre, i battibecchi con lei e con “loro”, in primis gli onorevoli grillini, suoi personal trainer nel metterla alla berlina trascinando il popolo del web. «Azioni eversive» le ha chiamate in tournée nei talk show. Soprattutto «sessiste», offesa più infamante di tutte per una che si batte per la condizione femminile e per la «vita che ha più di un genere», tanto da non resistere e cadere nella trappola del dispetto. Quando, per esempio l’onorevole leghista Paolo Grimoldi calca l’ironia nel chiamarla «signor presidente», Boldrini che vuole essere chiamata «signora presidente» che fa? Gli risponde acida: «Grazie deputata» (IL VIDEO). E se non gli mostra la lingua come all’asilo probabilmente è solo sia per la dimenticanza di una così antica pratica.

Sarà questa reattività umana, non da immobile sacerdotessa istituzionale - «Nilde non l’avrebbe mai fatto» è stato però il sussurro democratico - a far uscire dai gangheri i suoi detrattori? Cosa innesca quest’antagonismo maschile che non riesce a provocare una vibrante solidarietà femminile nei suoi confronti? In un crescendo d’insofferenza parlamentare, anche per l’uso autoritario di tagliole, ghigliottine e canguri, escamotage tecnici per tagliare corto, («Non è super partes, ci tocca tenercela» è il complimento di Luigi Di Maio), le viene rimproverata persino la voce squillante, il tono da soprano nervosa quando si spazientisce, probabile retaggio di missioni umanitarie da portavoce dell’Alto Commissario alle Nazioni Unite per i Rifugiati dove se non si strilla non si salva e non ti sente nessuno.

Qualcun altro (non leghista, non grillino, non di destra) coglie un «irritante» atteggiamento da maestrina oltre alla tendenza alla ripetizione di parole e concetti come fosse di fronte a scolaretti indisciplinati e minus habens facendo diventare interminabili le riunioni con i capigruppo. Certo, il ditino alzato che dondola in segno di rimprovero e l’abitudine a alzare gli occhi al cielo in continuazione non aiutano e gli studiosi del boldrinismo che la collocano in bilico tra Veltroni e Madre Teresa di Calcutta annotano come non faccia nulla per addomesticare una mimica facciale espressiva e spesso esasperata. Ma in fondo, perché mai dovrebbe plasmarsi per accontentare un clan di maleducati maschi eletti?

Sul Foglio, Mario Sechi l’ha definita “La Madonnina del pianto” e ci sono state altre divagazioni giornalistiche sul tema anche perché la presidente fa uso seriale dello strumento del lamento, arte femminile e molto italica che in genere massaggia bene il senso di colpa maschile, non molto nel suo caso però. Ma se le sue folte sopracciglia si toccano in segno di disapprovazione, il bel viso ben truccato si rabbuia di fronte agli attacchi dei detrattori ne ha ben donde: dalla “Città della gioia” di Lapierre alla Camera di La Russa il salto è notevole, in tutti i sensi.

Sospettata di essere espressione manierata di una sinistra gauche caviar e radical chic, perle e fango, la terza carica dello Stato si duole che non le venga riconosciuto il lavoro fatto, i tagli ai costi di Montecitorio e la politica pro diseredati. Deplora che il web la prenda di mira con la violenza che lo contraddistingue e chiede leggi e controllo sul voyeurismo digital-politico, ma sulla questione finisce per rasentare la censura. Le è anche successo di essere imitata non in tv ma dal vice presidente della Camera Simone Baldelli di Forza Italia che, infilata una parrucca, messo rossetto e perle, ha montato un video su you tube parodiando la sua voce estenuata. Mai visto nulla del genere nella storia repubblicana.
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A incendiare gli animi sono i temi politici e umanitari, il suo vessillo, la difesa di nomadi, rom, baraccati, no global, rifugiati, migranti, valori condivisibili ma che contrastano con il credo leghista, grillino e della destra di Giorgia Meloni. Le intenzioni di Boldrini sono le migliori ma non sempre provocano l’effetto voluto. Una volta dichiarò che «era un’insopportabile contraddizione offrire servizi di lusso ai turisti e poi trattare in modo a volte inaccettabile i migranti». Illustri boldrinologi si misero al lavoro per percepire, come scrisse Massimo Gramellini su La Stampa «il senso profondo delle sue parole. Avrebbe inteso dire che i miliardari russi e le vecchie zie inglesi andranno smistati in appositi campi di rieducazione e i nullatenenti dell’Africa in Costa Smeralda?».

Ma l’epicentro del problema è un altro. È che nonostante i suoi sforzi la presidente della Camera viene comunque percepita come Casta. Una casta dolente che perora cause benemerite e che protesta se si fanno notare voli di stato o scorta ma che rimane pur sempre casta. È il cliché della principessa repubblicana. Difficile uscirne. L’ex presidente Irene Pivetti ce la fece a andare oltre lo stereotipo e a dialogare con gli antagonisti. Per sopravvivere alla Storia anche Boldrini deve trovare il modo.

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