Sul lavoro da noi ci si aspetta un approccio soave e accudente. E poche ambizioni di carriera
A differenza dal mondo anglosassone in Italia il problema delle donne lavoratrici non è mai stato né la disparità di salario a parità di mansione (anche se recentemente si sta ampliando, al contrario di ciò che avviene nel resto del mondo) né la tutela della gravidanza (inesistente negli Usa).
Da noi le ventenni e trentenni ottengono spesso posizioni lavorative migliori di quelle dei colleghi uomini. I problemi veri - dall’abbandono del lavoro alla mancanza di avanzamento professionale - arrivano verso la fine dei trent’anni. Perché in Italia alle donne, eccezioni a parte, è di fatto resa difficile la possibilità di avere una carriera altrettanto veloce e remunerata di quella degli uomini.
Farsi spazio in un mondo che considera “aggressiva” una donna che interrompe un altro uomo durante una discussione lavorativa mentre l’interruzione di un uomo non è nemmeno notata è ancora un’impresa ambiziosa. E l’ambizione femminile è percepita in ufficio come un difetto congenito.
Se agli uomini è concesso focalizzarsi sui loro obiettivi, dalle donne i capi si aspettano innanzitutto gentilezza e fedeltà. Soprattutto in Italia. Ma non solo. Tanto che Mary Sue Coleman, numero uno dell’università del Michigan, si è perfino inventata uno stile manageriale “facilitante” una carriera al femminile che le italiane potrebbero adottare nello Stivale: tanti sorrisi, voce soave, mai parlare al singolare sempre al plurale, discutere degli obiettivi personali come se fossero di interesse comune, mai avanzare critiche, semmai risolvere problemi altrui. In sintesi: comportarsi come se si fosse una crocerossina di alto bordo.
La carriera diventa obiettivo ancora più difficile per le donne con figli. Da noi le giuste tutele del ruolo di madre sono troppo spesso lo strumento con cui l’ambiente lavorativo da una parte tollera, quasi invita, una minore produttività delle donne e dall’altra le penalizza. «Mica possiamo mandare a scrivere di guerra la madre di un bambino piccolo!» «Ma che madre sei a lasciare i tuoi figli con il padre per andare in missione all’estero?» «Che ti importa di una promozione, tanto hai la tua famiglia!». «Ci sono cose più importanti nella vita dei soldi» sono frasi comuni nel Paese del paternalismo professionalizzato che ancora troppo poche hanno il coraggio di denunciare, nell’idea antiquata che i bambini piccoli sono di competenza materna. E poi tutti a domandarci come mai, crisi economica o meno, le donne italiane ieri facevano figli sempre più tardi nella vita e oggi non ne vogliono proprio più avere. Forse sono in attesa che il luogo di lavoro si “femminilizzi” e quello domestico si “maschilizzi”.