A Escalaplano nei primi anni '90 si verificarono numerosi casi di anomalie su neonati. Ora una commissione d'inchiesta sta schedando le "vittime terze". E riparte il processo sui veleni nella base militare interforze
“E’ da più di 20 anni che siamo in attesa di una risposta. E’ da oltre 20 anni che chiedo la verità, non solo in nome di mia figlia ma anche per gli altri bambini, nati con gravi malformazioni. Da vent’anni siamo un limbo. Eppure quello che vogliamo è molto semplice: la verità”.
A
Escalaplano, Comune sardo di 2.600 anime abbarbicato sulle colline al confine tra l’Ogliastra e il Sarrabus, per molti anni in troppi hanno fatto finta di non vedere. Non vedevano i vertici militari, non vedevano le istituzioni, non vedevano i cittadini. Eppure il cielo di quella valle mozzafiato spesso si illuminava di bagliori innaturali. A volte, in piena estate, sui tetti delle case si posava una patina bianca che assomigliava alla neve.
Stefano Artitzu, l’unico fotografo del paese, se non altro per la professione che fa, gli occhi invece li ha sempre tenuti ben aperti. I suoi sospetti sono diventati reali il
1 settembre 1993. Quel giorno, all’ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, sua figlia è venuta alla luce completamente priva delle dita della mano destra. Durante la gravidanza di sua moglie i medici non si erano accorti di nulla, nemmeno durante le ultime ecografie.
Come sia potuto succedere, ancora oggi Stefano non lo sa. Quello che è certo – e documentato - è che in quegli anni, fra il 1988 e il 1993, nel suo stesso paese sono nati almeno 12 bambini con
malformazioni e menomazioni. Escalaplano si trova esattamente di fronte a
Salto di Quirra, sede interforze della più importante base europea per la sperimentazione di nuove armi, missili, razzi e radiobersagli.
“Vittime terze”, si chiamano in termini tecnici. Ovvero vite che potrebbero essere state pregiudicate e danneggiate indirettamente dalle esposizioni ai metalli pesanti o materiale radioattivo da parte dei loro genitori. Fra questi, anche
figli di civili che si sono ritrovati a vivere in prossimità di luoghi dove si sperimentano armi e proiettili.
Stabilire il nesso di causalità fra le esposizioni ai metalli pesanti e a queste anomalie genetiche, però, nel caso dei civili, è un percorso ancora più complesso. E solo oggi la
commissione di inchiesta della Camera sull’uranio impoverito sta cercando di dare nomi e cognomi ai ragazzi nati con evidenti malformazioni da sospetta esposizione a materiale radioattivo. Mentre una nuova
indagine parallela portata avanti da uno studio legale cagliaritano ha già censito una decina di nomi, sui quali saranno disposti altri accertamenti.
Stefano Artitzu, di sicuro, non si arrende. E attraverso l’Espresso
lancia un appello: “Noi genitori abbiamo il diritto di sapere. Io sono stato fortunato, perché mia figlia seppure bisognosa di assistenza sta vivendo una vita relativamente normale, ma altri ragazzi non ci sono più. Sono morti prima che potesse essere accertata la verità”. “Lo Stato deve darci una risposta forte e chiara – prosegue il fotografo - Cosa è successo in quegli anni a Escalaplano e nei paesi limitrofi e cosa, ancora oggi, sta succedendo?”.
ATTESA SENZA FINE “Non succede niente. Nessuno viene, nessuno va”, scriveva Samuel Beckett in Aspettando Godot. Per Stefano Artitzu da allora è andata esattamente così. Da quel giorno di settembre del ’93 sono passati 23 anni. Oggi Artitzu – uno dei pochi ad aver pubblicamente denunciato il fenomeno dei bambini nati con malformazioni - continua a vivere nella sua Escalaplano, in quel lembo dimenticato della Sardegna a pochi chilometri dalla base militare.
Sua figlia, nel frattempo, è diventata una donna. “Ha una vita quasi normale – spiega Artitzu – ma chiaramente ha bisogno di assistenza continua. Tutte spese e sforzi che abbiamo dovuto sostenere da soli”. “Solo in questi ultimi due anni, dopo un iniziale rifiuto per l’intera vicenda – prosegue il fotografo - mia figlia sta cominciando a studiare, a informarsi, a prendere coscienza di quello che potrebbe essere successo in questa terra bellissima ma disgraziata, che potrebbe averle condizionato la vita”.
La strada per ottenere un eventuale risarcimento economico, però, è tutta in salita. Finora il
ministero della Difesa non ha ancora riconosciuto casi di vittime terze. Il problema spesso è burocratico: se le anomalie riscontrate sui neonati non sono state denunciate immediatamente – e quindi non compaiono nei registri della Asl – ufficialmente non esistono. “Noi stessi – racconta oggi il fotografo – abbiamo fatto passare molto tempo prima di renderci conto che forse la malformazione di nostra figlia non era casuale. Parlando con altre persone, siamo venuti a sapere che nello stesso anno di nascita della bambina erano c’erano stati altri casi simili. Tutti concentrati nella stessa area. Dove si contano poche migliaia di abitanti”. “E comunque quello che più mi preme non è un eventuale risarcimento – tiene a precisare Artitzu – ma che una volta per tutte ci sia detto chiaramente se a vivere qui corriamo un rischio oppure no”.
La conferma che qualcosa di strano, nei pressi della base militare, si è verificato davvero, arriva anche da
una pediatra cagliaritana, Luisa Aru, che in quegli anni si trovò a lavorare nell’ospedale di Lanusei. La sua testimonianza confluì nella relazione della dottoressa
Antonietta Gatti, consulente della prima Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito e fu acquisita dall’allora procuratore capo di Lanusei Domenico Fiordalisi, nell’inchiesta sui
veleni di Quirra, ora sfociata in un travagliato processo. “Dalla fine degli anni Ottanta nel territorio di Escalaplano si è verificato qualcosa di molto particolare, qualcosa di eccezionale – ha riferito il medico - che ha causato malformazioni che prima di allora avevo avuto modo di osservare solo nei libri”. Eppure sono stati in tanti, all’inizio, a pensare che le malformazioni dei neonati fossero congenite. O che fossero frutto, semplicemente, della sfortuna.
PAURA E OMERTA’ Una sfortuna molto diffusa, a quanto pare. Già perché a Escalaplano fra il 1988 e il 1994 nacquero appunto almeno dieci bambini con visibili
malformazioni esterne, fra cui un caso di ermafroditismo. O con importanti malattie al sistema linfatico, nonostante nella loro storia familiare non ci fossero precedenti simili. Una cifra abnorme, se si pensa che il tasso medio nel paese di
2.600 abitanti era di
19 nascite all’anno. Se invece si contano anche i Comuni limitrofi di Villaputzu e Perdasdefogu i casi arriverebbero a più di venti. E poi ci sono quelli che – per vergogna o per pudore – non sono stati resi pubblici. “Per un periodo abbiamo cercato di riunire un comitato di genitori, per far sentire le nostre voci e per far valere i nostri diritti – racconta oggi Artitzu a l’Espresso – ma poi il peso emotivo da sopportare, per alcuni di noi, era troppo forte. Non ce l’abbiamo fatta ad andare avanti. La base militare di Quirra, per la maggior parte dei nostri compaesani, rappresenta una risorsa economica che ha creato lavoro: i soldi fanno comodo”. “L’eventualità che potesse essere chiusa ha gettato nel panico molti degli abitanti di Escalaplano e dei Comuni limitrofi – spiega il fotografo - Uno dopo l’altro i membri del comitato hanno cominciato a tirarsi indietro. E così ci siamo sciolti”.
A Escalaplano, poi, non erano soltanto i genitori dei bambini a negare agli occhi della gente il proliferare di anomalie. Ma anche i pastori, che scoprirono numerosi casi di
bestiame nato con malformazioni e che – terrorizzati all’idea di non poter più vendere gli animali – cercarono di nascondere l’intera vicenda.
Pecore e vitelli venivano al mondo deformi oppure “incompleti”, senza che la crescita fetale fosse terminata.
Fino a che la situazione diventò talmente esplosiva che qualcuno, in
forma anonima, decise di denunciare.
Ricorda oggi Artitzu: “Mi trovavo in una delle nostre ultime riunioni di comitato, era sera tardi. Ad un certo punto sentiamo suonare il campanello e qualcuno dice ‘ho qualcosa per voi’. Quando abbiamo aperto la porta non c’era nessuno. Abbassiamo gli occhi e vediamo un agnellino morto, adagiato sullo zerbino. Aveva due teste”
Su quel corpo furono fatte analisi, condotte dal professor
Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino e consulente della
Procura della Repubblica di Lanusei, titolare – appunto - dell’unica vera inchiesta che abbia mai tentato di fare luce sulle vittime da esposizioni a metalli pesanti in Sardegna. I risultati non lasciarono ombra di dubbio: nelle ossa del cadavere erano contenute tracce di
uranio impoverito non naturale.
“Ancora oggi – prosegue il fotografo – nessuno mi leva dalla testa che quelle nascite fra il bestiame stanno andando avanti, ma i corpi vengono fatti sparire”.
CAMMINO IN SALITA Ad andare avanti, di sicuro, sono le morti sospette fra i civili. Il 5 gennaio di un anno fa, per esempio, è deceduto a Quirra il pastore
Roberto Vacca, 46 anni, stroncato da un tumore al cervello, stesso male che aveva colpito i due fratelli, all’età di 41 e 43 anni. Tutti e tre lavoravano nell’ovile di famiglia.
La sua cartella clinica confluirà fra gli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta, che sta andando avanti non senza difficoltà.
I delegati della Commissione stanno proseguendo con i
sopralluoghi proprio in questi giorni, in basi militari e poligoni dislocati in tutta Italia.
E al Tribunale di Lanusei andrà avanti in questi mesi – dopo uno stop di quasi due anni - anche il processo sui cosiddetti “veleni di Quirra” contro otto ex comandanti (generali e colonnelli) che hanno guidato il poligono interforze di Perdasdefogu, accusati di
omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri.Nelle prossime settimane il dibattimento entrerà finalmente nel vivo, con le audizioni di numerosi testimoni chiamati dai difensori delle parti coinvolte.
Mentre sul piano politico è ancora in bilico la proposta di legge che potrebbe spostare nelle mani dell’
Inail la valutazione delle malattie contratte dai militari o dai civili nelle basi militari.
“Non vi lasceremo soli”, pronunciò nei primi anni Duemila l’allora sottosegretario alla Difesa
Marco Minniti, oggi ministro dell’Interno del governo Gentiloni, quando lo scandalo dei militari ammalati cominciò a trapelare. Ma ora come allora le vittime terze rimangono fantasmi.