Il demone della diaspora colpisce la sinistra

La domanda è: perché ?lo fanno? Perché l’irrefrenabile corsa a dividersi, a distinguersi, a stare soli? Ogni volta che s’affaccia un tentativo di stare tutti insieme - uniti si vince, no? - ecco ricomparire a sinistra ?il demone della diaspora. Che si vorrebbe liberatoria, e che invece finisce per acuire il dramma da cui si fugge. Dunque, perché? Non c’è una sola risposta. Emanuele Macaluso, grande vecchio della sinistra, è convinto per esempio che il mal di scissione sia insito nelle origini stesse del socialismo nato da una costola dell’anarchismo. E comunque, fondato da poco, il Partito socialista si liberò del riformista Ivanoe Bonomi: sangue anarchico a parte, è l’eterna lotta tra massimalisti e riformisti. Anche oggi, e non solo qui: Podemos nasce contro il partito socialista spagnolo; Bernie Sanders cresce in antagonismo con Hillary Clinton; James Corbyn si nutre delle delusioni provocate da Tony Blair; Alexis Tsipras costruisce la sua ascesa in alternativa ai socialisti greci del Pasok.

Oggi come ieri. Il Pci, dalla cui costola discende una delle due anime fondanti del Pd, nasce a Livorno nel 1921 staccandosi dai socialisti, ma già cinque anni dopo Bordiga rompe con Gramsci da sinistra e se ne va; 1947, Saragat molla il Psi e fonda il Psli (poi Psdi); 1948, dopo lo sciopero generale per l’attentato a Togliatti, ?il sindacato unico Cgil si frantuma: ?i cattolici escono e creano la Cisl, ?i socialisti e i laici la Uil; 1964, debutta il Psiup a sinistra del Psi; 1972, fallita la sua missione e prossimo alla scomparsa, il Psiup confluisce nel Pci, ma non Vittorio Foa che s’inventa il Pdup; 1991, Armando Cossutta non digerisce la Bolognina e dà vita a Rifondazione comunista, regno di Fausto Bertinotti per dodici anni. Poi sarà tutto un via-vai di leaderini ?e siglette nel nome di Diliberto, Vendola, Mussi, Ferrero, Rizzo, Landini che però ci mette poco ?a capire l’antifona, lasciare i talk-show e ritornare nella Fiom. A volte tragedia, a volte farsa. Qualcun altro, invece, in questa dannazione della sinistra ha cercato qualche risvolto psicologico indagando sul dolore ?delle separazioni, e anche sulla consapevolezza che non dividersi quando non c’è più niente da dirsi ?e da condividere rischia di ostacolare la crescita dei protagonisti e frenarne l’autonomia, in un crescendo freudiano di comportamenti schizofrenici da separati in casa, uccisione del padre-leader, pulsione ?di morte. Altri invece, con maggiore concretezza, giurano che le recenti scissioni di Pd e dintorni siano figlie delle leggi elettorali e basta: finché vige il sistema maggioritario, ecco che tutti sono obbligati a stare insieme, anche controvoglia, solo perché conviene; ma appena ricompare il fantasma del proporzionale (e anche ?il Rosatellum lo è per due terzi, con tanto di corollario di candidature decise al vertice), la paura delle minoranze di essere penalizzate spinge a mettersi in proprio. Ognuno per sé. Comunque, quali che siano ?le ragioni della fuga, queste sono (psicologicamente?) più forti del lungo elenco di sconfitte cui è andata incontro ogni volta una sinistra ?divisa e dispersa.

E ancora. L’irruzione sulla scena ?del movimento del vaffa, dicono altri, ha rubato alla sinistra spazi e parole d’ordine miscelando sapientemente illusioni di democrazia diretta e leaderismo esasperato, lotta agli sprechi e deroghe in casa propria, xenofobia ed egualitarismi annunciati. Ma a sua volta Beppe Grillo è figlio della madre di tutte le crisi che ha colpito i partiti tradizionali più ideologici e identitari svelandone l’impotenza a governare il presente. L’ideologia non c’è più, e l’identità ?è stata minata alle fondamenta dagli sconvolgimenti sociali, economici ?e finanziari di questo decennio: parole come solidarietà, accoglienza, multiculturalismo, uguaglianza che ?appartengono di diritto al Pantheon della sinistra, non sono più dogmi acquisiti.

Per le destre è stato facile reagire, ?è bastato cavalcare paure e risentimento, dare loro rilevanza politica occupando le vaste distese della protesta populista e xenofoba. ?Di conseguenza a sinistra sono prevalse le ragioni della governabilità e il vecchio dissidio si è riproposto sotto altre forme: c’è chi pensa che ?si debba perseverare sulla strada riformista illudendosi che basti evocare quei valori perché restino intatti; chi pensa invece che sia necessario riproporre modelli del passato, quando c’era piena identità tra valori ed elettori. Questo sembrano pensare gli scissionisti del Pd, questo ha appena fatto la Spd di Martin Schulz con risultati mediocri.

Ma comunque, quale che sia ?la strada scelta, bisognerebbe spiegarlo, avanzare proposte, stilare programmi, scegliere un leader adatto alla bisogna. Se questo manca, ?tutto appare solo lotta di potere, regolamento di conti, sete di vendetta. E si rischia l’incomunicabilità. ?O, peggio ancora, l’irrilevanza.

Twitter @bmanfellotto

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