L'intervista

«Salire su quel taxi mi ha rovinato la vita: io vittima di stalking vi racconto il mio incubo»

di Luigi Gaetani   5 ottobre 2017

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Katia Margarito, perseguitata da un conoscente: «Sono passati 8 anni e non ho ancora avuto giustizia. Le istituzioni sono impreparate e la legge del 2009 ha migliorato solo in parte la situazione. E adesso con la riforma Orlando si potrà risolvere con una multa, è assurdo»

Non solo gli ex partner. Se spesso è la fine tormentata di una relazione sentimentale il momento in cui alcuni uomini si trasformano in molestatori seriali, molte donne - più di due milioni secondo l'Istat - affermano invece di essere state perseguitate da conoscenti occasionali o anche da perfetti sconosciuti. Katia Margarito, per due anni vittima di uno stalker, racconta come è cominciato il suo incubo: «Sono passati otto anni.  All'epoca ero manager in un'azienda e per lavoro viaggiavo parecchio, in tutta Italia. Tutto è cominciato con il danneggiamento della mia macchina: vetri rotti, gomme bucate e il furto di alcuni oggetti, tra cui i miei biglietti da visita. All'inizio ovviamente non ho dato nessun peso all'accaduto, ho pensato semplicemente a un atto vandalico».

E invece?
«Qualcosa non mi tornava. Dopo pochi giorni ho iniziato a ricevere telefonate da sconosciuti che mi chiedevano prestazioni sessuali. Qualcuno aveva sparso i miei biglietti da visita nei bagni delle stazioni di servizio. Nel corso dei mesi successivi mi sono arrivate chiamate a ogni ora del giorno e della notte, ma dall'altra parte non parlava nessuno. Intanto continuavano i danni alla mia vettura. Cominciai a trovare sotto casa volantini dove c'era scritto che avrei dovuto essere lapidata, che sarei stata uccisa, che di lì a poco avrei fatto una fine molto dolorosa».
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Per quanto tempo sono andate avanti le minacce?
«Parliamo di decine di episodi nell'arco di circa due anni. Arrivavano lettere minatorie a casa, destinate a mio marito, dove c'era scritto che avevo una relazione con un altro uomo. Missive con minacce erano recapitate ai miei genitori e poi a casa dei miei cugini, dei miei suoceri, delle mie cognate. Lettere che mi consigliavano di non uscire di casa, dove erano descritti con precisione tutti i miei spostamenti, anche all'estero. Evidentemente le aveva scritte qualcuno che mi seguiva e che conosceva esattamente dove andavo e che cosa facevo e non avevo assolutamente idea di chi potesse essere. Un totale incubo».

Come ha reagito?
«Sono andata ovunque: dalla Polizia, dai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza. Ho denunciato questi episodi. Alla fine hanno messo sotto controllo il telefono e sono riusciti a risalire al mio stalker. È stata una doccia fredda. Era l'autista di un servizio di taxi privato con il quale la mia azienda aveva una convenzione. Spesso mi aveva accompagnata all'aeroporto o alla stazione quando dovevo partire per lavoro. Non solo non avevamo mai avuto una relazione, ma non eravamo nemmeno più di tanto in confidenza. Avevamo un rapporto amichevole ma puramente professionale, scambiavamo due chiacchiere mentre mi accompagnava in macchina, niente di più».

Nessun tentativo di approccio da parte dell'uomo?
«No, nulla più di un “come stai bene oggi”. Cose che capita di dire in una normale conversazione. La sua attrazione non era mai stata manifesta, non aveva mai espresso un interesse particolare nei miei confronti. Ma in realtà aveva sviluppato un'ossessione per me».

Poi cosa è successo?
«L'uomo è stato iscritto nel registro degli indagati e le persecuzioni sono subito cessate. Al primo grado di giudizio non sono arrivata a cuor leggero. Erano stati due anni terribili, che mi avevano cambiata profondamente. Negli ultimi tempi avevo paura di uscire, avevo cominciato a limitare i miei spostamenti e a diffidare delle persone che mi stavano intorno. Ho perso anche vari amici, che si sono trovati in difficoltà e che hanno scelto di allontanarsi, anche se sapevano quello che mi stava succedendo. È stato molto doloroso. Ci si vergogna, ci si sente in qualche modo responsabili della situazione. C'è il senso di vergogna che si prova quando si esce di casa la mattina e si trovano le scritte per strada. Le persone ti guardano con aria interrogativa, c'è sempre la vaga allusione che ci sia una parte di responsabilità della vittima. Come se una se lo fosse andato a cercare. Ho sentito frasi come “certo che se tu facessi un lavoro più tranquillo di pazzi ne incontreresti di meno”, oppure “ai tempi di mia madre le donne stavano a casa e queste cose non succedevano”. Ho dovuto combattere anche contro questa mentalità becera, alla quale non ho voluto piegarmi».
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Ha trovato il giusto sostegno da parte delle autorità?
«Purtroppo è stato molto difficile anche confrontarsi con le forze dell'ordine. Spesso quando andavo a denunciare cercavano di sdrammatizzare, di sminuire la situazione. “Sono cose che capitano” mi sentivo dire, oppure: “Una donna piacente come lei deve aspettarselo questo tipo di attenzioni”. Come se il fatto di essere di aspetto gradevole fosse una giustificazione per quel tipo di atti. Da questo punto di vista le istituzioni sono ancora molto impreparate».

E poi c'è stato il processo
«Alla prima udienza in tribunale il mio persecutore mi è passato accanto e mi ha detto che una volta finito tutto me l'avrebbe fatta pagare. Il primo grado è finito con un'assoluzione. La giudice, una donna, ha valutato che in assenza di testimoni oculari, le intercettazioni telefoniche non fossero sufficienti per condannarlo. Al primo grado sono stata difesa da un avvocato con il quale ho avuto un rapporto positivo ma che probabilmente non ha compreso bene la gravità della situazione e non è stato particolarmente efficace. Dopo l'assoluzione mi ha consigliato di ritirarmi ma io non ho voluto e mi sono rivolta a un'associazione che aiuta le donne vittime di violenza, Differenza Donna. Finalmente mi sono sentita capita».

Il processo è andato avanti?
«Il secondo grado di giudizio non è nemmeno iniziato, nonostante il grande impegno della mia nuova avvocata. A dicembre andrà tutto in prescrizione e temo che l'incubo possa ricominciare. Ma sono convinta di aver fatto la scelta giusta. Voglio raccontare a viso aperto la mia esperienza, anche se non è facile».

Quando ha denunciato esisteva già le legge contro il reato di stalking
«Si, sicuramente la legge ha migliorato un po' la situazione, ma comunque devo dire che di risultati non ne ho visti. Quell'uomo non è arrivato alla violenza fisica probabilmente solo perché abbiamo agito in tempo, ma adesso rischia di uscirne indenne. Non c'è ancora certezza della pena, non c'è vera tutela. Tra l'altro io ho avuto la fortuna di avere accanto mio marito e la mia famiglia, ma ci sono tante donne che devono affrontare tutto da sole».

Con la riforma Orlando anche per lo stalking - esclusi i casi più gravi – ci sarà la possibilità di estinguere il reato pagando una multa, anche senza il consenso della vittima
«È assurdo e ingiusto. Anche a me l'avvocato di controparte chiese di ritirare la denuncia in cambio di un risarcimento in denaro, ma io rifiutai. Da oggi invece basterà che il giudice ritenga congrua la somma, anche se la vittima non è d'accordo.
Per quanto avessi subito danni anche materiali di vario tipo, non ero certo alla ricerca di soldi. Volevo che quell'uomo fosse assicurato alla giustizia, volevo sentirmi protetta dallo Stato. Lo stalking non è come una lite tra vicini, si tratta di ledere la libertà di una persona e la sua integrità psicologica. È come essere da soli in un campo di calcio e non sapere quando e da che parte arriverà il pallone: si vive in uno stato di terrore perenne. Non c'è somma di denaro che possa risarcire una cosa cosa del genere».