I paesi del bacino del Mediterraneo offrono in media coperture vaccinali molto elevate alla propria popolazione. E nella maggior parte dei casi offrono gratuitamente sia alle persone in partenza o a quelle in transito la maggior parte dei vaccini in commercio. Come dimostra il rapporto pubblicato dall'Istituto Superiore di Sanità

Mentre stiamo affacciati alle salde porte d'Europa con lo sguardo verso il Mediterraneo, sulla questione migranti e salute pubblica siamo soliti usare due pesi e due misure. Noi, gli autoctoni, in troppi casi, e contro le evidenze della medicina, ci sentiamo giustificati a sentirci esitanti di fronte all'opportunità di vaccinarci, a sollevare delle obiezioni, ma al tempo stesso siamo inflessibili con loro, gli immigrati, rei di riportare in Italia malattie che il nostro paese avrebbe debellato. Come se la responsabilità della stabilità della salute pubblica di un paese fosse oggi sbilanciata sullo straniero che arriva e non sulla comunità che lo accoglie.

Datajournalism
Migranti, basta dire che portano malattie
15/6/2017
Fortunatamente, i dati e i fatti dicono decisamente il contrario: i migranti non stanno minando in alcun modo la nostra salute.

Tutto origina da un preconcetto che ci portiamo dietro da decenni di migrazioni: quello secondo cui chi proviene da paesi più poveri di noi non sarebbe mai stato vaccinato contro le più comuni malattie: morbillo, tetano, rosolia, polio, tubercolosi. In realtà, i dati mostrano chiaramente che oggi le cose sono cambiate. I paesi del bacino del Mediterraneo, compresi quelli che fungono da transito nelle rotte migratorie verso l'Europa, offrono in media coperture vaccinali molto elevate alla propria popolazione, anche più alte di quelle italiane (qui i dati) e nella maggior parte dei casi offrono gratuitamente ai migranti in partenza o in transito verso l'Europa la maggior parte dei vaccini in commercio. Ai bambini, ma anche agli adolescenti e agli adulti.

Lo mette nero su bianco un rapporto pubblicato qualche settimana fa dall'Istituto Superiore di Sanità che raccoglie i risultati del progetto ProVacMed (“Programmes for Vaccination in the Mediterranean area”) che per la prima volta ha mappato l'offerta vaccinale in 15 paesi del Mediterraneo non appartenenti all'Unione Europea, sia nei confronti dei cittadini residenti, che dei migranti in entrata, che il più delle volte transitano per questi paesi con l'obiettivo di varcare le porte d'Europa. Tuttavia i paesi vicini dell'UE stanno diventando con maggior frequenza sempre più destinazioni a lungo termine o addirittura finali per un numero crescente di migranti misti.

Il progetto ha considerato sei malattie (polio, difterite, tetano, morbillo, rosolia, epatite B) e 15 paesi del bacino del Mediterraneo che non appartengono all'UE: Albania, Algeria, Armenia, Bosnia e Erzegovina, Egitto, Georgia, Israele, Giordania, Kosovo, Macedonia, Moldavia, Palestina, Serbia, Tunisia e Ucraina.


I dati parlano chiaro: nel complesso (fa eccezione l'Ucraina) le coperture vaccinali offerte ai residenti in questi paesi sono uguali se non maggiori di quelle dei paesi europei. “Questi numeri non devono stupire, dal momento che in questi paesi è ancora molto presente la fiducia nei vaccini, forse per il ricordo vivo di quando certe malattie erano endemiche” spiega a l'Espresso Silvia Declich, del Centro Nazionale per la Salute Globale dell'Istituto Superiore di Sanità, fra gli autori del rapporto. “Per questo chi arriva da questi paesi è improbabile che rappresenti un elemento di vulnerabilità per il nostro sistema sanitario”.

Lo stesso vale anche per la tubercolosi, utilizzata come ultimo magro baluardo di chi punta il dito contro la fantomatica figura del migrante untore. “Abbiamo potuto verificare– che tutti i paesi esaminati offrono gratuitamente anche il vaccino contro la tubercolosi, che ha una buona efficacia nei bambini” chiarisce Declich.

I vaccini per i migranti in entrata
13 Paesi su 15 fra quelli esaminati hanno una offerta vaccinale per i migranti in arrivo, come illustrano i risultati descritti in un articolo pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, in concomitanza con il rapporto che descrive tutta l’indagine effettuata. Si tratta dei 9 paesi con regolamenti e procedure dedicate più Egitto, Moldavia, Macedonia e Tunisia, che comunque hanno indicato a chi è rivolta l’offerta.

Undici paesi prevedono un'offerta vaccinale a bambini, di questi 10 paesi hanno una offerta anche per gli adolescenti e 8 paesi anche a adulti. Riguardo al tipo di vaccinazioni offerte ai bambini, 8 paesi offrono ai migranti tutte le vaccinazioni che garantiscono ai propri cittadini, mentre 3 su 11 offrono solo alcune di esse, principalmente contro morbillo e poliomielite.


“È fondamentale sottolineare un aspetto cruciale – continua Declich – e cioè che alcuni di questi paesi come la Giordania, ma anche il Libano anche se non rientra nella nostra survey, hanno messo in atto enormi servizi vaccinali nei campi dove accolgono un numero di immigrati inimmaginabile per l’Europa. Non dimentichiamo che per esempio il Libano è anche uno dei corridoi umanitari per i profughi siriani, e sempre Libano e Giordania sono fra i paesi dove i servizi vaccinali sono fra i meglio organizzati.”

Inoltre, nell’indagine tre paesi (Armenia, Moldavia e Palestina) verificano lo status vaccinale dei migranti in entrata, Israele verifica lo status vaccinale dei bambini che arrivano da paesi dove è endemica la meningite e la tubercolosi, la Tunisia verifica lo status degli studenti provenienti da alcuni paesi dell'Africa Subsahariana e infine in Georgia le persone che arrivano da Nigeria, Siria, Afghanistan e Pakistan sono controllate per l'immunità alla poliomielite.

Il problema è la comunicazione fra centri e fra paesi
Certo, gli elementi di vulnerabilità non mancano, e sono essenzialmente due. Anzitutto, affinché i buoni propositi sulla carta si traducano in una pratica efficiente è cruciale riflettere su quando si propongono le vaccinazioni al migrante. “Le vaccinazioni si possono proporre in diversi momenti – spiega Declich – ovvero alla frontiera , nei centri di accoglienza o a livello di comunità. In alcuni casi i vaccini vengono proposti all'arrivo del migrante, con il rischio che egli dopo pochi giorni si sposti, prima cioè di aver ricevuto la seconda dose di vaccino. “A nostro avviso la cosa più sensata è proporre i vaccini nella fase della seconda accoglienza, caratterizzata da una permanenza prolungata dove l’assistenza sanitaria può diventare una vera e propria presa in carico, quando si può assicurare al migrante di ricevere tutte le dosi necessarie.”

A questo si unisce un secondo aspetto cruciale per il buon funzionamento del processo: la mancanza di una rete di comunicazione efficace fra i centri e fra i paesi, che comprenda una sorta di carta sanitaria del migrante. “Oggi se il migrante si sposta di centro o di paese i suoi dati sanitari vengono perduti, a meno che lui o lei non consegnino i propri documenti presso il nuovo centro. Non dobbiamo poi dimenticare che alla luce della Convenzione di Dublino (attualmente in vigore sebbene sia in corso una discussione per il superamento) secondo cui lo Stato membro competente all'esame della domanda d'asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell'Unione Europea, spesso chi emigra si guarda bene dal dichiarare di essere transitato per un precedente paese europeo.” spiega Declich.

Le vaccinazioni ai migranti in Italia
Già nel marzo 2017, l'ISS aveva pubblicato un rapporto simile, che aveva però esaminato un altro gruppo di paesi, questa volta dell'Europa meridionale: Italia e Grecia in primis, che sono i due paesi con il maggiore numero di migranti in arrivo, e poi Portogallo, Malta, Slovenia e Croazia. Tutti questi sei paesi offrono le vaccinazioni ai bambini migranti e quattro, fra cui l'Italia, forniscono alcune vaccinazioni anche agli adulti, ma con una grande eterogeneità nell'offerta di vaccinazione, con una priorità per i vaccini contro la polio e morbillo-parotite-rosolia.

Nel nostro paese le linee guida sono messe nero su bianco in un documento pubblicato a luglio 2017, che determina l'offerta ai bambini (0-14 anni) che non sono mai stati vaccinati, o che presentano documentazione incerta, delle vaccinazioni secondo il calendario nazionale vigente, in rapporto all’età. Negli adulti che abbiano storia vaccinale incerta o assente, si raccomanda di offrire le seguenti vaccinazioni: antipolio, antidifterite, antitetano, antipertosse, antimorbillo, antiparotite, antirosolia, antivaricella a esclusione delle donne in gravidanza e anti-HBV a tutta la popolazione adulta sottoposta a screening e risultata negativa ai marcatori sierologici.

Certo, vi possono essere delle difficoltà derivanti dalla gestione dei grandi numeri, che spesso rendono complesso il lavoro degli operatori sanitari nell'offerta vaccinale. Sempre il medesimo rapporto sottolinea che in Italia su 121 centri per migranti di tutti i livelli, 93 non hanno operatori sanitari che lavorano all'interno della struttura. La maggior parte di questi 93 centri, precisamente 77, si appoggiano per le vaccinazioni ai migranti ai servizi vaccinali delle Unità Sanitarie Locali, mettendo in pratica la giusta integrazione con il Sistema Sanitario Nazionale, piuttosto che la creazione di un sistema parallelo.


Li vacciniamo per loro, prima di tutto
“Il nocciolo della questione osservandoli dall'altra parte della riva, è iniziare a considerare la questione dei migranti e delle malattie spostando il baricentro dalla minaccia alla nostra salute, che appunto non sussiste, alla loro salute” conclude Declich.

Medici ed epidemiologi sono concordi nell'affermare che non sussiste alcuna correlazione fra l'endemia di malattie come il morbillo, la tubercolosi o il tetano e la presenza di persone straniere, come dimostrano i dati pubblicati all'interno del rapporto Osservasalute 2016. I casi di tubercolosi in Italia sono diminuiti dal 2006 al 2015 sia nel complesso, ma anche tra le persone nate all’estero: dai 2.108 casi del 2006 ai 1.794 del 2015.

“Interessante la situazione del morbillo che è purtroppo ancora endemico nel nostro paese, con picchi periodici molto elevati, perché noi autoctoni non ci vacciniamo come testimonia la copertura dell’87,26% riportata dal Ministero della Salute per il 2015, mentre in tutti i Paesi dove si è svolta l’indagine la copertura vaccinale è più alta, ad eccezione solo dell'Ucraina” conclude Declich. “Qui si tratta di persone, spesso minori non accompagnati, che arrivano da mesi di stenti, violenze, spesso abusi. Vivono in condizioni igieniche precarie, sono sani ma vulnerabili laddove noi non lo siamo.

Vaccinare chi arriva nel nostro paese non è un dovere per loro verso di noi, ma è un dovere anzitutto per noi nei loro confronti, in modo da rendere la permanenza di queste persone, più o meno lunga che sia, sicura e in salute. La buona notizia è che stiamo lavorando in questa direzione un po' in tutto il bacino del Mediterraneo”.

@CristinaDaRold