Stefano Bisi, giornalista di 59 anni, alla guida del Grande Oriente d’Italia dal 2014, ne ha per tutti. E tutti ne hanno per lui. Giovedì 16 febbraio a Siena si terrà l’udienza preliminare che deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio per ricettazione avanzata dalla Procura. L’accusa dell’inchiesta Timeout è che Bisi, ex direttore del Corriere di Siena, avrebbe ricevuto per anni denaro dal presidente della Mens Sana basket, Ferdinando Minucci, che attingeva ai fondi dello sponsor Monte dei Paschi durante la gestione ?di Giuseppe Mussari.
Se andrà male, i contestatori interni potrebbero riprendere le manovre d’attacco dopo la lettera del Gran Tesoriere, Giovanni Esposito, che invitava il Gran Maestro a dimettersi proprio per il processo senese. «La giunta ha replicato confermando il più completo appoggio», dice Bisi all’Espresso, «e confido nell’archiviazione. Né mi risulta che il mio predecessore Gustavo Raffi si sia messo contro di me dopo avere appoggiato la mia elezione».
Ma a metà del suo mandato quinquennale il numero uno dell’obbedienza più numerosa d’Italia sembra avere perso parte del consenso, molto radicato nelle regioni finite nel mirino della Commissione antimafia e della magistratura.
«Non capisco l’accanimento contro di noi sugli elenchi», continua il Gran Maestro. «Ci vogliono mettere il triangolo rosso come ai tempi delle persecuzioni naziste. Noi collaboriamo. Se le procure ci danno l’elenco dei mafiosi, provvediamo subito a cacciarli».
È una inversione dell’onere della prova che manderebbe davanti alla sezione disciplinare del Csm qualunque magistrato. Ma Bisi sa di essere nel momento più delicato dell’istituzione frammassonica dai tempi di Licio Gelli.
«Qui non si tratta di segretezza», prosegue. «È in gioco la libertà di associazione dei cittadini e il presidente Sergio Mattarella dovrebbe difendere un’istituzione che è stata fondamentale nella storia d’Italia. Su 72 avvisi di conclusione delle indagini dell’inchiesta Mammasantissima ci sono un sacerdote e un iscritto al Goi. Il sacerdote (don Pino Strangio, parroco di San Luca, ndr), si è dimesso solo qualche giorno fa. Il nostro fratello è stato sospeso da mesi, non appena indagato».
Bisi non lo dice, ma il fratello in questione è il funzionario regionale Giovanni Pontari, accusato di avere aiutato a trasferire un’altra dipendente legata da parentela con i De Stefano, uno dei clan più potenti della ’ndrangheta, al centro della saldatura fra massoneria e crimine organizzato fin dagli anni Settanta. Non proprio un personaggio di primo piano dell’inchiesta, Pontari è considerato negli ambienti massonici calabresi un capro espiatorio ideale.
Sul fronte siciliano, che è l’altro punto caldo delle audizioni in Commissione antimafia, Bisi mantiene una posizione fra ?il garantismo e il negazionismo. «Perché non va bene se ?ci sono due assessori comunali massoni a Trapani? Non va bene se non sono buoni amministratori, non perché sono massoni. È vero che l’Antimafia ha i poteri dell’autorità giudiziaria. Spero che ne abbia anche i limiti».