La diaspora del partito, simboleggiata più che causata dalla recente scomparsa di Marco Pannella, conferma un fenomeno singolare. E cioè che non sempre l'essere in anticipo sui propri tempi è garanzia di durata

L’attuale diaspora dei Radicali - simboleggiata più che causata dalla recente scomparsa di Marco Pannella - conferma un fenomeno singolare. E cioè che non sempre l’essere in anticipo sui propri tempi è garanzia di durata. Che i Radicali, in tutte le loro numerose metamorfosi, abbiano intuito quanto si andava annunciando nella società italiana è un fatto inoppugnabile.

Se già alla fine degli anni Cinquanta coglievano la crisi del centrismo democristiano che avrebbe portato alla nascita del centro-sinistra, negli anni Ottanta già si collocavano in quell’orizzonte postpartitico oggi pienamente realizzato. Ma la loro grande intuizione risale agli anni Sessanta, quando essi entravano in sintonia con una svolta di grande portata. Si tratta di quel salto antropologico che possiamo definire biological turn, destinato a cambiare irreversibilmente la forma e la materia della politica. Quella che allora si contagiava, dai campus delle Università americane ai boulevard di Parigi, era la centralità assunta dalla vita biologica nelle dinamiche politiche. Da quel momento il kratos , il potere, avrebbe avuto a che fare col ghenos - nella sua triplice dimensione di genere sessuale, di ricambio generazione e di modificazione genetica.

Tutte le battaglie dei Radicali - da quella sul divorzio a quella sull’aborto, a quella sulla fecondazione assistita - si situavano dentro questa svolta. Le lotte per i diritti civili e le libertà fondamentali - delle donne, degli omosessuali, di ogni gruppo discriminato - si inquadrano in questo orizzonte. Come anche la difesa della laicità dello Stato, il sostegno dei cittadini contro gli abusi della burocrazia, la rivendicazione della libertà di stampa e in generale di coscienza.

I risultati positivi su questi fronti sono il frutto della passione da quel piccolo gruppo politico, nato da una costola del partito liberale con l’apporto di intellettuali provenienti dall’ambiente progressista del Mondo e poi dell’Espresso. Ma l’orbita culturale in cui il Partito Radicale si situava era assai più ampia dei confini nazionali. Essa rispondeva a stimoli provenienti dalla cultura giovanile americana, ma anche dal contemporaneo pensiero francese. Soprattutto tre autori ispiravano, in maniera diretta o indiretta, le idee dei Radicali italiani: Michel Foucault, Jacques Lacan ?e Gilles Deleuze.

All’azione militante di Foucault nelle strutture carcerarie e negli ospedali psichiatrici - sostenuta in Italia anche da Franco Basaglia - rimanda l’impegno radicale a favore dei detenuti condannati a vivere in condizioni insostenibili. La decisione di svolgere il loro congresso nel carcere di Rebibbia costituisce il culmine di tale scelta, che congiunge insieme solidarietà umana e civiltà giuridica. La prescrizione di Lacan di non cedere sul proprio desiderio è parte costitutiva della battaglia radicale contro la repressione sessuale in qualsiasi modo attuata - dalla gabbia ?di un matrimonio senza uscita alla discriminazione degli omosessuali. ?

Di Deleuze i radicali interpretano, traducendola in proposte legislative, l’opzione a favore di tutti i gruppi minoritari rispetto a quelli maggioritari. A opprimere non sono solo i macropoteri dello Stato e delle grandi istituzioni, ma anche i micropoteri locali, diffusi in tutti i luoghi più esposti della vita. Ciò che connette in un’unica prospettiva questi segmenti del discorso radicale è l’idea che la norma non debba avere necessariamente una funzione repressiva ed escludente. Essa può avere anche un ruolo creativo e costituente. Basta separare ciò che ?è normativo da ciò che è considerato normale. Anche la malattia, il disagio ?o la devianza hanno le proprie norme ?di vita, se le si sanno riconoscere ?e interpretare in maniera libera ?e affermativa.

Questa intuizione ha dato, non solo ai Radicali, ma anche alla società italiana nel suo insieme, una serie di vittorie tutt’altro che irrilevanti. Basterebbe la restituzione dell’onore a Enzo Tortora per conferire un significato alla storia del Pr. Ma il conto in positivo va fatto anche su altri risultati, forse meno eclatanti, ma altrettanto significativi - dalla difesa della libertà della ricerca alla critica del finanziamento pubblico ai partiti. Tuttavia gli insuccessi non sono mancati, come la diaspora odierna testimonia. Certo, i conflitti e le divaricazioni interne sono parte della storia radicale fin dalla sua nascita. Così come le divergenze sulla linea politica. In fondo si può dire che lo smantellamento del partito faceva parte del suo programma originario - certamente non era in contrasto con ?le intenzioni di Pannella, anche se Emma Bonino non l’ha mai pensata ?allo stesso modo. La trasformazione transnazionale del partito, sancita ?a Budapest, è per certi versi la conclusione necessaria dell’idea ?di insufficienza dell’ambito italiano. Ed è vero che i grandi problemi del nostro tempo - pace, ambiente, economia - rompono di per sé i confini nazionali.

Eppure alcuni errori di prospettiva, nell’azione dei Radicali, appaiono oggi evidenti. Il primo, anch’esso connesso alla capacità di anticipare i tempi, ?è costituito dall’eccesso di personalizzazione rappresentato dalla figura carismatica di Marco Pannella. ?È vero che oggi i partiti personali sono all’ordine del giorno. Ma quando la personalità del capo arriva a produrre l’estinzione del partito o del movimento che dirige, allora qualcosa non funziona come dovrebbe. Il secondo errore ?è costituito dall’uso eccessivo dell’istituto del referendum. Anche ?qui un elemento sicuramente positivo - come lo strumento referendario - può avere un effetto negativo se non è contenuto entro limiti fisiologici.

Quando si pongono insieme venti quesiti referendari il risultato è l’entropia ?e lo smarrimento di chi dovrebbe votare, portato ad astenersi. Anche perché ?la conformazione delle domande tende a incanalare le risposte in un modello binario che non sempre restituisce agli elettori la possibilità di una scelta reale e consapevole. Il terzo elemento ?di fragilità della proposta radicale ?è costituito da un eccesso di internazionalizzazione. Anche in questo caso una buona intuizione ha finito per produrre un esito controfattuale. Quello che i radicali hanno presupposto, abbandonando l’orizzonte italiano per quello internazionale, è l’irreversibilità della globalizzazione. Che, invece, comincia a conoscere i primi ostacoli ?e i primi punti di arretramento. Forse, nell’attuale ordine del mondo, gli spazi, certamente angusti, delle nazioni ?non sono ancora del tutto fuori gioco.