In Italia le patologie legate all'alimentazione sono esplose alla fine degli anni Novanta. Oggi ne soffrono più di tre milioni e mezzo di persone. Con 8.500 nuovi casi all'anno, di cui il 10 per cento riguarda malati maschi. E si muore: nel 2016 l'anoressia ha fatto 3240 vittime, mentre scende l'età dei primi sintomi

“Non è un capriccio. È un’ossessione. È una malattia enorme”. Mattia è mancato tre anni fa, dopo quattordici di anoressia. Sua madre Margherita racconta di un periodo devastante, durante il quale suo figlio, alto un metro e ottanta, pesava meno di 40 kg. “Nonostante cinque percorsi di terapia, ricoveri e alimentazione, lui si è isolato completamente dalle persone. Si sentiva inadeguato e sbagliato. Ne parlavamo spesso, ma non riusciva più ad affrontare la vita. Soffriva molto anche gli sguardi e i commenti che ascoltava quando eravamo fuori casa perché nessuno pensa che un uomo possa essere anoressico”.

I disturbi del comportamento alimentare dipendono da grandi traumi irrisolti e sono anoressia, bulimia e binge eating, il disturbo da alimentazione incontrollata caratterizzato da frequenti abbuffate che portano all’obesità.

In Italia sono esplosi alla fine degli anni Novanta e ne soffrono più di tre milioni e mezzo di persone, con 8.500 nuovi casi all’anno, di cui il 10 per cento sono maschi. E si muore. Gli ultimi dati Sdo (Scheda di Dimissione Ospedaliera) riferiscono che nel 2016 l’anoressia ha fatto 3240 vittime, e in questo numero sono ricompresi molti casi di bulimia perché in oltre il 50 per cento dei pazienti c’è una compresenza dei disturbi e perché si può arrivare a un grave sottopeso utilizzando anche il metodo bulimico. Il rischio, poi, aumenta dello 0,5 per cento per ogni anno di malattia. Inoltre ci sono gravissimi danni all’organismo e alle relazioni sociali, e non è detto che riprendere un po’ di peso coincida con la guarigione.

Adolescenza
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14/12/2015

“Recuperare peso rappresenta per il corpo l’uscita dalla fase critica, ma la condizione psicologica resta immutata e il disturbo continua”. Chiara ha sofferto di anoressia dai 21 ai 29 anni. “Fu il ginecologo a parlarmene la prima volta e all’inizio non sapevo neanche quali sarebbero state le conseguenze. Ho frequentato prima un centro d’ascolto all’università a Londra e poi, al ritorno in Italia, tre percorsi diversi di psicoterapia. Solo l’ultimo è stato decisivo, perché la validità di una terapia dipende anche dalla persona, dal tempo e dal sintomo”.

La Usl Umbria 1 gestisce il sito www.disturbidelcomportamentoalimentare.it. Da lì è possibile accedere al numero verde 800-180969 e alla mappa divisa per regioni dei 146 servizi nazionali pubblici e convenzionati, ma bisogna essere davvero convinti di volersi curare.

“Il ricovero forzato è solo un palliativo”, dice Simona, che ha smesso di mangiare il giorno del suo diciassettesimo compleanno. È andata avanti così per quattro anni, con un disturbo anoressico che si alternava o coesisteva con quello bulimico. “Il ricovero forzato limita la libertà di decidere, però è in grado di evitare grandi tragedie per sé e per gli altri. Pensiamo a chi ha la patente e guida anche in circostanze di disturbo molto acuto: non è realmente presente a se stesso ed è un pericolo concreto. Ma non tutte le strutture riescono ad accoglierti e a comprenderti come dovrebbero. Alcune antepongono l’aspetto alimentare a quello psicologico, tant’è che mi capitava di mangiare solo perché sapevo che mi avrebbero rimandata a casa, dove avrei potuto riprendere a fare quello che volevo. Per guarire c’è bisogno di un grande impegno e questi disturbi sono una dipendenza, una vera e propria droga. Il cibo è solo lo strumento per agirla”.

Dal 2012, il 15 marzo di ogni anno l’associazione Mi Nutro Di Vita (www.minutrodivita.it) di Stefano Tavilla organizza la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla per sensibilizzare su questo argomento. Sono tante le leggende da sfatare. Non è vero che l’anoressia arresta la fame. Non è vero che la presenza e l’assenza di magrezza rappresentano uno stato di benessere. I primi esordi del sintomo coincidono solitamente con il periodo dell’adolescenza e la fascia considerata più critica è quella che va dai 15 ai 25 anni: l’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha considerati la seconda causa di morte per le adolescenti dopo gli incidenti stradali. Eppure, le manifestazioni possono essere successive e addirittura precedenti, tant’è che oggi il 20 per cento dei casi riguarda bambini dagli 8 ai 14 anni.

Caterina ne ha 17 e ha appena pubblicato “Inchiostro. Storia di un’adolescente oltre l’anoressia” (Il Pensiero Scientifico Editore) finalista al Premio Pieve Saverio Tutino 2015. Per lei è durata dagli 11 ai 15 anni. “Il disturbo ha periodi e fasi diversi, e dopo il secondo ricovero ho pensato che la vita mi stava sfuggendo di mano, mentre io invece volevo viverla davvero”. Sua madre Emanuela riferisce di aver scoperto che consultava anche qualche sito internet, ma per fortuna usava ancora poco il computer e non aveva uno smartphone suo.

Ci sono siti chiamati Pro-Ana e Pro-Mia, blog e forum, App usate per il calcolo ossessivo delle calorie. “Alcuni rivendicano anoressia e bulimia come scelte di vita e di libertà, e sono diminuiti grazie alla Polizia Postale. Forum e blog sono più difficili da attaccare perché, all’apparenza, trattano la perdita di peso in modo generico. Ci si scambia anche consigli su come eludere i controlli dei genitori e come procurarsi certi farmaci”. Lo dice Laura Dalla Ragione, referente scientifico del Ministero della Salute per i Dca, direttore della Rete Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Usl Umbria 1 e di Palazzo Francisci a Todi.

“Si tratta di disturbi egosintonici, nel senso che i pazienti non sono consapevoli di stare male, non chiedono aiuto o lo rifiutano. E questo, insieme a una presenza deficitaria di strutture, rallenta la diagnosi: nei primi tre anni le probabilità di guarigione aumentano dell’80-90 per cento. I medici cosiddetti “sentinella” in grado di percepire immediatamente la presenza dei Dca sono quelli di base, i pediatri, i ginecologi e i dentisti. E, vista l’emergenza sociale, sarebbe importante che tutti facessero un percorso di aggiornamento per imparare a riconoscerli”.