«Sono un bandito, sono un imputato. Posso fare qualunque reato ma voi come Ros no. È stata fatta una porcheria. È l’unico atto intimidatorio in questo processo. Venite qui testa a testa e poi vediamo». E al secondo giorno di esame in collegamento dal carcere di Parma con l'aula bunker di Rebibbia si rifiuta di rispondere alle parti civili

Carminati: «La guerra non è finita»

«Io posso stare solo contro tutti e non mi fa paura. La guerra per me non è mai finita. La faccio da solo la guerra, non c’ho bisogno di nessuno».

Secondo giorno in cui Carminati continua a raccontarci le sue gesta eroiche. Ieri abbiamo ascoltato l’epopea autocelebrativa di un boss che aveva capito tutto, pedinamenti compresi, ma è finito al 41 bis.  Sempre con la filastrocca imparata a memoria in cui le sue condotte si riducono a piccole cose e lui rimane solo fascista e contento
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Un teatrino dove in verità ne esce una figura un po’ ammaccata e l’ombra del protagonista che fu. E così eccolo ricordare il bel tempo che fu, quel Franco Giuseppucci «suo caro amico, che abitava a 50 metri da casa mia, unico capo della banda della Magliana», con la quale, va da sé, lui non ha mai avuto a che fare e ha pagato solo perché trovarono un arsenale nei sotterranei del ministero della Sanità all’Eur. Le armi erano riconducibili a lui. E ricorda anche «Domenico Sica che aveva detto che la banda era un’agenzia del crimine». Sica la toga più illustre tra le vittime del colpo al caveau, come ha rivelato Lirio Abbate. Si occupò dal rogo di Primavalle agli omicidi di Mino Pecorelli, e poi il caso Moro, la scomparsa di Emanuela Orlandi e anche la morte di Michele
Esclusivo
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24/10/2016
Sindona. Gli svaligiarono due cassette, la 720 e la 523. Il magistrato ha rivelato che non c’era molto, minuzie di cresime e battesimi e semi di una zucca particolare, argentina. Nessun documento insomma.

E Carminati continua con la saga che non vuole diventi leggenda e spiega il suo modo di pensare: «È meglio fare la guerra da solo contro tutti che tutti contro uno solo. Fanno la fila per ammazzarmi, ma non c’è problema». Un uomo senza paura. Carminati il nero, camicia nera, le carte stese sul tavolo, attinge ai ricordi. A quell’ aprile del 1981 quando la Digos gli sparò all’occhio rendendolo cecato. «Sono stato ferito in un appostamento, a noi non c’hanno detto neanche ‘a’ c’hanno sparato come cani. È una ferita di guerra. Non mi sono costituito neanche parte civile perché erano altri tempi. Erano le regole di ingaggio di quei tempi».

 In fondo alla sala, tra il pubblico, se ne sta seduto Maurizio Boccacci suo coetaneo, storico leader dell’organizzazione di estrema destra Movimento politico occidentale, quindi padre della sigla nera Militia. Anarco-fascista dichiarato dai valori chiari: odio raziale, culto delle origini del fascismo, contro la Shoah, le banche e il sindaco Alemanno, ex camerata traditore. Alemanno che è una persona a cui Carminati si dice «ostile per il suo operato», ma è convinto che Buzzi non gli abbia dato soldi. Il motivo è semplice: «se Buzzi glieli avesse dati, me l’avrebbe detto perché considera Alemanno uno di destra.

Cosa che secondo me non è». Poi ritorna ad oggi, riduce il ‘mondo di mezzo’ a due chiacchiere al bar assunte a filosofia e sottolinea di aver rispetto per «la trasmissione Report e il Fatto Quotidiano perché massacrano tutti nella stessa maniera, come il pm Luca Tescaroli». Uno dei tre magistrati della pubblica accusa in questo processo. «È l’unico più cattivo di me», rivela e precisa «è un complimento. È davvero il procuratore perfetto e non sto scherzando. Preferisco avere un buon nemico che un pessimo amico».

Avversari di un tempo e di oggi: la stampa e la procura. Quando il “pirata” adula da vecchio affabulatore e parla di coloro che stanno dalla parte opposta alla sua c’è sempre da stare attenti. Si rivolge quindi agli uomini dei Carabinieri che hanno investigato: «sono un bandito, sono un imputato. Posso fare qualunque reato ma voi come Ros no. È stata fatta una porcheria. Hanno omesso delle prove. Io non ho mai minacciato Seccaroni (il titolare di una concessionaria ndr): ho solo smesso di parlarci. Il Ros lo sapeva bene, adesso venite qui testa a testa e poi vediamo». Perde il controllo il ‘pirata’ tanto che chiede una pausa: “Presidente, mi devo fermare…che sto slittando”. Entra in aula la katana, su richiesta della sua avvocata.

Il teatrino può continuare. Arriva anche l’ultima domanda di Ippolita Naso. L’argomento è cruciale: il furto al caveau: “E’ mai stato processato per altri reati dopo quel furto?”. “No”. Finisce così la parte in commedia del ‘pirata’, ma ora si apre un nuovo capitolo: risponderà alle domande della pubblica accusa. Già ha fatto sapere di rifiutare quelle delle parti civili. La vera partita inizia ora.

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