"Hanno rubato le mie foto private per farne dei manifesti sessisti: ma io non mi fermo"
In una piccola cittadina in provincia di Catania una consigliera comunale ha subito il furto del tablet che conteneva alcuni scatti riservati. Che poi sono stati stampati e appesi sui muri del paese. Una storia tra cyberbullismo e violenza politica
Una foto privata, rubata da un iPad e stampata in gigantografie per tappezzare i muri di una cittadina. È successo a Castel di Iudica, un paese di quasi cinquemila abitanti in provincia di Catania. L'episodio in questione mette insieme furto, cyberbullismo, misoginia e politica, con un pizzico di omertà che lo rende ancora più italico e sgradevole.
A raccontarlo all'Espresso è la protagonista dell'accaduto: Lorena Grazia Mileti, consigliera comunale eletta nella lista civica "Uniti per migliorare" (area democratica), prossima allo scadere del suo secondo mandato. Mileti subisce un furto in casa, le portano via numerosi effetti personali tra cui il suo iPad. «In quel momento non ho pensato al contenuto del tablet, ho realizzato solo dopo quello che sarebbe successo».
Il momento arriva quando alcuni amici le mandano degli sms per complimentarsi, tra ironia e incredulità, delle sue foto appena pubblicate sul profilo Facebook. Le immagini in questione la ritraggono svestita, con un lenzuolo bianco che le lascia scoperto un fianco. «Ho ricollegato immediatamente la pubblicazione delle foto al furto nel mio appartamento; quelle immagini appartenevano al mio archivio privato e mai avrei pensato di renderle pubbliche. Sono riusciti a risalire anche alla mia password. È stata una mossa politica, in piena campagna elettorale».
Da qui infatti, inizia il tentativo di delegittimazione della consigliera. La foto fa il giro del web e l'opposizione politica non manca di condividere l'immagine corredandola di commenti denigratori. Il tentativo di eliminare la foto online non basta più quando una mattina la Mileti trova dei cartelloni con l'immagine rubata disseminati per l'intera cittadina, con tanto di slogan "Chiù pilu pi tutti" che si rifà al personaggio politico calabrese Cetto La Qualunque inventato e interpretato da Antonio Albanese.
«Sono sicura che sia stata un'intimidazione dei miei avversari politici. Sono sempre stata molto critica verso l'amministrazione del mio paese e hanno tentato in tutti i modi di farmi tacere», racconta Lorena Grazia Mileti. Durante gli anni del suo mandato è stata più volte bersaglio di minacce e lettere intimidatorie. «Non riuscendo a colpirmi sul terreno politico, hanno utilizzato la tattica dell'umiliazione». Inizialmente l'hanno incolpata di aver architettato tutto da sola, per notorietà, poi addirittura che fosse stato un suo presunto amante. E giù il coro degli insulti.
«La cosa che fa più male è stata la data in cui quei manifesti sono stati affissi: il 23 maggio. Una data, quella della strage di Capaci, simbolo per la Sicilia, come per l'intera Italia. Ma chi ha costruito a tavolino questa diffamazione neanche se ne sarà reso conto».
La polizia postale e i carabinieri si stanno occupando del caso, ma si scontrano anche con i tanti silenzi del posto. «La solidarietà che mi si è stretta intorno è stata tanta, ma com'è possibile che nessuno abbia visto nulla?», si chiede Mileti. E così il colpevole, almeno fino ad oggi, resta senza nome.