All’Italia abbiamo già dato oltre 600 milioni per gestire l’emergenza. Triton? Possiamo fare anche di più. Ma è il trattato di Dublino quello da cambiare. Parla Dimitris Avramopoulos

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Secondo i dati delle Nazioni Unite dal gennaio di quest’anno a oggi oltre 80 mila migranti sono arrivati in Italia via mare, la grande maggioranza a bordo delle navi delle organizzazioni non governative che lavorano nel Mediterraneo. L’intera emergenza, come noto gestita attraverso l’operazione Triton decisa dall’Unione europea e guidata dall’Italia, continua a provocare dibattiti e polemiche. Sotto tanti punti di vista: dal ruolo delle Ong al fatto che lo sbarco di migranti gestito da Triton avviene esclusivamente in territorio italiano. L’Italia ha chiesto ad altri paesi membri dell’Ue, come la Francia, di accogliere alcune di queste navi ma la risposta è stata negativa. Sembra che su alcuni argomenti, come l’immigrazione, l’Europa dimentichi di essere un’Unione. Ed è su questi punti caldi che L’Espresso ha chiesto conto a Dimitris Avramopoulos, greco, 64 anni, commissario europeo per le migrazioni.

Avramopoulos, è giusto che l’intera questione dei migranti ricada sull’Italia? E cosa fa l’Europa?
«Non è sostenibile che solo una manciata di paesi europei abbia l’intero peso della sfida migratoria sulle sue spalle. Tutti gli Stati membri devono dimostrare solidarietà all’Italia. Questo è stato l’argomento principale delle nostre discussioni in occasione del Consiglio informale degli affari interni che si è tenuto la settimana scorsa. A Tallinn i ministri degli Interni hanno dato un forte sostegno al piano d’azione della Commissione per sostenere l’Italia e per fermare i flussi lungo la via del Mediterraneo centrale. Dobbiamo lavorare su tutti i fronti: continuare a salvare vite, offrire protezione a coloro che ne hanno bisogno ma rimandare indietro coloro che non hanno il diritto di rimanere, affrontare le cause principali, combattere le attività di contrabbando e di tratta, migliorare la situazione nei paesi di origine e di transito. La nostra cooperazione con Ong e società civile è essenziale in questo sforzo. Sono i nostri partner sul campo e riconosciamo e premiamo il loro ruolo. Ciò che dobbiamo fare ora è rendere le nostre relazioni più funzionali in modo più coordinato. Tutti lavoriamo per lo stesso obiettivo, nella stessa direzione».

Sì ma come può aiutarci concretamente l’Europa? Con Triton, quasi tutte le navi di soccorso poi arrivano nel nostro Paese. L’Italia chiede che invece i migranti siano sbarcati anche nei porti di altri Paesi, con più condivisione dell’accoglienza.
«L’Italia ha compiuto degli sforzi epocali negli ultimi anni per gestire le sfide dei flussi migratori. Voglio encomiare ancora una volta l’Italia per la sua solidarietà, la sua umanità e la sua ospitalità. La Commissione europea è rimasta a fianco dell’Italia fin dal primo giorno, aiutando politicamente, operativamente e finanziariamente. Abbiamo dato all’Italia quasi 600 milioni di euro per gestire le sfide di migrazione, confini e sicurezza fino al 2020, oltre a quasi 150 milioni di euro per il sostegno d’emergenza. E siamo pronti a offrire di più se necessario. Al Consiglio informale di Tallinn è stato riconosciuto che la situazione nel Mediterraneo centrale e la pressione sull’Italia sono di grande preoccupazione per tutti gli Stati membri. I ministri si sono impegnati a dimostrare solidarietà e molti Stati membri stanno già impegnandosi concretamente per aumentare i finanziamenti al Fondo di solidarietà europeo per l’Africa. Su Triton ci sarà un gruppo di lavoro per stabilire cosa deve essere rivisto nella missione. Un importante passo successivo sarà la Conferenza ministeriale sulla rotta del Mediterraneo centrale che si terrà a Tunisi il 24 luglio. Sarà un’occasione fondamentale per rafforzare ulteriormente l’impegno con i nostri partner nordafricani. Inoltre, la scorsa settimana, si è svolta una riunione con le Guardie costiere europee, l’Italia e gli Stati coinvolti, sulla regionalizzazione delle operazioni di ricerca e del salvataggio. A questo proposito stiamo dando pieno supporto alle autorità italiane nella loro preparazione di un codice di condotta per le Ong. Stiamo lavorando su tutti i fronti per sostenere l’Italia e continueremo ad affiancarla perché continui nel suo forte sforzo e apra altri hotspot».

Intanto però è ancora in vigore la Convenzione di Dublino, secondo la quale il migrante può fare richiesta d’asilo solo nel primo Paese Ue in cui mette piede. È chiaro che questo regolamento è stato un errore perché è impossibile, per Italia, Grecia e Spagna, affrontare da sole questa sfida.
«Il regolamento originario di Dublino è stato redatto in un momento storico completamente differente. Non è adatto per il contesto attuale e non possiamo mantenere lo status quo. Abbiamo proposto di riformare Dublino per avere un sistema più giusto e più sicuro. Non possiamo lasciare la maggior parte della responsabilità nelle mani di pochi Stati membri. È per questo che il concetto di redistribuzione delle responsabilità deve essere incastonato nel nuovo testo. Discussioni su questo punto sono attualmente in corso nel Consiglio. Per trovare un compromesso sulla riforma della Convenzione di Dublino, questo deve essere visto come parte di una più ampia proposta di riforma del sistema comune europeo di asilo. Tutti gli elementi sono interconnessi e dobbiamo fare progressi su tutto. Al Consiglio informale la settimana scorsa a Tallinn gli Stati membri hanno riconosciuto l’urgenza e personalmente conto sulla presidenza estone per portare avanti rapidamente questo obiettivo»

Gli accordi con i paesi di transito sono l’unico modo per regolare questi flussi? Quanti richiedenti asilo arrivati ??in Europa in questi anni sono diventati rifugiati?
«Abbiamo bisogno di un approccio globale. Dobbiamo lavorare con tutti i paesi della rotta migratoria. Data l’instabilità in Libia, dobbiamo lavorare con i paesi intorno alla Libia attraverso i quali i migranti transitano. Vogliamo rafforzare i nostri sforzi in Nord Africa (Tunisia, Egitto e Algeria) e nella regione del Sahel (Mali, Niger). I flussi che arrivano nel Mediterraneo centrale sono misti. La maggioranza non ha bisogno di protezione - è per questo che gli sforzi di dissuasione e rimpatrio sono importanti. Tuttavia, le loro richieste devono sempre essere valutate individualmente, secondo gli standard e i diritti europei».

Lei, commissario, viene dalla Grecia, che con l’Italia è uno degli Stati più colpiti da questa “crisi migratoria”. Quanti richiedenti asilo sono ancora sul vostro territorio? Quale sarà il futuro di questi richiedenti asilo? Il progetto dell’Unione di “ricollocare” i migranti arrivati in Italia e Grecia non sta funzionando. Perché?
«È vero, anche la Grecia è stata sotto un’enorme pressione negli ultimi due anni. Sia l’Italia sia la Grecia hanno mostrato uno spirito europeo di responsabilità, ma anche di ospitalità, verso molti disperati. L’anno scorso, più di 50 mila persone hanno chiesto l’asilo in Grecia. Molti di questi candidati sono o saranno trasferiti in altri Stati membri. Finora più di 23 mila persone che hanno bisogno di protezione internazionale sono state trasferite, oltre 16 mila dalla Grecia e circa 7.400 dall’Italia. È assolutamente possibile trasferire tutti coloro che ne hanno diritto entro settembre. Ma occorre volontà politica. Stiamo sostenendo finanziariamente la Grecia e l’Italia per accelerare il trattamento di queste domande d’asilo, per fornire condizioni di accoglienza appropriate e per aiutare a integrare coloro che sono idonei a soggiornare».