Con la fine dell’estate, gli oltre 10 mila bambini stranieri che hanno passato gli ultimi tre mesi in Italia grazie all’istituto della “accoglienza temporanea” torneranno - o stanno già tornando - nei Paesi di origine. Alcuni (poco più dell’11 per cento) rientreranno nelle loro famiglie, ma molti altri no: circa un terzo (il 33,4 per cento) vive infatti in orfanotrofi e più del 55 per cento in strutture tipo casa-famiglia. La maggior parte di questi ragazzini (il 67 per cento dei quali ha meno di 12 anni) proviene dai paesi dell’ex Urss (Russia, Bielorussia e Ucraina in testa), nei cui istituti d’epoca sovietica trascorreranno l’inverno, rimanendo in contatto attraverso Internet - se e quando potranno - con la famiglia italiana che li ha ospitati.
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La realtà della accoglienza temporanea in Italia è molto variegata e non riconducibile a un unico modello: in molti casi, per i bambini è una semplice e graditissima vacanza al termine della quale non è drammatico il ritorno alla normalità nel paese d’origine, soprattutto se in questo vi è una rete di socialità e affettività, vuoi familiare vuoi d’altro tipo. In molti altri casi però - soprattutto per i minori che vivono negli orfanotrofi - si sviluppa invece un rapporto affettivo crescente con le persone che li accolgono in Italia, specie se questa ospitalità è reiterata nel tempo (non solo le vacanze estive, ma anche quelle di Natale, anno dopo anno) e se come spesso capita i “genitori” italiani vanno a loro volta a trovarli nei loro Paesi. Può accadere insomma (e di fatto accade) che le bambine e i bambini talvolta sentano vieppiù come la loro vera casa (cioè il luogo degli affetti, della sicurezza, del nido) non l’istituto di provenienza bensì le persone con cui trascorrono i mesi di accoglienza temporanea. In molti casi è possibile quindi ipotizzare e anzi auspicare il passaggio graduale da una frequentazione temporanea a una forma di affido a lungo termine o di adozione vera e propria, che permetterebbe al bambino di vivere e crescere con le persone a cui vuole più bene e da cui è amato.
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I paletti legali che regolano questo passaggio sono spesso fondati: non ci si può approcciare con superficialità al cambiamento dalla dimensione tipicamente ludica e spensierata della vacanza a quella che include tutti i doveri propri del rapporto genitore-figli, come già emerso da diversi studi a partire da quello redatto nel 2005 dalla Commissione per le adozioni internazionali. Tra gli aspetti normativi meno giustificabili e più urgentemente da superare, tuttavia, c’è quello paradossale che assegna alle coppie non sposate e ai single la possibilità di convivere insieme ai bambini in “accoglienza temporanea”, impedendo poi però loro l’idoneità all’adozione, che è riservata per legge alle famiglie “regolari” (cioè alle coppie sposate con determinati requisiti d’età). In altri termini, le due norme (quella sulla accoglienza temporanea, più avanzata, e quella sull’adozione, più arretrata) non sono coerenti tra loro, il che crea una discriminazione di possibilità tra i bambini degli orfanotrofi. Da un lato ci sono infatti quelli che vengono adottati attraverso il procedimento internazionale “tradizionale”, dall’altro quelli che invece - dopo aver trovato la loro “casa emotiva” accanto a coppie non sposate o a single - devono passare attraverso una porta assai più stretta: quella che vede i loro aspiranti genitori adottivi costretti a inoltrare un ricorso al tribunale facendo leva sulla legge per le “adozioni particolari”. Il che implica un procedimento lungo, costoso, assistito da un avvocato e dagli esiti incerti, in cui è obbligatorio dimostrare (tramite fotografie, lettere, biglietti aerei, testimonianze di terzi etc) il «preesistente rapporto stabile e duraturo maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento».
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La discriminazione in questione non sembra essere nel “superiore interesse del minore”, quel principio a cui si ispira tutta la legislazione italiana in materia di adozione, mediazione familiare, divorzio etc. E finisce per imporre lunghi anni di attesa e di incertezza ai bambini anche nei casi più eclatanti e urgenti: ad esempio, quando uno di loro vive in un orfanotrofio senza adeguata alimentazione, senza adeguate cure mediche, senza alcuna forma di affettività, senza alcun contatto con la famiglia d’origine - e magari anche vittima di bullismo o violenze; il tutto mentre esiste un legame affettivo solido e profondo con una coppia non sposata o con una persona single che lo ama da anni. Eppure anche in casi come questo il comune desiderio di unirsi del minore e della famiglia d’accoglienza viene negato, ostacolato o posposto per anni.
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Non mancano, in Italia, le proposte di legge che mirano a superare questa contraddizione e a far vincere il buon senso. E anche in alcuni settori del centrodestra la sensibilità verso la questione è molto cambiata. Insomma, le condizioni per un intervento politico ci sarebbero, anche prima della fine della legislatura. Che coinciderà con l’inizio di un’altra estate e con l’arrivo in Italia di migliaia di bambine e bambini che lasceranno i loro orfanotrofi sperando di non rivederli mai più.