Lo sfruttamento delle donne nigeriane va avanti da anni, alimentando un giro d'affari da milioni di euro. Ma una via d'uscita c'è, come racconta Anna Pozzi nel suo libro denuncia

Quelle schiave sessuali in vendita per pochi euro nelle nostre strade

Si vendono per poche decine di euro. Sapendo che il prezzo per riscattare la loro libertà è la somma di quegli stessi gesti, soprusi e umiliazioni moltiplicati per anni. Alimentano un mercato da 9-10 milioni di prestazioni sessuali al mese. Pur restando ombre: fantasmi senza nomi, figuriamoci diritti, agli angoli delle strade. Schiave sotto casa. Esistenze rubate, negate, senza l’alibi di una vita scelta. Secondo le stime un traffico che coinvolge tra le 50 e le 70 mila donne. Affrontato, per lo più, con concetti impropri: sicurezza, decoro urbano. Una vergogna, invece. Che gli sbarchi hanno accentuato.

«Se le minorenni sono tra il 5 e il 7 per cento degli stranieri non accompagnati, nel caso delle nigeriane la percentuale sale al 40 per cento. Donne sbarcate e vittime di tratta sono numeri quasi perfettamente sovrapponibili», dice la giornalista Anna Pozzi, che da oltre 10 anni si occupa di schiavitù femminile. Nel 2016 ha pubblicato “Mercanti di schiavi”. Il suo nuovo libro si intitola “Il coraggio della libertà” (edizioni San Paolo), scritto con Blessing Okoedion, uscita dall’inferno della tratta. «La schiavitù, in Occidente, riguarda donne da molti Paesi, specie dall’Est europeo. Le nigeriane sono tra le più coinvolte. In Italia è un fenomeno iniziato una trentina d’anni fa, sulla traiettoria Benin City - Torino e Castelvolturno. E si amplifica: nel 2014 le nigeriane approdate in Italia e destinate alla strada erano 1400, nel 2015 5.600, nel 2016 11 mila».

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erché è così difficile salvare queste ragazze?
«Molte di loro sono arrivate da sole in Italia, col miraggio di un lavoro. Prima di partire hanno fatto riti vudù che le imprigionano psicologicamente. Sono donne vulnerabili: in fuga da povertà, guerre, violenze. In Italia fanno una vita isolata, in case gestite da madame che proseguono l’opera di sottomissione. Convincerle a denunciare è difficile».

La protagonista del suo libro l’ha fatto.
«Blessing è un’ingegnere, è stata attratta con la promessa di un lavoro informatico: giunta in Campania le è stato chiesto richiesta un rimborso di 65 mila euro. Si è salvata grazie a una casa di accoglienza».

Lei rappresenta anche “Slaves no more”. Come si può agire concretamente ?
«Gruppo Abele, comunità Papa Giovanni XXIII, le associazioni sono tante. È urgente informare, nei Paesi dai quali le ragazze provengono. E lavorare sul piano culturale: è accettabile che, in piena libertà sessuale, qualcuno trovi normale acquistare persone come merci?».

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