Attualità
ottobre, 2018

"Ho due papà e sono felice": i figli delle Famiglie Arcobaleno rispondono a Pro-Vita

«Un bimbo conosce la propria famiglia per quella che è. Senza numeri né genere». Il commento dei ragazzi è la più bella reazione al manifesto omofobo appeso sui muri di Roma

“Questo manifesto è agghiacciante”, Joshua ha diciassette anni, una vita divisa tra lo studio al liceo linguistico, le ore giornaliere di allenamenti di ginnastica artistica e gli amici. Un ragazzo come tanti. Ha due mamme, Giuliana Beppato psicologa e Maria Elena Mantovani, vigile urbano. Joshua vive a Milano ed è tra i “bambini” più adulti di Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali. Commenta quasi esterrefatto l’ultima trovata di Pro-Vita contro le famiglie omogenitoriali: un cartellone che ritrae un bambino che piange dentro un carrello della spesa, sul corpo tatuato un codice a barre e alle spalle due ragazzi, presunti genitori, dallo sguardo cupo. Il manifesto per quindici giorni ricoprirà le città di Roma, Milano e Torino seguito da camion vela con l’hashtag #StopUteroInAffitto.

“Davvero questa roba girerà anche nelle città? Anche a Milano?”. Non riesce quasi a crederci: “Fa schifo” - continua mentre fissa l’immagine- “Niente di tutto questo ha riscontro con la vita vera. Con la mia”. Joshua posa lo sguardo sul bambino disperato: “Io anche ero così. Quando mi sbucciavo un ginocchio però, non certo perché ho due mamme che mi amano. Conosco le famiglie arcobaleno se penso ai bambini durante le nostre cene e li confronto con quello di questo del manifesto mi viene quasi da ridere”.

Anche Lisa Marie sorride. È in sala d’attesa dal dentista mentre il manifesto pro-vita viene rimbalzato dai social, ha 16 anni ed è un’adolescente graziosa coi lunghi capelli lisci, figlia di due madri, Raphaelle e Giuseppina La Delfa socia fondatrice di Famiglie Arcobaleno. Fissa lo schermo dello smartphone e osserva quel bambino disperato: “Questa immagine non ha senso. La scritta genitore 1 e genitore 2, il bambino che piange. Un bimbo conosce la propria famiglia per quella che è. Senza numeri né genere”.

Sulla pelle delle famiglie arcobaleno da anni si consumano discussioni su come stanno, cosa pensano, come crescono i figli. “Vogliono parlare a nome nostro, pretendono di rappresentare qualcuno senza averlo mai ascoltato”” sbotta Lisa.

Cosa si ferma alla coscienza dei bambini che osservano questo manifesto, e cosa va sotto invece, e diventa colore/rumore di fondo? Il sentimento comune è lo stupore. Come quello di Lia, i capelli lunghi e un gran sorriso, frequenta la seconda media e sogna diventare un’attrice o un’insegnante. Ha due papà Lia, lo scrittore e conduttore di Fahrenheit Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti, insegnante in una scuola di cinema: “Mi ha colpito questa frase ‘Due uomini non fanno una madre’. È vero ma non è una cosa brutta” dice Lia che osserva ancora meglio la fotografia e poi esclama: “Ho due papà ma non ho mai avuto nessun problema e sono felice così”.

Lo stupore fa anche spazio al fastidio: “Come se dicessero che sono cresciuta male e infelice. Ma questi politici che dicono tutte queste cose, qualcuno di loro ci ha mai chiesto qualcosa? Mai. E poi dietro questa immagine non dovremmo neanche perderci tempo perché è insensata come quel politico che dice che noi non esistiamo, non ha senso”. Così, con una risata risponde anche al Ministro Fontana che afferma che le famiglie arcobaleno non esistono.

“Forse” ragiona “dicono questo perché sono di epoche più vecchie, i miei amici quando saranno adulti non diranno mai una cosa del genere. Ma del resto non sono i figli che devono crescere ma i genitori”. Sono sempre i bambini a insegnare agli altri la bellezza delle differenze, come racconta Lia: “C’è stato un periodo in cui un mio compagno prendeva in giro una mia amica cinese, per proteggerla gli chiesi di lasciarla stare e di prendersela con me. Mi rinfacciò di avere due padri gay. Ma io sono fiera e quando glie l’ho spiegato siamo scoppiati a ridere e abbiamo fatto pace”.

C’è anche chi decide di non mostrare questo manifesto ai propri figli, un tentativo di proteggerli dalla violenza di un dibattito politico avvelenato. I vari Fontana, Pro-Vita, Family Day non fanno parte delle quotidianità dei bambini delle coppie omosessuali. Una decisione che ha preso Claudio Rossi Marcelli, 42 anni, scrittore e giornalista, la sua è stata tra le prime coppie gay visibili nel nostro Paese e soprattutto tra le prime ad avere dei bambini: “Non aggiorno i miei figli su ogni idiozia che spara Fontana. Questa immagine non l’hanno vista e probabilmente non la vedranno” spiega “Noi facciamo una vita semplice: casa, scuola, calcetto. Loro non sanno che è in corso un dibattito ideologico sulla loro esistenza, semplicemente perché la loro vita è fatta di insegnanti che li accettano, compagni di scuola e così via”.

E se dovessero incrociare i manifesti Pro-Vita nelle strade di Roma: “Se capitasse non avrei problemi a spiegare loro quello che già sanno: esistono delle persone integraliste e invasate che pretendono di dire agli altri cosa devono fare della loro vita, di dire alle donne cosa fare con le loro gravidanze. Sanno benissimo che sono una minoranza rumorosa, violenta e che non ci fa paura perché sono pochi. Invece la silenziosa maggioranza, quella della vita quotidiana, della scuola, del quartiere ci accetta e ci ama”.

L'edicola

L'effetto domino di una Nato senza Stati Uniti

Bisogna accelerare il percorso verso un'Europa federale autenticamente politica che fin qui è mancato