Le critiche piovute sulla scrittrice per il suo test sembrano ignorare i precedenti storici. E sorge il sospetto che molti commenti non siano spassionati, ma motivati da voglia di riposizionarsi
È possibile misurare il “
tasso di fascismo” in ciascuno di noi? Una carovana di opinionisti si è dedicata nei giorni scorsi a decretare l’assoluta irrilevanza della questione. Per alcuni di essi, non solo le analisi sulla diffusione di una rinnovata cultura fascistoide sono ridicole, ma la stessa parola “fascismo” è da ritenersi talmente stantia che bisognerebbe abolirla ?dal lessico politico odierno.
Difficile dire se tali
giudizi siano spassionati o piuttosto indotti dall’esigenza di adattarsi a questo mondo nuovo, pervaso da aspiranti leader sempre pronti a spendere buone parole per il Ventennio. In ogni caso vale la pena di ricordare che un tempo, su questioni simili, si rideva poco.
Negli anni immediatamente successivi alla carneficina della guerra, l’intento di comprendere le ragioni che avevano decretato il successo del nazifascismo muoveva i più autorevoli centri di ricerca scientifica, in Europa e negli Stati Uniti. Lo scopo era chiaro: dotarsi di efficaci segnali di allarme per non ripetere gli errori ?che avevano condotto l’umanità ?in quell’abisso.
Theodor Adorno, esponente di punta della Scuola di Francoforte, nel 1950 elaborò la cosiddetta “Scala F”, dove “F” sta appunto per fascismo. Si trattava di un questionario di trenta proposizioni, del tipo: «La scienza ?ha la sua funzione ma ci sono molte cose importanti che non potranno mai esser comprese dalla mente umana»; «l’obbedienza e il rispetto per l’autorità sono le virtù più importanti che i bambini dovrebbero imparare»; «se la gente parlasse ?di meno e lavorasse ?di più, tutti starebbero meglio»; «la sfrenata vita sessuale degli antichi Greci e Romani era morigerata rispetto a certe cose che accadono oggi nel nostro paese, anche negli ambienti meno sospetti”», e così via.
Agli intervistati veniva chiesto ?di attribuire a ciascuna affermazione un punteggio basso o alto, in funzione del grado di disaccordo o accordo con essa. Punteggi particolarmente e levati, secondo Adorno, individuavano i tratti di una personalità autoritaria: affezionata agli stereotipi, superstiziosa, avversa all’introspezione e alla speculazione intellettuale, giudicante verso ?i desideri sessuali, diffidente verso gli estranei. Queste caratteristiche venivano quindi associate ?a determinati orientamenti sociali, tra cui la voglia di punire i rei ?con pene cruente, la tendenza ?a discriminare per motivi etnici, religiosi o sessuali, la disponibilità ?a cedere diritti di libertà in cambio ?di protezione, l’impulso di sottomettersi a un capo carismatico.
La tecnica su cui i test di Adorno ?si basavano è ormai in gran parte superata. Ma il suo tentativo pionieristico viene considerato un riferimento classico dagli studi più recenti in materia, nei campi della psicologia sociale come in quelli delle neuroscienze. Da queste odierne ricerche si traggono evidenze empiriche preziose per ?il tempo presente. Una delle più interessanti è che
l’autoritarismo ?di destra sembra diffondersi soprattutto negli ambienti stressati da un’elevata competizione sociale, da un alto grado di disuguaglianza economica e da una tendenza alla gerarchizzazione dei rapporti umani.
Si potrebbe sintetizzare il tutto affermando che le ricette del liberismo creano i presupposti per ?la malattia fascista. Uno spunto di riflessione per quei commentatori che hanno lungamente chiuso gli occhi dinanzi ai guasti del libero mercato e che oggi si affannano a minimizzare ?i pericoli di una futura reazione autoritaria.