Michele Rech, cresciuto in una periferia negli anni 80 e 90, diventato adulto al sanguinoso G8  di Genova. Poi lavoratore precario. Infine, voce di tanti come lui. E ora in mostra al Maxxi di Roma

La sua è la biografia di un ragazzo nato negli anni Ottanta, cresciuto nei Novanta, diventato grande, una volta per sempre, nelle giornate calde dell’estate 2001, il luglio del G8 di Genova, «lo spartiacque della mia vita». Uguale ai suoi coetanei: precari i lavori come l’esistenza, il degrado civile, i luoghi di socialità che svaniscono per lasciare il posto a quello che può vedere solo uno sguardo sensibile, laterale, come il suo. È la Generazione Zerocalcare. Di questi anni e di questa Italia Michele Rech è diventato un piccolo maestro, come i partigiani ragazzi di Luigi Meneghello, un giovane maestro che descrivendo se stesso e il suo mondo (il quartiere romano di Rebibbia, i centri sociali, il punk), è riuscito a incontrare i desideri, le ossessioni, le paure e i sogni di tutti, come avviene a tutti i grandi artisti. Oggi il Maxxi gli dedica una mostra straordinaria. Una controstoria d’Italia.
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Michele Rech nasce il 12 dicembre del 1983 in una piccola frazione di Cortona, in provincia di Arezzo. Due mesi dopo la famiglia fa ritorno nel quartiere romano di Rebibbia, dove sia il padre che il nonno risiedono da tempo, ma ormai il danno è fatto. E la prima spina nel fianco inflitta. Michele Rech è toscano.

La madre invece è francese, come la nonna pittrice. Il bambino cresce intriso di cultura d’oltralpe, quanto basta per odiare Tintin, che lo obbligano a leggere a casa. Nonostante la separazione dei genitori trascorre un’infanzia a suo dire felice. Tanto felice che, a otto anni, durante la festa di compleanno, piange a dirotto perché sente la senilità che incalza e la morte avvicinarsi a grandi passi.

Meno male che ci sono i fumetti. Topolino e Paperino, dai cui albi ricopia i personaggi con applicazione. Lupo Alberto e Cattivik di Silver, le Sturmtruppen di Bonvi, Tiramolla e più avanti i manga giapponesi, da Dragon Ball a Ken il Guerriero, da Ranma 1/2 a Ushio e Tora. I supereroi Marvel arriveranno più tardi, insieme al Rat-Man di Leo Ortolani e la Minnie di Silvia Ziche. Meno male che c’è il Game boy, la prima console portatile di videogiochi della Nintendo, per la quale a otto anni nutre un amore esclusivo e totalizzante. E per fortuna che c’è la tv, su cui forgia le basi del suo adamantino sistema di valori, in un percorso che dai precetti del Robin Hood della Disney passa per l’etica dei Cavalieri dello zodiaco e si affina sui dettami del maestro Yoda di Star Wars. È dopo la visione di Jurassic Park che decide però il mestiere che vuole fare da grande: il paleontologo.

Nel 1998, quando deve compiere ancora quindici anni, si tolgono la vita nel carcere di Torino Edoardo “Baleno” Massari e pochi mesi dopo la ventiquattrenne Maria Soledad Rosas, detta Sole, due squatter anarchici accusati dei sabotaggi della Tav in Val di Susa. Durante il concerto dei Chumbawamba a Roma, sono invitati a salire sul palco alcuni ragazzi dei centri sociali che aprono uno striscione e spiegano la montatura giudiziaria che ha portato ai suicidi. Il giovane Michele, confuso tra il pubblico del Foro Italico, rimane estremamente colpito da questa storia dove, come dirà in seguito, «era immediato riconoscere chi erano i Robin Hood». Inizia così a frequentare la scena musicale punk della Capitale entrando in contatto con una realtà variegata e generosa di stimoli. Qualche mese dopo si inventa un fumetto che racconta l’occupazione da parte di Paperino e della Banda Bassotti del deposito di Zio Paperone per farne uno squat, mentre Basettoni tenta invano lo sgombero. Rimane incompiuto.
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Michele intanto frequenta il liceo francese di Roma, su impulso della madre che teme che, oltre al passaporto, possa non rimanere più nulla della sua cultura originaria, con il romano che corrode ogni giorno di più la sua madrelingua. Ne uscirà cinque anni dopo con un dignitosissimo 94 come voto finale e un’unica convinzione, per quanto concerne il futuro: il paleontologo non sarà il suo mestiere. Bisogna studiare troppo, e studiare non fa per lui. Si segnerà senza crederci troppo alla facoltà di Lingue, pensando di cavarsela grazie al francese. Resisterà tre mesi. Dopo, invece di andare alle lezioni, rimarrà per ore sul vagone della metropolitana facendo avanti e indietro da capolinea a capolinea, leggendo, ascoltando musica, disegnando e spaccandosi la testa sulla strada da imboccare. Troverà un lavoretto all’aeroporto di Fiumicino, dove verrà pagato in base ai numeri di telefono estorti ai passeggeri. Inizierà a frequentare un corso di fumetto e uno di illustrazione, saltando le lezioni. La svolta saranno le ripetizioni di francese e le traduzioni di documentari di caccia e pesca, dove l’impegno è limitato e gli orari del tutto flessibili.

Ma tutto questo verrà dopo. Quando finiscono gli splendenti anni Novanta, nel suo capoccione di diciassettenne albergano solo due convinzioni. Rebibbia, casa sua, un’isola felice «tra San Francisco e Pescara». E un fortissimo senso di appartenenza a una comunità slabbrata e sotto assedio, però l’unica dove si sente in pace. Sono le stelle polari destinate a orientare la sua esistenza.

L’inizio del nuovo millennio è preso molto seriamente dall’ambiente antagonista. È la stagione dei forum, di assemblee gremite, di bellicosi controvertici. L’onda lunga degli scontri di Seattle, durante la conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, sembra finalmente aprirsi un nuovo ciclo di lotte europee. Il giovane Michele Rech decide di uscire dall’anonimato per scrivere il proprio contributo. Alle sue spalle la televisione passa la pubblicità di un prodotto per il ferro da stiro, ZeroCal. Michele digita il nickname per esteso, senza abbreviare, forse addirittura con la k. E il gioco è fatto. Nessun’altra spina nel fianco, solo la genesi di un nome che ti rompi subito le palle a raccontare.

Più interessante è la scelta radicale che segue. Diventa uno straight edge, aderisce cioè a uno stile di vita che prevede l’astinenza dall’alcool, dalle droghe, dal tabacco e in generale da qualunque sostanza che possa alterare la coscienza e indurre dipendenza. È una corrente dell’hardcore-punk teorizzata e messa in pratica da Ian MacKaye, cantante dei Minor Threat e poi dei Fugazi, che prevede una ferrea autodisciplina e un nuovo modo di intendere i rapporti con gli altri. Basti dire che anche il sesso occasionale è visto di cattivo occhio e ci sarebbe da divertirsi a raccontare le acrobazie mentali per discernere dove si pone l’asticella dell’occasionalità. Non lo faremo, ci limiteremo a dire che, per la presenza del caffè, è osteggiato pure il tiramisù. In compenso Michele può esibire di diritto le felpe più fiche della scena. Spiegherà più tardi: «L’unica cosa di quel mondo che mi metteva in difficoltà era proprio l’aspetto sballone. Ho pensato che lo straight edge mi consentiva di mantenere la radicalità del punk e un contegno inattaccabile. Non ero quello astemio che non beve perché è sfigato, avevo un’identità. E ho avuto la fortuna di esserlo diventato insieme a un amichetto mio, e che quando eravamo in due ci hanno provato altri due, quindi c’è stato un momento in cui avevamo il nostro piccolo gruppo che ci dava forza».

Nel maggio 2001 in Italia si tengono le elezioni politiche. Dopo il primo esecutivo del 1994, Silvio Berlusconi è di nuovo al governo e rimarrà in carica per altri quattro anni. Il suo schieramento politico ha espresso da tempo, con parole e con fatti, la ferma intenzione di bloccare in ogni maniera qualsiasi tipo di opposizione sociale. Durante la riunione dei capi di governo dei maggiori paesi industrializzati che si svolge a luglio a Genova, movimenti antagonisti e associazioni di varia estrazione danno vita a numerose manifestazioni di dissenso, che si risolvono in alcuni casi in gravi tumulti di piazza.

Durante gli scontri di venerdì 20 luglio viene assassinato dai carabinieri Carlo Giuliani, un manifestante genovese di ventitré anni. Nei due giorni che seguono si scatena una vera e propria caccia all’uomo che porta a pestaggi indiscriminati, abusi detentivi, torture e ogni altro genere di nefandezza. Amnesty International parlerà di «una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente», mentre il Parlamento europeo deplorerà «le sospensioni di diritti fondamentali come la libertà di espressione, la libertà di circolazione, il diritto alla difesa e all’integrità fisica». Trecentosessanta persone tra arrestati e fermati, più di seicento feriti, almeno venti colpi di pistola esplosi, un morto. Un movimento che si ricompatta a fatica intorno alle macerie di quella che per molto tempo è destinata a essere l’ultima mobilitazione sociale di massa in Italia. «Quelle del G8 furono giornate molto intense, ci hanno reso quello che siamo oggi. È stata un’esperienza, tanto in positivo come in negativo, molto formativa», dichiarerà anni dopo Zerocalcare, rievocando quel weekend di paura in cui il potere ha mostrato tutta la bestialità di cui può essere capace. 

Non passano neanche due mesi e arrivano gli attentati al Pentagono e alle Torri gemelle. Il fortissimo impatto e lo sdegno internazionale spazzano via il dibattito mediatico sui fatti di Genova e legittimano il ricorso a un’architettura repressiva che diventa spietata e invincibile. «Genova. Lo spartiacque della mia vita. Avevo diciotto anni. Il mio primo esperimento di fumetto vero e proprio è stato il racconto di quell’esperienza. Non in diretta, ma un anno dopo, quando hanno arrestato venticinque persone per devastazione e saccheggio. Dopo tutto quello che avevamo subito, vedevo che non era ancora finita. Da lì è venuto l’impulso di scrivere La nostra storia alla sbarra, un fumetto pensato per pagare le spese processuali dei ragazzi arrestati». Sono sei tavole che completerà l’anno dopo e che metterà a disposizione di Indymedia e Supporto legale. Verranno assemblate in un unico poster, venduto per raccogliere i fondi necessari per le spese processuali di chi è a giudizio. Come si legge nella vignetta finale, «La memoria è un ingranaggio collettivo».