Case, librerie, gruppi: sono voci diverse ma tutte in coro. Da Nord a Sud. Unite nella lotta al patriarcato. Abbiamo provato a raccontarle
Patriarcato. Nel variegato arcipelago tutt’altro che omogeneo dei femminismi italiani, è questa la parola emersa in tutte le conversazioni di questo viaggio. Un percorso in quindici tappe, alla ricerca della “libertà” delle donne. Ma se “libertà da” è terreno comune, riguardo alla “libertà di” gli orientamenti sono diversi. Vi sono differenze sia teoriche sulla definizione di “questione di genere”, che nell’approccio alla lotta.
È comunque unanime l’opinione che oggi il femminismo stia rivivendo una stagione di forte propulsione, ardente da Nord a Sud e anche fra le generazioni più giovani. Case delle Donne, collettivi femministi, reti, da Salerno a Cagliari, da Bari a Ragusa. «O è un po’ visionario, un’utopia concreta, o non è femminismo», sintetizza Sara Fichera del Collettivo RIVOLTApagina catanese.
Per iniziare un viaggio nei femminismi italiani è necessario partire dai diversi luoghi delle donne: case, librerie, gruppi. L’elenco è lunghissimo, come mostra il progetto Rete delle Reti, che ha creato una prima mappa. Ci sono poi le reti che aggregano realtà diverse e danno vigore alla lotta femminista, come
Non Una Di Meno, attiva dal 2016, e
D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, che comprende ottanta centri antiviolenza italiani. All’interno di questa grande rete non è facile trovare delle direttrici. E in un panorama così eterogeneo la domanda centrale è se tutti i femminismi italiani mettano oggi ancora al centro la donna.
Dipende. In tutti i femminismi troviamo al centro le donne, ma per parte del femminismo italiano, in particolare quello delle più giovani, la questione di genere è più ampia: non per tutti “Donne” e “femminile” sono sinonimi.
L’impressione non è quella di un gap generazionale tout court. Colpisce il fatto che nonostante i punti di partenza siano diversi, le logiche dell’ “autodeterminazione” non siano poi così distanti.
«La nostra è da sempre una lotta per la libertà femminile e per la valorizzazione della differenza sessuale nelle donne e negli uomini», racconta Clara Jourdan, della
Libreria delle donne di Milano, luogo storico del cosiddetto “femminismo della differenza”. «Il femminismo è necessario, ma non ci interessa la differenza biologica dei sessi», spiega Federica Maiucci, 27 anni, del
Collettivo Degender Communia di Roma.
«Il problema è l’oppressione del patriarcato. Per questo le nostre riunioni sono aperte a tutto tranne ai maschi bianchi ed etero, perché pensiamo che serva un luogo dove le categorie oppresse possano confrontarsi separatamente».
Negli anni Settanta l’autodeterminazione partiva dalla riflessione sul corpo, «la bussola del femminismo», come la definisce Monica Lanfranco, fondatrice della storica rivista “Marea” e del primo podcast femminista, “Radio delle donne”. E oggi? L’impressione è che le più giovani parlino ancora di corpo, ma parte di loro lo fa in modo diverso rispetto a un tempo, in nome di una libertà sessuale che comprenda l’attraversamento del genere biologico scardinando le categorie stesse di “eterosessualità”, “omosessualità”, “transessualità”. «Consapevolezza del proprio corpo significa per noi un approccio più libero all’esplorazione sessuale, al di là delle briglie dell’eterosessualità», continua Federica.
Le differenze ci sono, ma non si tratta di frammentazione. Siamo in un momento storico di rinnovata unione, specialmente grazie al
Piano Femminista di NUDM, che ha come baricentro la lotta contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. «NUDM è un movimento intergenerazionale, che è riuscito a unire dopo molto tempo gruppi di femminist* diversi tra loro e realtà LGBTQ, producendo un ragionamento politico collettivo basato sull’idea che la violenza di genere sia sistemica», spiega Laura Buono di NUDM Milano. In questa direzione va anche la neonata Prochoice, «la prima rete italiana contraccezione e aborto, per mettere insieme professioni e attivismo e promuovere azioni incisive in ambito di salute sessuale e riproduttiva», spiega Eleonora Cirant, giornalista e attivista. «In Italia è quasi una parolaccia per un politico dirsi femminista, mentre all’estero non è così, ma nonostante tutto il femminismo è riuscito a entrare nell’universo delle più giovani, come testimonia NUDM», aggiunge Anna Pramstrahler della
Casa delle Donne di Bologna.
È unanime l’opinione positiva rispetto alla forza rivoluzionaria del #MeToo. «Credere alle parola delle donne. Dare forza alla loro narrazione anche quando è dolorosa: noi lo facciamo ogni giorno nei centri antiviolenza, e il #MeToo ha portato senza dubbio conseguenze positive sulla percezione della violenza», racconta Maria Rosa Lotti di
D.i.Re.Caldo è il dibattito anche all’interno delle realtà che aderiscono a NUDM sul fatto che il movimento sia l’approccio più vincente per emendare la cultura patriarcale. «Condividiamo le istanze di NUDM ma al contempo pensiamo che sia necessario fare femminismo al di là del movimento. La nostra idea è “Cambia te stessa e poi il mondo”», spiega Ivana Pintadu di Collettiva Femminista Sassari.
C’è poi la questione dibattuta da sempre del separatismo: è giusto coinvolgere il maschio? «Siamo separatiste come pratica politica ma siamo aperte al confronto con quei gruppi di uomini che hanno cominciato a riflettere sul patriarcato e si sono messi in discussione», commenta Mariella Pasinati della Biblioteca delle Donne UDI Palemo. «Oggi è diverso. I maschi vanno coinvolti, perché non è stata metabolizzata la grande rivoluzione femminista del passato, e i più giovani non hanno ancora gli strumenti per capire cosa sta accadendo», chiosa Paola Columba autrice di “Il Femminismo è superato. Falso!” (Laterza).
Come luoghi fisici dove fare politica, le Case delle Donne sono spesso sotto mira, ma più vive che mai, pur nelle differenze,: le racconta Antonia Cosentino ne “Al posto della dote. Casa delle Donne: desideri, utopie, conflitti” (Villaggio Maori edizioni, 2014). «Per noi è stato importante scegliere di definirci “Casa della donna, al singolare, perché ogni donna può trovare il proprio posto, nel rispetto di tutte le differenze», racconta Giovanna Zitiello della Casa della Donna di Pisa. «Le case sono luoghi in cui le donne possono fare politica, incontrarsi, ricevere accoglienza, sostegno se vivono situazioni di violenza o difficoltà, aiuto legale e per la loro salute», racconta Antonella Petricone della Casa Internazionale delle Donne di Roma. E di mobilitazione ne sa qualcosa anche Tea Giorgi, voce energica della
Casa Internazionale delle Donne di Trieste: «Ho scritto proprio in questo giorni un’email intitolata “Resistere, resistere, resistere”. E noi resistiamo nonostante la tragica situazione politica, perché abbiamo una rete locale forte e intergenerazionale».
La rete, il collettivo, l’intersezionalità per combattere la violenza di genere: possiamo dire sia questa la cifra dei femminismi italiani?
Si litiga ancora sui temi della prostituzione, della gestazione per altri, sulle quote rosa, ma si continua a parlare delle altre come “compagne”. Lo hanno fatto quasi tutte le donne incontrate in questo viaggio, giovani e meno giovani. «Anche negli anni Settanta c’erano opinioni e orientamenti politici diversi all’interno del movimento femminista», conclude Nadia Maria Filippini della Società Italiana delle Storiche, «ma, a differenza di oggi, una parte dei partiti e delle istituzioni politiche era in ascolto. Oggi mi sembra che gli spazi si stiano sempre più chiudendo e che da parte delle donne ci sia l’idea sbagliata che i diritti ormai siano acquisiti e non si possa tornare indietro». Il forte attacco che i luoghi delle donne stanno subendo da parte delle istituzioni ci sta insegnando che non è così. Il femminismo, comunque lo si declini, è ancora necessario. Meglio se prendendo le distanze dagli stereotipi con cui è stato raccontato.