Pubblicità
Attualità
marzo, 2018

Il fisco in segreto coccola le multinazionali: ma la politica fa finta di niente

I tax ruling, gli accordi riservati che spesso permettono alle grandi aziende di ottenere sconti sulle tasse, sono ormai più di duemila nell'Ue. I nuovi dati mostrano che l'Italia ne ha in vigore almeno 78. A livello comunitario ne fanno più di noi solo Belgio, Lussemburgo e Olanda. Eppure se ne parla pochissimo

Le tasse sono state al centro della campagna elettorale italiana, ma c'è un tema fiscale su cui tutti i partiti hanno preferito glissare: gli accordi fiscali segreti tra le multinazionali e il nostro Paese. In gergo tecnico si chiamano tax ruling e sono contratti che spesso permettono alle grandi società di pagare meno imposte rispetto a quanto devono fare le piccole e medie imprese.

Non è un argomento marginale: secondo le stime di Tommaso Faccio, docente di economia aziendale alla Nottingham University Business School in Inghilterra, ogni anno i tax ruling costano all'Italia circa 7 miliardi di euro di imposte non versate. Tanto per dare un termine di paragone, è la stessa cifra che lo Stato spende per finanziare le università pubbliche.

IL BELGIO BATTE TUTTI
Nessun partito ha però pensato di inserire tra le proprie promesse elettorali una riforma di questi contratti. Eppure gli ultimi dati ufficiali dicono che gli accordi fiscali segreti sottoscritti fra l'Agenzia delle Entrate e le imprese multinazionali hanno raggiunto un nuovo record. Secondo il rapporto appena pubblicato dalla Commissione europea, nel 2016 i tax ruling firmati dall'Italia hanno toccato quota 78: dieci in più rispetto all'anno prima. Parliamo in realtà solo degli apa, cioè quegli specifici ruling che stabiliscono i prezzi a cui le multinazionali trasferiscono beni e servizi tra le singole società del gruppo, spesso convogliando i profitti nelle filiali con sede nei paradisi fiscali. Insomma, i dati appena pubblicati dalla Commissione europea danno conto solo di una parte del problema.

Inchiesta
Philip Morris, Michelin, Microsoft: gli accordi segreti con l'Italia per pagare meno tasse
8/1/2018
Leggendoli ci si accorge però che il boom dei tax ruling riguarda in generale tutta l'Europa, non solo l'Italia. Le statistiche indicano che gli apa sono passati in un anno da 1.252 a 2.053 all'interno dell'Ue. Un aumento del 64 per cento, spinto soprattutto dal Belgio. È infatti il piccolo Paese che ospita la sede della Commissione europea la vera sorpresa della classifica: con all'attivo 1081 tax ruling di tipo apa, Bruxelles si è piazzata in cima alla speciale graduatoria dei Paesi più generosi con le multinazionali, superando il Lussemburgo e tenendo a debita distanza Olanda e Italia, rispettivamente terza e quarta.

A TRE ANNI DA LUXLEAKS
Perché questi accordi sono preoccupanti? I tax ruling servono in teoria alle multinazionali per sapere come le autorità del Paese ospitante calcoleranno i profitti tassabili. D’altronde la struttura di una multinazionale è molto più complessa di quella di una piccola impresa. Così, diversi paesi offrono ai grandi gruppi l’opportunità di spiegare in anticipo come intendono organizzarsi fiscalmente. Con un vantaggio duplice: lo Stato sa più o meno quanto incasserà a fine anno, la multinazionale evita il rischio di controlli a sorpresa. Questa è la teoria.

La pratica indica però che i ruling possono essere usati anche per eludere il fisco, quasi sempre spostando i profitti nei Paesi dove le imposte sono più basse. Lo dimostra LuxLeaks, l’inchiesta giornalistica internazionale realizzata dal consorzio investigativo Icij (di cui fa parte L'Espresso) che tre anni fa permise di conoscere i privilegi fiscali concessi dal Lussemburgo a centinaia di società private. Colossi globali come Apple, Ikea, Deutsche Bank. Che hanno ottenuto dal Granducato il lasciapassare per spostare lì buona parte dei profitti pagando in cambio tasse ridicole, l’1 per cento o addirittura meno. 

TRASPARENZA CERCASI
LuxLeaks ha innescato un dibattito sui tax ruling. Da allora la Commissione europea ha avviato diversi indagini, arrivando in qualche caso a sanzionare delle multinazionali. È il caso ad esempio dei ruling ottenuti da Starbucks e Amazon nei Paesi Bassi, da Fiat-Chrysler in Lussemburgo e da Apple in Irlanda. La Commissione è corsa ai ripari varando anche una riforma politica. Dall’anno scorso gli Stati Ue sono infatti tenuti a scambiarsi le informazioni sui ruling emessi. In più, a partire da quest’anno tutte le multinazionali con un fatturato complessivo superiore ai 750 milioni di euro dovranno fornire alle autorità fiscali degli Stati in cui operano i dati economici divisi per nazione: fatturato, profitti, tasse, numero di dipendenti. Cifre che permettono in teoria di capire più facilmente se la multinazionale sta giocando sporco. Peccato che tutte queste informazioni non siano a disposizione dei cittadini, alimentando così sospetti sui contenuti degli accordi e ampliando quella distanza tra establishment e popolo che ha già rivoluzionato il quadro politico in diverse nazioni europee.

LA GUERRA IN CASA
L'Italia, che di questa rivoluzione politica è l'ultima protagonista in ordine di tempo, continua quindi a concedere accordi privilegiati alle multinazionali. Due mesi fa L'Espresso aveva scoperto i nomi di tre giganti internazionali che hanno ottenuto un ruling dall'Agenzia delle Entrate. Le storie di Michelin, Microsoft e Philip Morris permettono di capire in concreto i vantaggi concessi – legalmente - da questi contratti segreti. Le statistiche appena pubblicate dalla Commissione europea forniscono però un quadro d'insieme sul fenomeno, evidenziando un aspetto essenziale della vicenda. Attraverso i tax ruling gli Stati dell'Ue stanno combattendo una vera e propria guerra economica. Un conflitto basato sulla competizione fiscale, in cui ogni nazione cerca di concedere qualche vantaggio alla multinazionale di turno con l'obiettivo di attirala nel proprio Paese o di non farla scappare.

Che c'è di male? Non solo il fatto che questi accordi non possono essere sottoscritti dalle piccole e medie imprese, stabilendo così di fatto un principio di iniquità fiscale. Secondo Mikhail Maslennikov, policy advisor sulla giustizia fiscale di Oxfam Italia, una delle organizzazione che da tempo studia questi temi, i ruling sono oggi «una delle tante forme di dumping che causa considerevoli ammanchi per le casse degli Stati e mina alla radice la lotta alle elevate e crescenti disuguaglianze nei nostri Paesi». Insomma, a perderci sono le casse pubbliche dei singoli Paesi, mentre a guadagnarci sono le multinazionali che beneficiano di questi accordi. Peccato che la politica faccia finta di non saperlo.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità