La prova che Massimo Carminati è il capo di un’associazione per delinquere di tipo mafioso romana è nelle carte processuali. Ne sono certi alla procura generale di Roma, guidata da Giovanni Salvi, che ha fatto propri i motivi d’appello del procuratore Giuseppe Pignatone. In quelle carte che formano i fascicoli processuali ci sono le deposizioni di alcune vittime, la reticenza dei testimoni impauriti, i documenti contabili, i video, e le intercettazioni: tutti elementi che dal 6 marzo passano nelle mani dei giudici della sezione della Corte d’appello presieduta da Claudio Tortora. E così, nel silenzio romano, si riapre il processo in secondo grado a “mafia Capitale”.
La procura ha impugnato la sentenza solo nella parte in cui il tribunale ha rigettato lo scorso luglio l’esistenza dell’associazione mafiosa. Appello anche per l’assoluzione di due imputati ritenuti collegati alla ’ndrangheta.
La prova dell’esistenza di questo clan (chiamato appunto mafia Capitale) va esaminata nel suo insieme e non può essere parcellizzata. Anche per questo motivo l’accusa non punterà alla riapertura dell’istruttoria dibattimentale: ritiene che i fatti che provano la colpevolezza degli imputati e il loro legame con l’associazione di tipo mafioso siano già nei fascicoli. Devono solo essere riletti con un’ottica giuridica diversa rispetto a quanto fatto dal tribunale in primo grado, che ha inflitto pene per oltre due secoli e mezzo di carcere a 46 imputati ma non ha visto la mafia.
Tutto deve essere esaminato utilizzando le nuove linee guida indicate dalla Cassazione. La Corte suprema nei mesi scorsi ha annullato alcune sentenze che escludevano il reato di mafia per le nuove forme di criminalità ritenute «a bassa potenzialità intimidatrice». È successo ad esempio a ottobre, quando la Cassazione ha fatto riaprire il processo per mafia al clan Fasciani di Ostia. In quel caso il reato di mafia era stato escluso dalla stessa sezione della Corte d’appello che adesso giudicherà Carminati. A novembre, poi, la Cassazione ha dato ragione al procuratore generale di Venezia, che vuole condannare per mafia un clan moldavo dedito al racket. Gli ermellini hanno pure annullato a giugno le assoluzioni che arrivavano dalla corte d’appello di Torino, riguardo all’accusa di associazione di stampo mafioso contro un clan di romeni, ordinando un nuovo processo.
La Cassazione ha spiegato che per mafia non si devono intendere solo le grandi organizzazioni: ci possono rientrare anche «piccole mafie con un basso numero di appartenenti (bastano tre persone)» capaci di «assoggettare un limitato territorio o un determinato settore di attività avvalendosi del metodo dell’intimidazione da cui derivano assoggettamento e omertà».
L’accusa a Massimo Carminati “er Cecato”, Salvatore Buzzi, Riccardo Brugia e altri 43 imputati sarà sostenuta nell’aula bunker di Rebibbia dai sostituti pg Pietro Catalani e Antonio Sensale e dal pm Luca Tescaroli, applicato al processo perché è uno dei magistrati che lo ha istruito. Il procuratore generale Giovanni Salvi, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, riferendosi alla sentenza del processo a “mafia Capitale” ha detto: «Alcuni hanno gioito alla decisione del tribunale di Roma che ha ritenuto di escludere il carattere mafioso dell’organizzazione “mondo di mezzo”. Dunque a Roma la mafia non esiste! La Capitale deve essere risarcita per il suo nome infangato».
Questo processo d’appello si annuncia carico di elementi e la conclusione non è affatto scontata. Alcuni difensori si dicono sicuri del loro successo finale e fanno sapere che chiederanno ai giudici la riapertura dell’istruttoria, citando nuovi testimoni o riconvocando in aula testi già sentiti dal tribunale. La Corte si è portata avanti con la programmazione delle udienze: se ne terranno due a settimana fino al 28 giugno. Un calendario fitto e preciso. Il presidente Tortora ha anche deciso la partecipazione in videoconferenza di Buzzi, Brugia e Carminati, detenuti da dicembre 2014. “Er cecato” è rinchiuso a Oristano, ma l’istituto è sprovvisto di collegamento per la video conferenza e per questo motivo Carminati dovrebbe spostarsi, nei giorni stabiliti dal calendario di udienza, al carcere di Sassari, da dove potrà partecipare al processo. La strada che collega i due istituti è obbligata e questo non rende sicuri i trasferimenti del detenuto. Il problema è già stato segnalato ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dai responsabili del provveditorato regionale.
Nell’attesa dell’appello, vanno a processo altri 21 persone (è uno stralcio dell’inchiesta su mafia Capitale) e a molti viene contestata l’aggravante mafiosa. Davanti ai giudici si troveranno, con diverse accuse, la compagna di Carminati, Alessia Marini, il direttore del quotidiano “Il Tempo” Gian Marco Chiocci e l’imprenditore Gennaro Mokbel, già coinvolto nella maxi truffa da un miliardo di euro per la quale è già stato condannato a dieci anni e mezzo.
Ma i processi per Carminati non finiscono qui. Il procuratore di Perugia, Luigi De Ficchy, ha firmato nelle scorse settimane un decreto che lo cita a giudizio perché accusato di oltraggio a magistrato in udienza. I fatti si riferiscono a quando il pm Luca Tescaroli chiese per Carminati la condanna a 28 anni di carcere (il tribunale ne ha poi inflitti 20) e l’imputato dopo aver esultato, alzando le braccia in segno di vittoria, mandò a quel paese il pm. Una frase registrata e trasmessa alla procura di Perugia che per competenza si occupa dei procedimenti in cui ci sono magistrati in servizio a Roma. Contro il pm Luca Tescaroli si è scagliato a dicembre 2014, dopo gli arresti dei carabinieri del Ros, anche il giornalista Giuliano Ferrara, che durante una trasmissione televisiva ha offeso il magistrato titolare dell’inchiesta. Per questo motivo anche Ferrara ora è sotto processo a Perugia, per diffamazione.
E così tra paure, processi e offese si discute ancora se questa è mafia.