Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali

Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato?  E chi ha concesso e protocollato i documenti?

La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire, è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.
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Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull'incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.