Ci sono migliaia di richiedenti asilo che lavorano, fanno volontariato, riparano strade, restaurano scuole, aiutano disabili e malati. Ma con le nuove leggi a regime le commissioni hanno cominciato a respingere la quasi totalità delle domande di accoglienza

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Il giovane Yoro non stacca gli occhi dal pezzo di ferro che sta trasformando nel braccio di una panchina rossa. Al suo fianco c’è Bruno, un artigiano in pensione, che ha scelto di tramandare 65 anni e passa di esperienza da fabbro a chi scappa da guerre, fame e persecuzioni. «I ragazzi italiani certi mestieri non vogliono più farli», riflette Bruno, modenese di 81 anni, che lavora da quando ne aveva 14. Ha iniziato come aiutante, come Yoro nella sua officina. Poi da operaio si è messo in proprio conquistando commesse da grosse multinazionali della meccanica. Osservarli impegnati fianco a fianco ricordano una strofa di “Un vecchio e un bambino” della canzone di Francesco Guccini: «Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste». E Yoro, che ormai non è più un bambino, ma un ragazzone, porta sul volto i segni del passaggio in Libia. Per Yoro il laboratorio di Bruno Ferrari rappresenta l’occasione della vita, la libertà dal bisogno, dalla miseria, dalla quale è fuggito ormai tre anni fa attraversando il deserto. Dal Senegal, a 19 anni, ha raggiunto la Libia dove è stato prigioniero in uno dei tanti lager. Oggi assembla panchine che verranno istallate nei parchi di Castelfranco Emilia, provincia di Modena, per ricordare le donne vittime di violenza. Quando gli chiediamo di raccontarci delle violenze subite in Libia, i suoi occhi si inumidiscono e abbassa lo sguardo. Capiamo che è inutile insistere. Yoro non ha intenzione di voltarsi indietro, desidera soltanto guardare avanti. E lì a pochi centimetri c’è la fiamma ossidrica con cui saldare il ferro a dargli una speranza concreta di salvarsi dall’abisso della clandestinità. Futuro certo finché non è arrivato Matteo Salvini al Viminale.

I decreti sicurezza voluti dall’ex ministro, condivisi e rivendicati dai 5 Stelle, rischiano di mandare a monte un percorso di integrazione costruito a Modena e Castelfranco. Yoro, infatti, è uno dei quasi 1.500 richiedenti asilo che vivono nella provincia modenese. La metà di loro ha trovato un sistema di accoglienza differente dalla mera carità, dall’elemosina di Stato, i 2,50 euro al giorno che spettano per diritto a ogni ospite di un centro di accoglienza. Qui quasi 700 migranti sono inseriti in percorsi di volontariato sociale, fanno lavori e lavoretti per rendere più vivibili i quartieri, sistemare le scuole, ripristinare luoghi deturpati dal degrado e dall’incuria, si prendono cura della città. Attività durante le quali apprendono un mestiere, accumulano esperienze, che poi spendono per entrare nel mercato del lavoro.

A Modena la collaborazione tra terzo settore, istituzioni e cittadini ha modellato un impianto dedicato all’integrazione dei nuovi arrivati nel tessuto economico, tra i più produttivi d’Italia: dalla ceramica alla meccanica, con indotti annessi, hanno fatto la fortuna di questa terra. «Arrivano decine di richieste dalle aziende del distretto ceramico, in particolare, pronte ad assumere questi ragazzi», ci spiega il sindaco di Modena, Giancarlo Muzzarelli, che aggiunge: «Il nostro obiettivo è l’integrazione, non la distruzione sociale. Che vuol dire offrire opportunità di inserimento nella società. Perché i modenesi, ma vale per tutte le altre città, quando vedono che questi ragazzi lavorano per strada, aiutano la comunità, cambiano atteggiamento. Si demoliscono i muri che spesso, a volte anche inconsapevolmente, costruiamo tra noi e loro». C’è da chiedersi se il modello messo in piedi dal primo cittadino modenese insieme alla associazioni del Terzo settore e della Chiesa verrà compreso dagli emiliani che saranno chiamati al voto alla fine di gennaio 2020. La regione amministrata dal governatore Pd Stefano Bonaccini è nel mirino della Lega, che qui vorrebbe fare il colpaccio, aizzando le folle contro gli invasori e gli architetti della sostituzione etnica .

E in questo i decreti sicurezza voluti dall’ex ministro rischiano di agevolare la propaganda leghista: le nuove norme hanno ristretto la platea di stranieri che possono ottenere lo status di rifugiato, eliminando, per esempio, il permesso per motivi umanitari. Perciò moltissimi richiedenti asilo che ricevono il diniego dalle commissioni territoriali entrano direttamente in clandestinità, che ha come primo corollario l’impossibilità di ottenere contratto regolare. Quale imprenditore o agenzia interinale si assume il rischio di assumere stranieri senza documenti, i “sans papiers”? Più che decreti sicurezza, dunque, si tratta di decreti “insicurezza”, che trasformano il Paese in una fabbrica di clandestini. «Il sospetto è che giovi agli interessi di molti», dice don Giuliano Stenico, fondatore del Ceis (Centro di solidarietà) di Modena, «Con Salvini al Viminale abbiamo raggiunto un numero impressionante di risposte negative delle commissione che valutano la richiesta di asilo: 97 per cento».

A Modena sono attivi cinque Cas - centri di accoglienza straordinaria - e uno progetto Sprar, i simboli dell’accoglienza diffusa in stile Riace di Mimmo Lucano, contrapposti al modello dei Cara spesso al centro di scandali e mazzette. Per comprendere gli effetti dei decreti Salvini sul sistema di integrazione messo in moto nel Modenese affidiamoci ai numeri: dopo il 5 ottobre, con le nuove norme a regime, su un campione di 309 richiedenti asilo presenti in due strutture, 235 hanno ricevuto risposta negativa dalla commissione e 54 sono ancora in attesa di risposta, che in media arriva dopo 20 mesi, cioè un anno e mezzo di limbo e nella maggioranza dei casi sarà negativa. Solo in 17 hanno ricevuto la protezione.

Tra questi c’è Federick Alexander Owona. Lo incontriamo sulla pista ciclabile che collega Modena a Vignola, sulla strada Gherbella, nel cuore della pianura modenese. Sta lavorando insieme ai volontari del gruppo verde della zona fondato dai pensionati del quartiere. Sistemano le staccionate, strappano le erbacce e puliscono la pista dalle foglie che con la pioggia rischiano di trasformarsi in un pericoloso scivolo per le bici. «Realizziamo manutenzioni utili alla collettività», spiega Franco, pensionato a capo del gruppo di volontari, mentre indica i migranti con la pettorina gialla dei volontari. «Gli anziani insegnano, i ragazzi apprendono», aggiunge. Dopo una breve pausa ci racconta i progetti futuri: «A breve inizieremo i lavori di sistemazione del cortile di un asilo nido, dove sono state trovare persino siringhe. In passato abbiamo, invece, riparato buche nelle quali erano cadute persone anziane. Non si tratta di lavoro e basta, c’è anche molta educazione civica» Federick ha un leone tatuato sull’avambraccio, il simbolo della sua terra d’origine: il Camerun, da dove è fuggito. Ha 38 anni, viveva nella capitale Yaoundé. È scappato per evitare il carcere, lì è reato amare persone dello stesso sesso. A Modena è arrivato due anni fa. È sbarcato ad Augusta, dopo due giorni di traversata. Salvato dalla guardia costiera italiana, quando salvare vite nel Mediterraneo non configurava il reato d’umanità. «È da folli ritenere la Libia un porto sicuro», racconta Owona. In Libia ha vissuto in un “mezdra”, un magazzino che i trafficanti usano per stipare merce umana in attesa della traversata. Gli chiediamo delle torture subite. Con gli occhi lucidi esclama solo due parole: «Troppo orrore». Preferisce parlare dell’oggi e del domani. «Mi trovo benissimo a Modena, lavoro con i volontari, imparano un mestiere e così aiuto anche chi mi ha accolto. C’è sempre una seconda possibilità».

Il Comune di Modena, che ha un assessorato all’integrazione, ha inventato il passaporto di cittadinanza attiva. È un libricino blu, con il quale il richiedente asilo si fa certificare le attività che svolge. Volontariato, ma anche corsi di italiano, lavori e altre attività, pure sportive. Una sorta di curriculum certificato. Un documento, seppure non obbligatorio, che si è rivelato utile in sede di valutazione della domanda di asilo politico. Almeno prima dell’arrivo di Salvini al Viminale. La rigidità è diventata tale da rendere pressoché inutile la presentazione del passaporto.
Chi rischia di essere risucchiato nella clandestinità sono i richiedenti asilo che ogni giorno salgono sulle ambulanze della Croce blu per prestare assistenza agli anziani e ai disabili. Si tratta di un progetto nato un anno fa. Su proposta del centro per stranieri del Comune, coordinato da Yuri Costi. I migranti «seguono il corso obbligatorio e se lo superano entrano nella squadra», ci spiega Francesca Romagnoli, coordinatrice dell’organizzazione. «All’inizio molti erano scettici, preoccupati. Pensi allo sforzo nel comprendersi l’uno con l’altro, c’è chi parlava solo dialetto modenese e chi solo inglese. I timori iniziali sono svaniti, si è creato un team affiatato. Oggi abbiamo equipaggi misti che fanno assistenza. Modenesi insieme ai ragazzi africani», prosegue. E gli utenti? Che dicono? «Non hanno mai sollevato critiche né obiezioni». Cinque volontari hanno, inoltre, avuto l’opportunità di partecipare al bando per servizio civile della Croce blu. Derrick è uno di loro. Tuttavia la commissione ha respinto la sua richiesta di protezione: se dovesse andare male il ricorso entrerebbe nella clandestinità. Spinto nel sommerso da quello stesso Stato che lo ha ritenuto idoneo per il servizio civile. Lo stesso vale per Kalifa, con cui riusciamo a scambiarci a stento un saluto. Inizia il turno e non può fare aspettare il suo partner di pattuglia, un signore modenese sulla sessantina. C’è anche Mercy, nigeriana di 28 anni, che a fine ottobre rischia di diventare un’irregolare.

L’esperienza nel volontariato ha aperto varchi nel mercato del lavoro. «In 45 sono stati assunti in vari settori», spiega Yuri Costi, «e abbiamo iniziato a collaborare con alcune agenzie interinali. Sta portando buoni frutti: otto ragazzi sono stati inseriti in aziende locali. Anche questo processo, però, rischia di fallire per chi ha avuto il diniego delle commissioni, a breve diventeranno irregolari e nessuno potrà assumerli».

La strada è in salita anche per Draken e Diamond. Il primo è un ventunenne del Ghana, il secondo è nigeriano e ha 24 anni. Diamond ha ricevuto la brutta notizia dalla commissione poche ore prima che lo incontrassimo. Con Draken hanno molte cose in comune. Giocano nella stessa squadra di calcio e hanno totalizzato il record di ore di volontariato, più di mille ore. Draken nel frattempo è riuscito a trovarsi un lavoretto col contratto. Fino a novembre sta smontando le tensostrutture della festa dell’Unità di Modena.«Noi siamo la testa della festa», ride Draken, che vuole fare sfoggio del suo dialetto modenese e perciò aggiunge: «oggi non piov mènga». In Libia è stato in carcere, «chi non paga il pizzo ai posti di blocco della polizia corrotta viene rinchiuso».

Lui ha sempre risposto alla chiamate di Boze Klapez, dirigente del Ceis in pensione che adesso dedica il suo tempo ai migranti dopo aver lavorato una vita nel contrasto alle tossicodipendenze. Draken con altri ospiti dei centri hanno seguito Boze nell’impresa di ritinteggiare lo stadio Braglia della città. E hanno risposto presente quando si è presentata l’occasione di rimettere in sesto una decina di scuole, elementari, medie e superiori. «Ecco, qui sulla sinistra», Boze ci indica l’istituto Paoli su viale Reiter, «questo è il primo istituto in cui abbiamo lavorato con i ragazzi, è stata dura ma hanno imparato molto e da allora sanno usare il rullo e il pennello». Un mestiere, come un altro, che per Draken, Yoro, Diamond, Federick e tutti gli altri non ha il sapore della fatica, ma dell’emancipazione. Nonostante le leggi. Nonostante il Capitano della paura.