
Da Michail Bakunin ad Antonio Gramsci, da papa Francesco al patriarca degli ortodossi, il profeta del trasversalismo vive della sua abilità di conferenziere in ottimo italiano e della cambiale, non si sa se scaduta e da quanto, di una sua prossimità con lo zar di tutte le Russie, Vladimir Putin.
La situazione è grave, forse gravissima, ma non seria. Il riferimento a Ennio Flaiano è scontato ma si rende necessario di fronte al tour picaresco dell’intellettuale russo che a fine primavera ha tenuto nove conferenze in tutta Italia. A dimostrare che il presunto trasversalismo è molto più bruno che rosso, in Lombardia lo hanno accolto l’amico Gianluca Savoini, presidente di Lombardia-Russia indagato per la trattativa sul petrolio al Metropol (ottobre 2018), insieme ai quadri giovanili della Lega, Davide Quadri e Alessandro Viviani.
Hanno partecipato agli incontri anche Rainaldo Graziani, figlio di Clemente, il neofascista fondatore del Movimento politico Ordine Nuovo, Maurizio Murelli, condannato per l’omicidio del poliziotto Antonio Marino a Milano il 12 aprile 1973 e oggi riabilitato come fondatore di Aga editrice, Andrea Scarabelli della Fondazione Julius Evola e Adolfo Durazzini di REuropa.
Non tutto è andato per il verso giusto nell’ultimo roadshow di Dugin. È noto che il suo incontro romano, annunciato nella redazione di AdnKronos per il 14 giugno con la partecipazione di Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2 e Giampaolo Rossi, consigliere di amministrazione della Rai, non si è tenuto dov’era stato programmato e non ha visto la presenza né di Sangiuliano né di Rossi.
Non è stato questo l’unico incidente di percorso. Per quanto attiri folle piuttosto sparute, Dugin incontra ancora resistenze in chi vede in lui un paravento di squadristi e razzisti. Lo ha confessato lui stesso con una punta di civetteria: «Dopo la mia polemica con Francis Fukuyama e Zbigniew Brzezinski (scomparso due anni fa) sono stato definito il filosofo più pericoloso del mondo».
Lo ha detto l’11 giugno a Gioia Tauro, una zona dove i soggetti pericolosi, anche al di fuori della filosofia, non scarseggiano.
Fuga a Gioia Tauro
È possibile che Dugin non abbia un’idea precisa di chi lo accompagna. Ma contro il beneficio del dubbio, paradossalmente, giocano la sua cultura e la sua intelligenza. Se nel sito geopolitika.ru (sottotitolo: Delenda Carthago) e nel profilo personale su vk.com, il facebook russo che ospita i fascisti italiani transfughi dal bando di Mark Zuckerberg, Dugin si professa antirazzista e non fascista, la sua conoscenza dell’italiano gli dovrebbe mostrare che qualcosa di bizzarro accade attorno a lui.La conferenza dell’11 giugno a Messina, per esempio, era stata organizzata da alcune associazioni locali (gli universitari di Morgana, Vento dello Stretto, Città plurale) che hanno in comune la militanza sovranista e ottimi rapporti con l’area tra Fratelli d’Italia e l’ultradestra.
Quando l’ateneo messinese ha negato l’ospitalità, anche per le proteste delle associazioni di partigiani, si è pensato di tenere l’incontro sulla sponda continentale, a Reggio, nella sala del consiglio regionale intitolata a Giuditta Levato, martire delle lotte contadine contro i latifondisti nell’immediato dopoguerra .
Anche qui, contrordine. Così Dugin è stato caricato in macchina e portato 50 chilometri a nord, in un locale di Gioia Tauro, la Commanderie. Lì è stato presentato a un pubblico rado come una settimana prima a Benevento, dall’avvocato Francesco Maria Toscano, autore di Dittatura finanziaria, il piano segreto delle élite, un pamphlet rivolto contro la cosiddetta “sinistra sorosiana”.
«Dopo il no dell’università di Messina», ha raccontato Toscano seduto su un prato accanto all’ideologo della quarta teoria politica, «ho contattato Roberto Occhiuto (vicepresidente del gruppo Forza Italia alla Camera) che conosco da tempo e che mi ha indirizzato al deputato Francesco Cannizzaro per ottenere la sala. Poi ho ricevuto una telefonata e la sala non era più disponibile».
La Commanderie di Gioia Tauro è già stata usata per eventi politici locali-globali. A febbraio ha accolto il candidato sindaco Diego Fusaro, giovane filosofo caro a Dugin nato a Torino e tuttavia sostenuto alle urne dalla formazione Risorgimento meridionale. Con lui c’erano il direttore del canale filorusso Pandora Tv Giulietto Chiesa e l’ex ambasciatore Alberto Bradanini, presidente del centro studi sulla Cina contemporanea.

L’avventura di Fusaro alle comunali di Gioia Tauro si è conclusa con un quinto posto su cinque candidati (2,8 per cento pari a 281 voti). Era andata meglio a Toscano qualche anno fa (2015) quando era riuscito a entrare da assessore nella giunta guidata dal sindaco Giuseppe Pedà, durata solo due anni. È stato un curioso esperimento politico perché Pedà e Toscano facevano riferimento, oltre che al centrodestra, al Movimento Roosevelt, aggregazione di massoni dissidenti presieduta da Gioele Magaldi, fuoriuscito dal Grande oriente per fondare la sua obbedienza. Si chiama Grande oriente democratico o God, che in inglese suona autorevole. God accomuna impegno civico e misticismo come nell’evento del 9 novembre scorso “incentrato”, si legge nel sito, «sul tema degli angeli e su alcune previsioni politico-astrologiche riguardanti il governo Conte bis». Previsioni giocoforza infauste visto che il Movimento Roosevelt ha appoggiato “Umbria civica” alle ultime regionali e dunque la vincitrice di centrodestra Donatella Tesei. Fusaro e Toscano, invece, hanno continuato insieme fondando il partito Vox Italia.
All’incontro di giugno a Gioia Tauro con Dugin, c’era anche il proprietario della Commanderie Nunzio Foti, costruttore di 42 anni con base a Roma (Italia costruzioni, Consoter, Magistri) che ha già una lunga esperienza di lavori pubblici in tutta Italia e qualche procedimento giudiziario. All’inizio del 2019, a seguito dell’inchiesta sul fallimento del Jolly hotel a Messina (operazione Default), è stato inibito per un anno dalle attività professionali. A ottobre del 2013 è stato arrestato insieme al padre Rocco per irregolarità nei lavori commissionati dalle Fs a Valenza, in Piemonte.
I fascio-bolscevichi
Se al Sud è stato uno spettacolo per pochi intimi, non è andata molto meglio al nord. Nel varesotto, a Gavirate e Castiglione Olona, Dugin giocava in casa potendo godere della compagnia e dell’introduzione dell’amico Savoini, che lo stesso Limonov, a volte polemico persino con Dugin («le fiabe di Alexander non se le beve più nessuno e Putin non lo ha mai incontrato»), è intervenuto a difendere in un’intervista a Repubblica dichiarando il Russiagate della Lega «un fake di pessima qualità».
Ma è davvero difficile dire fino a che punto Dugin racconti fiabe a una platea marginale e dove scatti l’allarme sociale per una resurrezione di nomi e movimenti legati a un passato luttuoso.
Per esempio, alla serata al Corte dei Brut di Gavirate, in un locale molto amato dall’ultradestra lombarda, era presente anche Daniele Bertello, socio della cooperativa Arnia che gestisce il locale e responsabile di REuropa, come ha riferito La Stampa. In Arnia c’è anche il figlio di Clemente Graziani che, dopo la rinascita di Avanguardia nazionale, ha pensato bene di riproporre il Centro studi Ordine nuovo (Cson), fondato da Pino Rauti negli anni Cinquanta dello scorso secolo e ribattezzato Movimento politico Ordine Nuovo a fine anni Sessanta, quando Rauti rientrò nella legalità del Msi di Giorgio Almirante.
Da questo punto di vista, la scarsità di pubblico presente alla tournée duginiana non è rassicurante in se stessa, soprattutto quando entra in fase con un blocco elettorale in forte espansione com’è quello, a dar retta ai sondaggi, con guida leghista. Alla fine, è l’abc del bolscevismo: un’avanguardia rivoluzionaria alla guida delle masse. In questi termini, la cialtroneria italiana diventa quasi una speranza di salvezza. Dugin deve saperlo. Infatti insiste sui paragoni bakuniniani che vantano «l’orgoglio degli slavi di essere uomini liberi contro tutti gli ostacoli».
God Save the Queen
Nello stesso modo in cui, ancora ai tempi di Umberto Bossi, i padani avevano tentato di sfondare oltre il confine elvetico, senza grande successo, anche Dugin ha avuto diritto alla sua escursione in Canton Ticino il 10 giugno.La puntata di Lugano dedicata al nuovo mondo multipolare (“Quali scenari per la Svizzera?”) si è tenuta nella sala dell’hotel Pestalozzi, a due passi dal casinò. Dugin ha avuto un seguito di pochi intimi ma ha goduto di un accompagnatore di prestigio. Si tratta dello hedge funder-leghista-no euro Alberto Micalizzi, detto il Madoff della Bocconi, arrestato nel 2014 e condannato in primo grado a sei anni a gennaio per una truffa milionaria perpetrata soprattutto ai danni di banche russe.
Quanto meno per la chiusura del tour, il 15 giugno al Castello di Udine, era giusto aspettarsi fuochi d’artificio intellettuali, se non le adunate oceaniche poco adatte alla filosofia.
A nulla sono servite le proteste dell’Anpi e dell’ex sindaco di centrosinistra della città friulana, Furio Honsell. L’assessore alla cultura in carica, Fabrizio Cigolot, ha replicato di non avere ben chiaro chi fosse Dugin e che comunque l’ospite non avrebbe preso un soldo, a parte la copertura delle spese dell’iniziativa, cena ufficiale inclusa, pari a poche migliaia di euro.
Il titolo dell’appuntamento, finanziato dalla giunta di centrodestra del sindaco leghista Pietro Fontanini, recitava “Identitas, uguali ma diversi” e prevedeva la partecipazione, oltre che della star moscovita, del collega filosofo Fusaro, dell’attore Edoardo Sylos Labini, già genero di Paolo Berlusconi, ex responsabile della cultura di Forza Italia e fondatore del movimento sovranista CulturaIdentità, che pubblica un mensile allegato al Giornale. Ma la spalla che minacciava di oscurare il protagonismo di Dugin era né più né meno che Noam Chomsky, padre della linguistica moderna, professor emeritus al Mit di Cambridge, Massachusetts, e figura di punta della sinistra radicale negli Stati Uniti.
L’intellettuale di Philadelphia, 90 anni, avrebbe dato “la sua entusiastica adesione al progetto”, secondo le anticipazioni di CulturaIdentità. È finita come a Roma. Chomsky, che avrebbe promesso di presenziare attraverso un intervento registrato in video, non ha mandato nemmeno un messaggio vocale su WhatsApp. Non per questo si è scoraggiato l’organizzatore dell’evento, Emanuele Franz, che si dichiara editore per i tipi di Audax, scrittore e, inevitabilmente, filosofo contro il sistema. La sua casa editrice organizza un premio di poesia che all’articolo 1 del regolamento impone: «Il requisito fondamentale che deve avere il candidato è che esso (il candidato, ndr) non abbia nessun titolo di studio accademico superiore».
In un’intervista dell’anno scorso Franz ha rivelato che il premio Audax gli ha procurato gli auguri della regina Elisabetta, che Chomsky ha speso belle parole per il suo saggio “Le basi esoteriche della microbiologia”, che il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio ha definito il premio un’idea meritoria e geniale e che infine Matteo Renzi e Matteo Salvini seguono con attenzione le sue attività. «Salvini», ha concluso Franz, «l’ho visto con in mano una copia del mio lavoro “La storia come organismo vivente”. Si può dire che di me ci si accorga più facilmente lontano dalla nostra regione».
Nemo propheta in patria. Può ben dirlo anche Dugin.