Trentamila tesserati, 377 circoli. E tornei da San Pietroburgo a Rio de Janeiro. Il turismo sportivo a cinque stelle tra interminabili partite e nuove amicizie. Un fenomeno in crescita. Ma non per tutti
Al mattino salgono su pullman dotati di ogni confort con l’entusiasmo e la curiosità degli studenti in gita scolastica. Al rientro affollano di voci e allegria le luculliane sale da pranzo del loro hotel a cinque e più stelle e, nell’ora della siesta, si rilassano tra spiaggette private e centri benessere. Dipende dalla stagione e dalla location. Ma poi, alla sera, spariscono tutti all’improvviso e, come in una pièce teatrale, sulla scena resta soltanto una porta chiusa. È là dietro, nel raccoglimento di una dimensione sospesa nel tempo e nello spazio, che si celebra il rito del bridge. E loro, una compagnia di amici dagli “anta” in su, con picchi che sfiorano la venerabile quota cento, sembrano proprio non poterne fare a meno.
Del resto, se sono lì, è soltanto per questo. Rapiti dalla comune passione per le carte, hanno trovato nei viaggi di gruppo, organizzati a qualsiasi latitudine e periodo dell’anno, l’occasione ideale per autentiche full immersion in un gioco che, nel 1993, è entrato a tutti gli effetti nel pantheon delle discipline sportive associate, sotto l’egida di una federazione a sua volta riconosciuta dal Comitato olimpico internazionale.
E allora poco conta l’età anagrafica di fronte all’elasticità di menti allenate all’analisi e alla concentrazione. Il loro pianeta, popolato in Italia da circa 30 mila tesserati Coni distribuiti in 377 circoli, è distante anni luce dalle derive del gioco d’azzardo. E cioè dalla cattiva abitudine a cui molti anziani si aggrappano, illudendosi di non soccombere così alla solitudine e alla noia e finendo invece per dissipare tempo e denaro di fronte ad alienanti file di slot machine al bar e nei casinò. Gli uni specialisti nell’atrofizzare la mente con il dito indice pigiato su bottoni di plastica colorati, gli altri campioni di slalom nel gigante della senilità di ciceroniana memoria. E così, seduti in coppia ai tavoli verdi apparecchiati al di là di quella porta, dimentichi e indifferenti a qualsiasi altra distrazione, i vacanzieri del bridge hanno trovato l’elisir di giovinezza.
Difficile non notarli, nelle periodiche trasferte da una parte all’altra del mondo: da San Pietroburgo a Rio de Janeiro e da Lisbona a Portorose, il loro è un turismo che si alimenta di sport e cultura. «Hanno in media tra i 65 e i 70 anni, ma non mancano gli ultranovantenni e c’è chi arriva anche in sedia a rotelle», racconta Giuseppe Carraro, che insieme alla compagna Anna Severini, che è pure arbitro, dai rispettivi circoli di Udine e Trieste, attraverso l’associazione sportiva dilettantistica “Compagnia del bridge”, si dilettano a organizzare viaggi per soci iscritti un po’ dappertutto, in Italia e all’estero. Gente senza problemi economici, evidentemente, come Adriana Fedeli, che pur di non mancare, ora che l’età comincia a farsi sentire, da Monza parte in compagnia della badante peruviana. «Ho 93 anni e gioco dal 1965 », racconta, «il bridge è ginnastica mentale e praticarlo mi diverte».
Una fedeltà alle carte, la sua, che ha finito per tradursi anche in un atto d’amore verso gli amici del bridge. «Ho deciso di inserire nel mio lascito testamentario anche l’associazione con cui da tanto tempo trascorro le vacanze. Mi piacerebbe che si ricordassero di me», spiega, «anche quando non ci sarò più».
Intanto, sul calendario a essere evidenziate sono ben altre date. «Scusi, ma lei sa forse se ci sono già nuove partenze in programma?», ci chiede Germana Fiorio, da Milano, appena ci presentiamo per chiederle della sua passione per il bridge. Lei di anni ne ha 96 anni, ma cervello e tempre sono quelli di una ragazzina. Non è un caso se, durante i viaggi organizzati da Giuseppe e Anna, sono i suoi racconti a tenere banco per ore. «Purtroppo, ora mi muovo di meno. Ma fino a quattro anni fa viaggiavo moltissimo», conferma, ricordando le sue recenti avventure in motoslitta in Alaska, insieme al figlio, e l’escursione tra i gorilla in Kenya.
Statistiche alla mano, a scegliere questo genere di “pacchetto” vacanze sono per il 60 per cento le donne single, in buona parte vedove, e per il restante 40 per cento coppie, per lo più già sposate. A meno che l’amore non sbocci direttamente in viaggio. È successo a Fabiana Lattanzi e Paolo Rosti quasi un lustro fa, durante la crociera attraverso le capitali del Nord. «Io aveva poco meno di 60 anni e arrivavo da Udine e lui pochi più di me ed era di Sanremo. Siamo finiti allo stesso tavolo, ci siamo trovati bene come partner nel gioco e, poi, abbiamo scoperto lo stesso feeling anche nella vita. E ora viviamo insieme a Malta», racconta con gioia Fabiana.
A casa loro, sull’isola, i circoli sono tanti. «Certo, le spese sono ingenti e infatti molti preferiscono rivolgersi a Internet, che ti permette comunque di giocare con tutto il mondo. Ma così si perdono il piacere della ritualità, a cominciare dalla rotazione da un tavolo all’altro, e l’occasione per socializzare», osserva Fabiana, ricordando anche quanto poco conosciuto sia il bridge. «Negli ultimi tempi, è stato superato dal burraco, che però è molto più facile: si impara in quattro e quattr’otto e lo puoi giocare anche mettendo su la lavastoviglie», scherza. «Io, che ho lavorato per 42 anni in banca, ho iniziato tardi, ma con determinazione: ogni volta in cui avevo un momento libero, prendevo una dispensa e mi mettevo a studiare. Dicono che raggiungere un buon livello di gioco sia equiparato al conseguimento di una laurea. A differenza dei giochi che si possono scaricare anche sul telefonino e che a un certo punto riesci a domare», prosegue, «il bridge non ha mai fine e propone sempre nuove sfide. È così stimolante, che con il mio compagno, dovunque andiamo, cerchiamo un posto per giocare: lo abbiamo trovato anche in Thailandia, in una casetta insieme a un gruppo di francesi e inglesi».
Memoria, logica, strategia, sacrificio. Per iniziare a giocare servono almeno un paio d’anni di preparazione. Chi partecipa ai viaggi “a tema” di esperienza ne ha parecchia. Né potrebbe essere altrimenti, visto che dietro la famosa porta del bridge, mentre gli altri vacanzieri tutt’attorno fanno festa, al mare o in montagna, si consumano vere e proprie maratone agonistiche: tornei disputati in contemporanea con i circoli del resto d’Italia, validi per aggiungere punti alla classifica nazionale e puntualmente conclusi, dalla mezzanotte in poi, a birra e bollicine.
Maria Luisa Castiglioni, 73 anni, di Novara, è un’insegnante di matematica in pensione. «Non avevo mai giocato a carte in vita mia», spiega, «ma guardandomi in giro e vedendo che gli amici che avevano praticato con passione e successo sport come il tennis, il nuoto e lo sci, arrivati a una certa età non riuscivano più a essere competitivi come prima, ho deciso di provare a dedicarmi a una ginnastica di tipo mentale. E a regalarmi anche un genere di vacanze che, la sera, garantisca uno spazio per il gioco. Purtroppo, nonostante esistano regole e arbitri, capita anche di incontrare persone maleducate e che tradiscono l’aplomb di un gioco tipicamente inglese. Una cosa è certa: qui la fortuna e l’azzardo non c’entrano niente. È tutta una questione di testa e a me, personalmente, aiuta a dimenticare i problemi della quotidianità».
Già, un toccasana per l’anima e un rimedio alla solitudine come pochi, specie in tempi in cui a complicare i rapporti umani è una diffusa divaricazione tra il mondo reale e quello virtuale. «Dopo due o tre settimane insieme, in un clima familiare e stimolante, i soci sembrano come rinati», riferisce Carraro. L’effetto terapeutico si misura anche sulla bilancia: quasi tutti tornano a casa con qualche chilo in più. E questo, con persone di una certa età, spesso tristi e ipocondriache, non è poco. Magari il colesterolo sale un po’, ma il primo a beneficiarne è l’umore». Una filosofia vincente e non necessariamente esclusiva. Perché se è vero che per stare bene è necessario disporre di buone pensioni, con il bridge esistono anche le eccezioni.
«Tanti pensano che sia un gioco d’élite», dice Paola Besozzi, 67 anni, di Varese, habitué insieme al marito Gianfranco Lodigiani, 71, dei viaggi della “Compagnia del bridge”, «ma questo non è affatto vero. In Sardegna, ogni anno viene organizzato un festival del bridge in un paesino della Barbagia: fa parte della loro tradizione e in qualsiasi locale si entri, si incontra gente che gioca a carte». Il problema, semmai, è un altro ed è di natura generazionale. «Decidemmo di iscriverci a un corso per principianti alcuni anni fa, al rientro dalle ferie nelle isole Eolie, dove ci era capitato di giocare a casa di amici», ricorda. «Ora che non lavoriamo più entrambi le nostre vacanze vengono organizzate anche in funzione del bridge: in questi viaggi ci sentiamo coccolati e assecondati nel duplice desiderio di visitare posti nuovi e di incontrare altre persone appassionate di bridge. Eppure, nonostante le carte continuino a esercitare un grande fascino, i giovani latitano».
Nel circolo di Udine, per dire, è proprio Giuseppe, con i suoi 52 anni, a vantare i dati anagrafici più verdi. E l’andamento degli iscritti varia, tendenzialmente verso il basso, soprattutto per motivi di lutto. L’ultima ad andarsene, alcune settimane fa, è stata Carmen: avrebbe compiuto cento anni il 9 di questo mese. Lucida e autonoma, non saltava mai gli appuntamenti pomeridiani e neppure quelli serali al circolo, dove arrivava in autobus, per giocare le sue mani e controllare la classifica.
Ai ragazzi, però, piacciono anche tante altre cose. «Al giorno d’oggi, i giovani sono bersagliati da una marea di stimoli, cose anche poco impegnative», continua Paola. «Io non vivo di pane e bridge, ma questo sport mi completa. Ho smesso di partecipare alle competizioni, quelle che durano fino a due giorni e mezzo, perché ne uscivo stravolta e con qualche chilo in meno. Per sostenerle, servono concentrazione, elasticità mentale e, naturalmente, tanto allenamento». Oltre a una smisurata passione. E allora l’augurio, di fronte a un tale mosaico di esplosioni senili, è che la magia del bridge non finisca per esaurirsi insieme all’estinzione della specie.