Uno dei più apprezzati attori del cinema italiano e sua moglie, Alissa Jung, raccontano il progetto con cui hanno ridato a centinaia di bambini un posto dove studiare. E chiedono il sostegno degli studenti italiani

Luca Marinelli: «Aiutateci ad aiutare Haiti ripartendo dalla scuola»

Tutto è cominciato nel 2008: «Un mio amico medico, che aveva lavorato ad Haiti, mi consigliò di andarci. Mi disse che c’era un’associazione a cui potevo dare una mano con la visibilità che avevo come attrice. Io, però, non ne ero convinta: non volevo limitarmi a metterci la faccia. Così partii per conto mio. E quando tornai a casa, guardando i miei figli e guardando la mia vita, non riuscii a sentirmi a mio agio». Un’epifania: «Al supermercato, quando stavo per comprare del cibo per i gatti, mi bloccai. Con quei soldi una famiglia haitiana avrebbe potuto vivere una settimana intera. È stato a quel punto che ho deciso di fare qualcosa. Ma qualcosa di concreto. Ed è così che è cominciato tutto». Sono anni che Alissa Jung – attrice di Münster, Germania, classe ’81 – dirige Scuole per Haiti, un progetto che si impegna non solo con i ragazzi haitiani ma anche, racconta, con i ragazzi in Europa. «Quello che vogliamo fare è: aiutare ad aiutare», dice, e la voce le si piega sotto il peso di un sorriso.

«Nel 2010, dopo il terremoto, con le nostre scuole distrutte, abbiamo dovuto ricominciare. È stato un periodo davvero difficile, ma allo stesso tempo, per la prima volta, le persone sapevano di che cosa stessimo parlando. Conoscevano Haiti. Erano consapevoli della situazione grave. E in quel momento abbiamo fondato la nostra associazione, Pen Paper Peace. E dopo poco tempo, è arrivato anche Luca». Luca è Luca Marinelli, romano, classe ’84, Coppa Volpi all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per il suo ruolo in “Martin Eden”, tra gli attori più apprezzati del panorama italiano, e marito di Alissa.
Foto di Francesca Errichiello

«Quando ci siamo conosciuti», ricorda, «Alissa mi ha voluto mostrare quello che faceva con l’associazione e mi ha portato ad Haiti. Siamo partiti nel 2012. Credo che fosse maggio. Prima di arrivare ad Haiti, ci siamo fermati in un orfanotrofio della Repubblica Domenicana e lì, ricordo, ho incontrato una signora, un’altra volontaria, che mi ha detto: “preparati”». In che senso? «Ad Haiti c’è una povertà e una miseria che, forse, non hanno eguali. Il primo impatto che ho avuto arrivando in quel paese è stato incredibile. E sì, quella signora aveva ragione: non si è pronti all’inizio».

Il paradosso è che nel 2012, dopo il terremoto e con tutto l’aiuto che era arrivato, la situazione ad Haiti non era molto diversa da quella che c’era nel 2008: era ugualmente difficile. Povertà e miseria, politica corrotta, persone che non avevano assolutamente niente. Ancora oggi, come riporta il resoconto dell’OCHA, l'ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, quasi 3,7 milioni di abitanti (su 11 milioni totali) sono senza cibo. «Ma la gente», continua Luca, «ha uno spirito tutt’altro che povero». Dopo circa un anno da quel viaggio, è entrato in Pen Paper Peace: «L’ho fatto perché conosco Alissa e perché conosco tutti quelli che ci lavorano. Mi sono innamorato dello spirito di quest’associazione. Perché lavorano direttamente con i ragazzi ed è la cosa più importante. E poi funziona: in pochi anni, sono riusciti a costruire due scuole, frequentate da più di 600 ragazzi».

Pen Paper Peace e il progetto Scuole per Haiti sono cresciuti lentamente. Mattone dopo mattone. E il punto di partenza, spiega Alissa, è stata l’istruzione. «Perché è un risveglio per le coscienze. È difficile aiutare gli altri nel modo giusto. Non ha senso andare nel loro paese e imporre il nostro modo di pensare o di fare. Bisogna dare loro la possibilità di scegliere. E noi vogliamo fare proprio questo. Il nome dell’associazione, Pen Paper Peace, è una semplice metafora che però sintetizza un concetto fondamentale: con una penna e un foglio si può creare la pace».

Nel 2016, parlando con sua moglie, Luca ha avuto l’idea di portare Scuole per Haiti in Italia. E pochi giorni fa, insieme ad altri attori e attrici (Valentina Bellé, Silvia D’Amico, Marco D’Amore, Davide Iacopini, Gabriele Mainetti, Vinicio Marchioni, Elena Radonicich, Alba Rohrwacher, Filippo Scicchitano), sono partiti per un tour nelle scuole italiane. «Abbiamo iniziato da Verona e siamo arrivati fino a Caserta. E abbiamo conosciuto centinaia e centinaia di ragazzi e bambini. Dalle elementari al liceo. Sia scuole intere che singole classi. Ed è stato, ci creda, un viaggio molto emozionante».

Durante i loro incontri con i ragazzi, Alissa e Luca non si sono limitati a mostrare video e foto, o a raccontare qual è oggi la situazione di Haiti. Hanno provato a fare qualcosa di più: hanno provato a coinvolgere gli studenti, a spronarli a dire la loro, e soprattutto ad attivarsi concretamente per fare qualcosa. «Io mi sento molto fortunata per quello che ho», dice Alissa. «Perché sto bene. Nella mia vita non ho avuto difficoltà così grandi da non poter pensare agli altri. L’istruzione non è solo quella che si fa nelle scuole; l’istruzione è anche quella che si fa per la propria anima. Si può fare tanto, anche con poco. E non è solo compito dei politici, è anche compito nostro, perché anche noi facciamo parte della politica: se vogliamo, possiamo cambiare il mondo. Ed è quello di cui abbiamo bisogno in questo momento: ora che si stanno diffondendo paura, ignoranza e razzismo. È importante dire la nostra, farci sentire. Come fanno i ragazzi che manifestano per il Pianeta. Siamo tutti cittadini dello stesso mondo».

La cosa fondamentale di questo progetto, dell’attività con i ragazzi, è proprio – insiste Luca – questo concetto di cittadinanza globale. «È l’essenza stessa di Scuole per Haiti. Parliamo di aprire gli occhi. Di sapere che ogni gesto, anche il più piccolo, è un aiuto. Non c’entrano solo i soldi: qui parliamo di ascoltare e vedere l’altro». Ed è quello che, continua Alissa, è successo con i ragazzi che hanno incontrato nelle scuole italiane in queste ultime settimane. «Non importa se sono trenta, se è una sola classe o se sono trecento: ti guardano, ti ascoltano, si interessano, e ti fanno domande. E sono pronti anche a risponderti in prima persona. Quando gli chiedevamo se erano convinti di voler partecipare, rispondevano di sì e andavano anche oltre: facevano le loro proposte. E quando gli chiedevamo perché, ci davano delle risposte stupende».

Una ragazzina, per esempio, ha detto: «Io ora sto bene. Ma se dovessi stare male, ci sarebbe qualcuno pronto ad aiutarmi. Ecco, io voglio aiutare i bambini di Haiti per questo: perché so che loro farebbero lo stesso per me». Oppure un altro bambino, di appena 9 anni, si è alzato in piedi e ha ribadito: «Io ci sono per loro; non si devono preoccupare». Ascoltare questo genere di parole, dice Luca, è un insegnamento prezioso. «Vedi la consapevolezza crescere, e trovi davanti a te delle persone pronte, coraggiose e sincere».

«Quello che vogliamo fare», riprende Alissa, «è piantare dei piccoli semi. Vogliamo provare a coltivare un sentimento di responsabilità. Quando ero piccola lavoravo in una radio e prestavo la mia voce per alcuni reportage sui ragazzi di strada di Bucarest. Rimasi sconvolta, e chiesi alla giornalista che aveva fatto quei reportage se ci fosse qualcosa che potessi fare anche io; lei mi disse: qualunque tipo di aiuto va bene. Mi impegnai tantissimo nella mia scuola per raccogliere fondi. E dopo averlo fatto, mi sentii più forte: perché, nel mio piccolo, avevo fatto la mia parte».
Francesca Errichiello

Il viaggio di Scuole per Haiti in Italia non è ancora finito. «Stiamo aspettando le ultime adesioni al progetto», dice Luca, «e l’anno prossimo, alla fine della competizione, assegneremo due premi. Uno alla scuola, o alla classe, che ha sviluppato i progetti più creativi. L’altro, invece, a chi ha raccolto più fondi. Pen Paper Peace, però, non è solo quest’iniziativa. Noi siamo sempre felici di ricevere aiuti. Tutto può servire: parlare del progetto, partecipare, donare».

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