Sardegna, la protesta del latte e quel sistema disumano per i pastori

Dietro la protesta c’è una questione antica. ?Ma anche un’ingiustizia tipica dei nostri giorni da sanare subito. Ma la politica sarà in grado di dare risposte?

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Nel 1952 fu istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla” per indagare sulle condizioni di vita della popolazione in Italia. La Commissione esaminò «nove aree nelle quali il fenomeno della miseria appariva in forme più penose o caratteristiche», tra cui la Sardegna. I deputati Luigi Polano e Salvatore Mannironi, membri della Commissione, scrissero la relazione sulla Sardegna che metteva in evidenza la condizione di lavoratori sfruttati, ridotti alla fame, ricattati e senza tutele sindacali. Soprattutto le donne, che non partecipavano al sindacato per paura di essere licenziate.

A distanza di 67 anni, l’isola della Sardegna vede i pastori impegnati in una lotta per un prezzo dignitoso del latte ovino. Questi pastori hanno iniziato una vertenza spontanea ma non inattesa per un osservatore attento. In questa filiera, il prezzo del latte viene stabilito dopo la trasformazione e la vendita delle materie derivanti. Vale a dire che il trasformatore, ovvero l’industriale, stabilisce il prezzo del latte pagato al pastore solo una volta determinato il suo profitto, generato dalla vendita. In aggiunta la Grande distribuzione organizzata (Gdo) si garantisce a sua volta il profitto a partire dalla materia trasformata dall’industriale.

È insomma una catena di sfruttamento a cascata dall’alto verso il basso. Tradotto, è il pastore che garantisce il profitto degli industriali e della Gdo. Eppure sono anni che i pastori subiscono questa imposizione. Una vera e propria gabbia dalla quale questi ultimi sono determinati a liberarsi, chiedendo un riconoscimento dignitoso della loro fatica. Dinanzi a questa determinazione, il governo è stato costretto ad affrontare la questione.
Aboubakar Soumahoro

In altri tempi, come negli anni ’50, all’epoca della Commissione Parlamentare d’inchiesta, si sarebbe cercato di andare alle radici di questa lotta per indagare le ragioni del malessere dei pastori e delle loro famiglie. Invece nel corso degli ultimi anni (e non mi riferisco solo a questo governo) conta la politica degli spot e la spettacolarizzazione degli eventi.

In questo contesto, l’onnipresente ministro degli Interni ha radunato delegazioni di pastori, associazioni di categoria e industriali al suo dicastero anziché quelli di competenza, ossia delle politiche agricole o del lavoro. Le discussioni tra industriali e pastori erano incentrate sul prezzo del latte. Gli industriali proponevano 60 centesimi al litro diventato poi 72 centesimi, mentre i pastori dal chiedono di portare il prezzo a un euro passando a 80 centesimi al litro da subito. Tuttavia, se si vuole sviluppare e dare sostanza politica alle rivendicazioni dei pastori, senza ridurle a propaganda elettorale, bisogna dire che va ripensata l’intera filiera a partire dal ruolo della Grande distribuzione organizzata.

Quest’ultima, stabilendo i prezzi dall’alto, schiaccia ugualmente i pastori, i contadini e i lavoratori della filiera agricola, tutti costretti a salari da fame. I prodotti agricoli, che finiscono sui mercati, non risentono del giusto riconoscimento della fatica di uomini e donne che si spaccarno la schiena di giorno per poi dormire in baraccopoli o tendopoli di notte. Paola Clemente, Soumaila Sacko, Becky Moses, Sekine Traore, Ali Dembele, Suruwa Jaiteh, Moussa Bah (la lista sarebbe lunga) sono caduti, pure se in circostanze diverse, in contesto di sottrazione della dignità della persona. La stessa dignità che li lega alla causa dei pastori sardi.

Purtroppo, la politica delle ruspe, della stigmatizzazione dei migranti e della marginalizzazione degli ultimi (anche se italiani) è uno stratagemma finalizzato alla distrazione di massa. Le vere domande alle quali bisogna dare risposte sono: come ci si sta muovendo per garantire l’equità nella filiera agricola? Quali sono le politiche messo in atto per garantire a contadini e produttori la possibilità di vendere a prezzi equi in grado di compensare il proprio lavoro? Come impedire il potere monopolistico dei grandi gruppi sia industriali sia del commercio? Come vigilare sulle condizioni dei lavoratori del settore? Si pone quindi una questione gigantesca di etica su tutta la catena del valore.

Una vera politica è quella capace di fornire risposte in una ottica strutturale. Per questo urge la necessità di un intervento su tutta la linea della filiera a oggi comandata dalla Gdo. La politica dovrebbe garantire ai consumatori prodotti agricoli sani che tengano conto delle condizioni dei lavoratori, dei contadini e dei produttori.

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