Piccoli filamenti neri, potrebbero essere peli di ratto o anche fuliggine, convergono verso un punto a formare uno strano animale nero. Sono milioni di filamenti e presto l’animale diventa enorme. Davanti a lui un ragazzino, Simone, più piccolo della bocca rossa e spaventosa della bestia, sta lì, fermo. Saldo. Attorno a lui gli anziani si accalcano e gli dicono: «Vieni via ragazzo, quella bestia nera, quando si forma, è invincibile. L’unica è far finta di non vederla, è aspettare che passi. Fidati, noi la conosciamo bene».
Il ragazzino, saldo, risponde: «E forse proprio lì sta er guaio, che voi sta bestia la conoscete troppo, mentre noi ragazzi siamo incoscienti e non sappiamo se possiamo batterla, ma almeno je mettemo er dubbio». Attorno a Simone si raccolgono altri ragazzini, più piccoli di lui; il mostro urla e loro anche. Il mostro ruggisce, ma loro sanno ruggire più forte di lui. La bestia nera, davanti ai bambini che non hanno paura, si sgretola.
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Cos’è esattamente che agli adulti va storto quando i ragazzini rompono il muro del silenzio che circonda il loro mondo? Quando ci dimostrano che il nostro mondo è il loro mondo e che noi glielo stiamo rovinando più o meno consapevolmente? Quando riescono, seppur piccolissimi, a indirizzare la comunicazione e a costringere i media a seguirli? Quando ci costringono a smettere di ignorarli? Più o meno questo: la capacità, la disposizione e la genialità di trascurare ciò che non sanno e di utilizzare, invece, fino in fondo ciò che sanno.
Simone, il ragazzino che a Torre Maura ha risposto saldo a CasaPound; Greta Thunberg, l’attivista svedese dello sciopero scolastico per il clima e, prima di loro, Malala Yousafzai, la piccola pakistana che ha subito un attentato e che poi ha vinto il Premio Sacharov per la libertà di pensiero e il Premio Nobel per la Pace, per essersi battuta per il diritto di tutti i bambini all’istruzione.
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Greta Thunberg è poco più che una bambina, una bambina con una grande forza di volontà che affronta il più grande tema che esista in assoluto: gli effetti nefasti e irreversibili del cambiamento climatico. Il tema dei temi, il tema politico per eccellenza, affrontato dal più inerme degli esseri umani. La sproporzione tra l’obiettivo e il punto di partenza è la vera forza di questa storia e dà la cifra dell’autenticità della battaglia.
Ciascuno di noi sarebbe rimasto annichilito dal confronto e dalla consapevolezza dell’impossibilità non solo di incidere, ma addirittura di argomentare. Ne so abbastanza? Sono titolato a parlarne? Cosa mi sfugge? Con chi mi devo confrontare per saperne di più? Come posso fare per coinvolgere le persone? Quali strategie comunicative devo utilizzare? Poi arriva Greta che si mette a scioperare per fermare l’avvelenamento del mondo e la sproporzione è epica: Davide contro Golia.
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Ecco perché, paradossalmente, a parte i poveri di spirito che, mancando di genuinità, non riescono a vederne in nessuno, in Greta non si sono identificate solo le nuove generazioni, ma ci siamo identificati tutti. Ci siamo identificati nel sogno di cambiare il mondo, nell’impossibilità della sua realizzazione e nell’incoscienza di volerci comunque provare.
La battaglia sul clima non è una battaglia che si fa sul presente, perché ancora respiriamo, ancora beviamo acqua, ancora ci bagniamo nel mare, ancora godiamo del verde. La battaglia sul clima è per garantire al pianeta un futuro, ecco perché proprio Greta, una bambina, è l’unico simbolo possibile per questa battaglia. Come il Simone di Makkox che sconfigge la bestia nera senza farsi troppe domande, perché «i ragazzini non conoscono la storia, la fanno».