Ogni settimana sull'Espresso una parola commentata da una firma
di Franco Arminio
4 aprile 2019
L’Aquila non deve morire mano a mano che viene ricostruita.
Sigillare le ferite non vuol dire togliere l’aria dall’aria, l’anima dall’anima.
Andate a L’Aquila ora che è ancora viva, cercatela prima che la polvere diventi tappeto per passi inerti, ?plastica da sedile.
Dieci anni di ricostruzione senza l’aiuto delle nuvole, ?senza l’alito dei poeti.
Per puntellare un luogo ci vuole il muso delle vacche, ci vogliono le zampe poderose degli insetti e poi la forza sacra delle pietre, la bella faccia delle ragazze italiane.
Una città nel cuore dell’Appenino non poteva essere la palestra per mostrare i muscoli di un furbastro, non può essere un incrocio di case e affari, ma un vasto convento in mezzo alle montagne, un luogo dove qualche fede si può ancora praticare.
Una città non è un catalogo di materiali edili, L’Aquila viene dalla forza dei pastori dall’oro degli ovili.
Salviamola da ogni somiglianza, salviamola da questa Italia brutale e annerita.