Storie di persone schiavizzate nelle campagne, pestate da un sistema che avanza come uno schiacciasassi sulle vite umane. Mentre un ministro, Di Maio, sembra pensare a tutt’altro

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Le incertezze e le insicurezze del nostro tempo sottolineano solo quanto sia fondamentale il raggiungimento della giustizia sociale per la stabilità e la pace e come l’accesso al lavoro dignitoso sia vitale per il progresso del benessere umano». Il Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), Guy Ryder, ha usato queste parole a Ginevra, in occasione del Centenario dell’organizzazione nata nel 1919 dal trattato di Versailles, per esortare la platea di circa 600 delegati, membri dei governi, lavoratori e datori di lavoro provenienti dai 187 paesi membri dell’Ilo.

Pur raccontando le sfide ed i cambiamenti profondi avvenuti negli ultimi 100 anni, le parole del Direttore Generale dell’Ilo, che ha come missione quello di stabilire standard internazionali e di sviluppare politiche e programmi per promuovere il lavoro dignitoso per tutti gli uomini e le donne nel mondo, sembrano scontrarsi con la cruda realtà materiale che vede i lavoratori ridotti a merci negli odierni processi di accumulazione disumanizzanti. Questa triste realtà, che ci viene quotidianamente restituita dai racconti dei lavoratori indipendentemente dalla loro provenienza geografica e dal loro colore della pelle, testimonia la funzione di rullo compressore che esercita l’attuale sistema economico che schiaccia indistintamente uomini e donne ai quattro angoli della terra.

Per questa ragione, parlare delle vecchie e delle nuove forme di sfruttamento in ambito lavorativo non può prescindere dalla narrazione delle storie e delle testimonianze di lavoratori e lavoratrici umiliati, atomizzati e resi vulnerabili dall’attuale modello di produzione che porta con sé drammi e miseria.

La lettera
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A tale riguardo, le immagini della gamba spezzata e il grido di dolore di Mansùr Cankaya, operaio di 56 anni impegnato nella movimentazione di merci che finiscono nei reparti dei supermercati Iper nella filiera della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo), raccontano la lotta per il lavoro nel settore della logistica. Mansùr Cankaya è stato ferito mentre chiedeva, assieme ai suoi compagni, il rispetto dell’accordo firmato il 30 maggio 2019 in Prefettura tra la Iper e le organizzazioni sindacali (Usb, Si Cobas e Cgil) in cui si conveniva di «intraprendere un percorso atto a salvaguardare tutti i livelli occupazionali esistenti presso il deposito di Soresina, contemperando le reciproche esigenze delle parti». Con il venire meno di queste garanzie, i lavoratori e le loro famiglie sono stati costretti a manifestare davanti al magazzino situato nel polo logistico di Soresina al fine di rivendicare il rispetto dell’accordo sottoscritto anche da Alessandro Marangoni, attuale Direttore Sicurezza di Iper nonché ex prefetto ed ex Questore di Milano, che dovrebbe scongiurare il licenziamento di 170 lavoratori. Purtroppo, le cariche ai danni dei lavoratori che manifestavano sembrano trasformare una questione sociale in una vicenda d’ordine pubblico.

La geografia dei nuovi lavori, detti lavoretti, nell’era dell’economia digitale è anche essa permeata di episodi drammatici di sfruttamento disumanizzante proprio come il settore della logistica. La storia di Mario Marino Ferrara, rider di 51 anni impiegato alle Poste di giorno ed impegnato come scooter fattorino nei fine settimana per arrotondare lo stipendio e investito a Bologna da una volante della Polizia mentre effettuava delle consegne per conto di una pizzeria del quartiere di San Donato, narra l’ennesima morte in un settore lavorativo deregolamentato e dove non esiste tutela dei lavoratori e delle lavoratrici, nessuna copertura assicurativa previdenziale e infortunistica.

I braccianti delle nostre campagne vivono le medesime condizioni di sfruttamento dei riders e dei lavoratori della logistica. Ali (nome di fantasia per ragioni di tutela), un bracciante agricolo delle campagne del cuneese a Saluzzo, è impiegato nella raccolta della frutta che genera miliardi di profitti senza avere la possibilità di fare fronte ai propri bisogni vitali. Ali, come i suoi molteplici compagni, è costretto a dormire per strada al Foro Boario di Saluzzo in condizioni degradanti e disumane. Ali lavora molte ore al giorno ricevendo una paga oraria misera pari a circa 4/5 euro mentre il contratto ne prevede quasi il doppio. Ad Ali e ai suoi colleghi italiani, sempre più confrontati con l’impossibilità di far fronte ai bisogni delle proprie famiglie, non vengono conteggiate le giornate di lavoro effettivamente svolte in modo da non raggiungere il requisito delle 102 giornate di lavoro necessarie per la prestazione di disoccupazione agricola.

La grande crisi
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Per dare sostegno ad Ali e agli altri lavoratori e lavoratrici della terra, è stato lanciato “il Camper dei diritti” dedicato a tutti i lavoratori. Il Camper dei diritti è uno strumento di sindacalizzazione itinerante ideato da Usb Lavoro agricolo per una maggiore tutela di questi lavoratori che fanno brillare “il Made in Italy” mentre loro continuano a vivere nell’invisibilità. La credibilità dell’agire sindacale non può prescindere dalla presenza fisica nei luoghi delle contraddizioni per una riconquista di diritti e dignità perduti.

Spostandosi dalle campagne del cuneese a quelle del foggiano, ritroviamo le medesime condizioni di vulnerabilità e di precarietà abitativa e lavorativa. A tale proposito, gli stessi braccianti hanno manifestato lo scorso 6 giugno per le strade di Foggia chiedendo alla Regione Puglia l’avvio di un percorso d’inserimento abitativo in prossimità dei luoghi di lavoro al fine di non cadere nelle mani di caporali. Una richiesta frutto di un processo collettivo di presa di coscienza del mancato rispetto di diritti.

La storia di Ali, bracciante agricolo in Piemonte, e quelle dei suoi colleghi della Puglia hanno in comune lo sfruttamento, la miseria e l’assenza di volontà politica. Per fronteggiare questa sfida, è stato istituito un Tavolo Inter istituzionale il 3 settembre 2018 a Foggia proprio all’indomani della morte di 16 braccianti. Tuttavia il Tavolo è stato spostato presso la Direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro. Una scelta che sembra escludere e dividere i braccianti in base alla provenienza geografica. Così facendo le vicende come quelle di Paola Clemente non troveranno un collegamento con quelle di Soumaila Sacko e di molti altri lavoratori tutti impegnati nella stessa filiera agricola indipendentemente dal colore della pelle. Una forma di deriva “razzializzante” che confina e classifica le persone in base a criteri non rispondenti a quanto stabilito dall’articolo 3 della nostra Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Lo strapotere della Gdo insieme alla gestione discutibile dei contributi della Pac (Politica agricola comune) sono tra le variabili che continuano ad impoverire i lavoratori della terra, siano braccianti, contadini o produttori. Il superamento delle varie forme di ghettizzazione può partire proprio dai vari processi di lotta con il protagonismo di lavoratori e lavoratrici costruendo in modo genuino e creativo e allargando l’orizzonte dalle campagne alle metropoli. Una unione dei lavoratori che può alimentare la costruzione di un’alleanza tra produttori, lavoratori e consumatori per un’agricoltura capace di generare umanità e non solo profitti per pochi senza redistribuzione.
Queste storie di lavoratori raccontano una realtà drammatica del lavoro immiserito dove nuove terminologie vengono coniate in riferimento a vecchie e a nuove forme di sfruttamento.

Tuttavia, queste realtà narrate sembrano distanti e lontane dal discorso pronunciato a Ginevra dal Direttore Generale dell’Ilo, Guy Ryder. Probabilmente bisognerebbe coniugare le teorie dei massimi sistemi sul lavoro, predicate con sorprendente maestria, con la prassi del mondo reale, che ci consegna delle contraddizioni che farebbero gridare le pietre, se si desidera rendere giustizia a questi lavoratori spogliati dalla loro dignità umana. Dinanzi a questa crescente e continua ingiustizia la nostra umanità individuale e collettiva dovrebbe rivoltarsi dicendo di no a questa condizione di schiavitù moderna disumanizzante.

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