Stragi e morti non bastano: i braccianti restano schiavi come un secolo fa
A un anno dall'incidente costano la vita a tre lavoratori immigrati nelle campagne del Foggiano nulla è cambiato al Sud. Ma nemmeno rispetto al 1906
di Aboubakar Soumahoro
8 agosto 2019
ESPRESSOMUNAFO-20190801122016763-jpgEra il 4 agosto del 2018 quando Aladjie Ceesay, Ali Dembele, MoussaKandee Amadou Balde persero la vita in un incidente sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri in provincia di Foggia.
Il sangue rosso di questi giovani braccianti cosparso sull’asfalto si era mischiato con il liquido rosso dei pomodori sparso sul bitume della provinciale 105. Nel pomeriggio del 6 agosto 2018, a distanza di 48 ore di questa tragedia, Ebere Ujunwa, Baofudi Cammara, Alagie Ceesay, Alasanna Darboe, Eric Kwarteng, Romanus Mbeke, Djoumana Djire, Hassan Goultaine, Anane Kwase, Moussa Toure, Lahcen Haddouch e Joseph Avuku persero la vita in un altro incidente sulla statale 16 nei presi di Lesina, sempre nel Foggiano. Fu un’estate drammatico che segnò, in soli due giorni, la morte di sedici lavoratori della filiera agricola.
Purtroppo la classe politica, tranne poche eccezioni, reagì a quell’agosto funestato dalla morte con dichiarazioni fugaci di circostanza che si esaurirono nel breve istante emotivo impotentemente succube della dittatura del presentismo sempre più incapace di essere empatica.
Oggi le condizioni dei lavoratori della terra continuano a richiamare per certi aspetti quelle dei braccianti di ieri, specialmente per quanto concerne la miseria e l’abbrutimento lavorativo e sociale. A questo riguardo, un’inchiesta parlamentare del 1906 asseriva che «nel Sud d’Italia le condizioni di vita dei lavoratori della terra sono disperate, segnate dalla grande miseria e dallo sfruttamento disumano che i grandi proprietari terrieri impongono alla manodopera, attraverso tariffe irrisorie, orari estenuanti e diritti negati. Inoltre l’andamento ciclico dell’economia agraria, legato alle condizioni climatiche e all’esito dei raccolti, si abbatte come una scure sui piccoli coltivatori e sugli affittuari, sui salariati fissi e, in modo ancora più drammatico, sui braccianti a giornata, i quali ogni mattina, all’alba, nelle piazze dei principali paesi, conoscono il loro destino di lavoratori o disoccupati».
A distanza di circa un secolo da quest’inchiesta parlamentare, le condizioni disumane subite dai lavoratori della filiera agricola non sono mutate. L’unico cambiamento avvenuto nel corso degli anni ha riguardato la composizione della classe lavoratrice, diventata nel frattempo eterogenea dal punto di vista della provenienza geografica-culturale e della pluralità linguistica. Per sfidare questa disumanità è necessario avere lo stesso zelo e la medesima tenacia di Giuseppe Di Vittorio, resistendo nel contempo alla tentazione che tende da un lato a semplificare una questione complessa etnicizzandola, al fine di celare l’assenza di un reale piano per la tutela dei lavoratori, e d’altro lato a distrarre l’opinione pubblica, con lo scopo di impedirla a risalire alla catena di produzione e di comando della filiera agricola che continua a generare miliardi di profitti mentre si affamano lavoratori e contadini.
La sindacalizzazione di questi braccianti è sicuramente uno strumento indispensabile al fine di cambiare e migliorarele condizioni salariali, di previdenza e di sicurezza sul lavoro dei medesimi lavoratori. Tuttavia, l’agire sindacale deve essere associato ad altri strumenti al fine di garantire un profondo e permanente sradicamento della disumanità che alberga in alcuni processi produttivi della filiera agricola. A questo riguardo, la sindacalizzazione dei lavoratori dovrebbe essere accompagnata anche da un consumo critico e consapevole, che permetterebbe di costruire una salda alleanza tra i consumatori, i lavoratori e i contadini/produttori, se si desidera assicurare giustizia sociale in un settore che continua a essere nevralgico per l’economia del nostro paese.
Tuttavia, l’efficacia dello strumento del consumo critico e consapevole rischia di essere minata dalla dimensione esclusiva che caratterizza ormai i prodotti biologici. Questa sembra essere un’altra ingiustizia che serpeggia nella filiera agricola e che colpisce principalmente i consumatori. Purtroppo il potere politico, succube del potere economico, sembra aver abdicato al proprio ruolo di tutelare i lavoratori e i consumatori del settore agroalimentare dai giganti della Grande Distribuzione Organizzata.
A mio avviso, sarebbe importante che lo stato garantisse l’eticità lungo la catena di produzione e di comando della filiera agricola. Questo sarebbe probabilmente il miglior modo per onorare il ricordo di Paola Clemente e di tutti i lavoratori braccianti morti mentre andavano a raccogliere i prodotti alimentari che finiscono sulle nostre tavole.