La scelta del part-time è spesso obbligata. Ma le conseguenze economiche per la pensione sono pesantissime. Ecco l’Italia 2020, fra salari bassi e gender pay gap

Un’operaia del tessile che andrà in pensione nel 2021, con 57 anni di età e 42 anni di contributi, avendo scelto per ragioni familiari un sistema part time per circa 10 anni della sua vita, andrà in pensione con poco più di 800 euro al mese, a fronte di una paga mensile attuale di 1300 euro. Scelta? Sì. Consapevole delle conseguenze a lungo termine di un’abitudine? Spesso no. Basta poco: uno, due figli, un marito o compagno con un salario medio, intorno ai 1600 euro mensili, un mutuo o un affitto, l’impossibilità di avere aiuto dai nonni, o perché lavorano anch’essi, perché non ci sono più, o perché non ci sono mai stati. Servizi di doposcuola inesistenti o molto costosi, con orari che creerebbero più problemi che soluzioni, in caso di turni sul lavoro. E l’abitudine di accettare questa scelta come un passaggio quasi obbligato.

Gender pay gap e salari bassi

C’è la povertà, e c’è la povertà delle donne, che assume caratteristiche aggiuntive: il part time e la retribuzione oraria inferiore rispetto all’uomo. Due fattori che si intersecano con un terzo grosso problema, che travalica il genere: quello dei salari bassi. In Italia il 28,9% dei lavoratori dipendenti guadagna meno di 9 euro lordi l'ora, si apprende dall’ultimo rapporto annuale di INPS del luglio scorso. Non basta parlare genericamente di “donne che lavorano” se l’unica crescita che riguarda il lavoro femminile è il part-time.




Fra gli uomini dal 2016 al 2017 il reddito lordo annuale è aumentato, fra le donne è diminuito. Lo mostrano i dati Istat sui Differenziali retributivi nel settore privato, diffusi a dicembre 2018  Nel 2016 l’11,5% delle donne e l’8,9% degli uomini ha percepito una retribuzione oraria inferiore agli 8 euro. Il 59% delle lavoratrici percepisce una retribuzione oraria inferiore alla mediana nazionale, quota che scende al 44% per gli uomini. Ma soprattutto, Istat rileva retribuzioni orarie piu? basse per i nuovi rapporti di lavoro stipulati da donne. E poi c’è il differenziale di salario orario. Il tempo delle donne vale meno. Eurostat evidenzia un gender pay gap in Italia pari al 4,1% nel pubblico e addirittura al 20% nel privato. I dati INPS confermano: il reddito medio degli uomini e? quasi il doppio di quello delle donne, sia fra le dipendenti che fra le libere professioniste.

Chi lavora in famiglia, e come




Una nota Istat diffusa nel 2019 racconta che nel 2018 la metà delle donne con due o più figli fra i 25 e i 64 anni non lavora. Nel 51% delle famiglie meridionali con figli lavora solo l’uomo, e lo stesso avviene nel 40% delle famiglie senza figli. Al centro e al nord siamo intorno al 30%. Sono tre le tipologie più diffuse nelle famiglie con figli italiane: nel 32% delle coppie solo il padre è occupato a tempo pieno, nel 27,5% dei casi entrambi i genitori lavorano full time mentre nel 16% dei casi il padre lavora full-time e madre occupata part-time.

Il tempo delle donne
Il problema dei servizi per l’infanzia è enorme, ne parlavamo qui.  Ma il tema di fondo è un altro: il “bastava chiedere”, il “ti aiuta”. Al centro del lavoro femminile in Italia c’è – come è noto – il problema dell’accudimento, strutturalmente ancora pesantemente sulle spalle delle donne. Accudimento dei figli, dei familiari anziani, di parenti disabili. Dinamiche ben raccontate in un libro a fumetti le cui vignette ancor prima di uscire stanno già circolando in rete: Bastava chiedere! Dieci storie di femminismo quotidiano, della blogger francese Emma, che uscirà per Laterza il 20 febbraio prossimo con la prefazione di Michela Murgia.

Torniamo ai dati Istat su Conciliazione tra lavoro e famiglia . Alla domanda “fai fatica a conciliare lavoro e famiglia?” la percentuale di uomini e di donne che hanno risposto di sì è la stessa, intorno al 35%, ma alla prova dei fatti sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attivita? lavorativa per meglio combinare il lavoro con le esigenze di cura dei figli. Ma di nuovo, l’operaia spesso non può scegliere: il 25% di loro ha potuto modificare aspetti del proprio lavoro per ragioni familiari, contro il 43% delle donne che svolgono una professione qualificata o impiegatizia. E si arriva agli 800 euro al mese di pensione




Aver scelto il part time, anche solo per qualche anno della propria carriera lavorativa, unitamente a un gap salariale strutturale penalizzano incredibilmente le donne che potevano contare su un salario medio basso, nel momento della pensione. A luglio 2019 INPS ha diffuso il suo Rapporto Annuale, che ha contato le richieste di pensionamento con “Opzione donna”, che manderà in pensione molte donne con un importo medio inferiore ai 1000 euro mensili. Poche sono invece le donne che hanno richiesto di accedere a Quota 100. Intanto, hai solo sessant’anni, una vita di lavoro e fatica alle spalle, una possibile vita in salute dopo la pensione, ma hai guadagnato poco e versato meno contributi di quanti avresti dovuto (il part time, ricordiamo, è una concessione del datore di lavoro), e quindi non la stessa indipendenza economica che ha un tuo collega uomo, per poter compiere delle scelte in piena autonomia. Certo, il nocciolo non sono le scelte individuali, specie per donne non più giovanissime, che hanno già fatto scelte importanti in termini di studio e percorso professionale. C’è bisogno di un cambiamento strutturale nel sistema del lavoro, unitamente alla consapevolezza da parte delle donne, specie giovani, delle conseguenze di scelte apparentemente più agevoli.