Da settimane leggiamo e pubblichiamo storie anonime di aborti, di esperienze di donne maltrattate e considerate assassine da interi reparti ospedalieri. Abbiamo deciso di raccontarle ancora una volta, selezionando delle tematiche comuni a troppe vicende giunte in redazione. Oggi ci occupiamo dei luoghi terribili in cui le donne sono costrette ad abortire

Un’anonima ci racconta: «il giorno dell'aborto è stato il più triste della mia vita. Eravamo in sette. Ci hanno accompagnato nell'area sotterranea dell'ospedale, che angusta è dire poco, e ci siamo spogliate in uno stanzino. Tutte in fila indiana, come se stessimo andando al patibolo, ci hanno fatto sdraiare sulle barelle in uno stanzone freddo e arido, dove ci hanno preparato per l'anestesia. Una alla volta, in solitudine».
G. da Milano non se la sente di portare avanti una gravidanza a vent’anni: «Quando sono stata in ospedale per la visita mi hanno chiesto quale opzione di aborto preferissi senza spiegare i pro e i contro di nessuna. Ho scelto - quasi per caso - l’aborto chirurgico con anestesia locale. L’anestesia mi è stata fatta in corridoio, dove passavano altre persone. Sempre in corridoio mi hanno riportato subito dopo l’operazione. Onestamente, più che l’aborto in sé, è stata più traumatica e psicologicamente pesante l’esperienza in ospedale».
Un’anonima da Catania parla di «Due o tre notti trascorse in una barella del pronto soccorso, accanto alla stanza con 6 donne in travaglio che sarebbero tornate a casa con una culla».
E. da Roma viene abbandonata con un semplice “Mi dispiace, non posso aiutarla” dal suo ginecologo appena constatata la grave malformazione al suo feto. «Quando finalmente vengo presa in carico da un ospedale, mi piazzano in una stanzetta e mi fanno ingurgitare 2 pasticche senza troppe spiegazioni. Passo una nottata terribile, continuo ad avere perdite di sangue e sono da sola. Ricordo l'orrore del bagno dell'ospedale dove mi trascino per paura che succeda qualcosa e che nessuno mi aiuti. La mattina, una volta rotte le acque, mi portano in uno sgabuzzino pieno di scope e scatoloni. Ricordo solo la voce di un'ostetrica che mi aiuta a espellere il feto: l'unico sollievo, l’unico conforto. A distanza di anni mi assale ancora il ricordo di quella notte e la paura di essere abbandonata in un momento di grande dolore e sofferenza»
C. da Sassari viene lasciata «in una stanza in fondo al corridoio, quella delle immonde, delle prostitute che abortiscono. Ed ero lì, sola con le mie lacrime».