L'emergenza covid travolge il Nordest: in provincia di Verona gli obitori sono pieni e le salme vengono spostate in celle frigorifere per merci nel cortile dell'ospedale pubblico. Dopo i camion militari di Bergamo, ecco le terribili immagini della seconda ondata: nella regione di Zaia record di contagi e vittime, medici e infermieri allo stremo

Dopo il triste corteo dei camion militari in marzo a Bergamo, le foto choc della seconda ondata arrivano dalla provincia di Verona: un container frigorifero sistemato nel cortile di un ospedale, per accogliere le salme delle troppe vittime del covid. Succede a Legnago, la cittadina di 25 mila abitanti dove ha sede il secondo polo sanitario pubblico della provincia. L'ospedale non riesce più a gestire il record dei contagi, ricoveri e decessi: l’obitorio è pieno, per cui le bare vengono spostate nel contenitore d'acciaio collocato all'esterno.

Verona è la provincia più colpita dal coronavirus, con più di 1.300 morti e quasi 20 mila persone attualmente positive. E gli ospedali scoppiano, come testimonia il il chirurgo Ivano Dal Dosso, segretario veronese del sindacato dei medici Anaao: «Siamo in una situazione di estremo stress, a Legnago l’altro giorno in pronto soccorso c’erano 49 pazienti, di cui 20 in attesa di un letto. Ormai si gestiscono i malati direttamente lì, con il casco Cpap, come se fosse una terapia semi-intensiva. E questi pazienti non risultano nemmeno censiti nei bollettini della Regione, perché tecnicamente non sono ricoverati».

Non va meglio nelle altre province venete, come raccontano gli altri rappresentati degli operatori sanitari ormai stremati. Stefano Polato, medico dell’ospedale dell’Angelo di Mestre, registra una «situazione decisamente preoccupante: sia le terapie intensive che i reparti attualmente disponibili sono pieni, basta un soffio di vento perché tutto precipiti». Anche a Vicenza, conferma l’ematologo Enrico Di Bona, «il quadro è grave e se continua così si arriverà al collasso, perché tutti gli ospedali dovranno essere riconvertiti esclusivamente al covid». A Treviso il chirurgo ortopedico Pasquale Santoriello, dell’ospedale cittadino Ca’ Foncello, parla di «personale distrutto, sfinito dai turni di 12 ore nelle tute di plastica, e sempre più soggetto al contagio. Poco fa ho incrociato un amico infermiere che mi ha riferito di essere appena risultato positivo al test: stava scappando dall’ospedale passando per gli scantinati, per cercare di non contagiare nessuno».
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In Veneto si era registrata, il 21 febbraio, la prima vittima italiana della pandemia. Nei mesi successivi della prima ondata questa regione, grazie alla massiccia campagna di controlli con tamponi molecolari avviata dall'ospedale universitario di Padova, ha limitato i contagi e i decessi rispetto al resto del nord Italia. Le riaperture incontrollate di questi mesi in zona gialla, però, hanno fatto esplodere i contagi e i decessi nella seconda ondata. E anche oggi, come ormai da settimane, il Veneto registra il record nazionale di nuovi contagiati (oltre 4.400) e delle vittime: altri 92 morti in 24 ore.

Il primo a lanciare l’allarme era stato il segretario regionale dell’Anaao, il dottor Adriano Benazzato, che aveva contestato i criteri utilizzati dalla Regione Veneto per conteggiare i posti disponibili nelle terapie intensive: «In realtà sono soltanto 639, per attivarne 500 in più bisognerebbe assumere almeno 400 anestesisti rianimatori e oltre 1200 infermieri dedicati e preparati, che in Veneto non ci sono».

Gli fa eco il suo vice, Andrea Rossi, geriatra dell’ospedale Borgo Trento di Verona: «In Veneto iniziamo a raschiare il fondo del barile. Qui o la regione cambia colore, oppure rischiamo di trovarci in un'emergenza ancora peggiore. Tra poco il covid potrebbe sommarsi al picco dell’influenza. E se non si corre subito ai ripari, la nave andrà a picco come era successo a Brescia e a Bergamo nella prima ondata».
La curva dei decessi dall'inizio della pandemia in Veneto. Fonte: Protezione civile